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L’omeopatia ha un futuro?
In questi ultimi anni si è verificata una notevole riduzione del ricorso alla medicina omeopatica, riduzione avvertita dai medici omeopati ben prima della conferma statistica: dal 15,8% della popolazione che nell’anno 2000 ha scelto di servirsi di tale medicina non convenzionale, nell’anno scorso lo ha fatto solo 8%.
Una motivazione è sicuramente la conseguenza della crisi economica imperversante, che si riflette su pratiche mediche non riconosciute, quindi non a carico del SSN, ma questa non è l’unica causa, né la più importante, nella crescente disaffezione a queste cure.
Il principio omeopatico, ovvero le cure tramite sostanze naturali che inducono in un soggetto sano sintomi simili a quelli presenti nei soggetti malati, è stato ideato nel XVIII secolo dal medico tedesco Hahnemann, sulla base che ciò che è “naturale” è buono e ciò che è “artificiale” è cattivo!
Però questo, in generale, non è vero: alcuni funghi, elementi naturali, sono squisiti e altri, ugualmente naturali, sono letali, il veleno del cobra è naturale, ma non si può dire “buono”, quindi occorre fare le dovute distinzioni, distinguendo ciò che è utile da ciò che è dannoso, procedendo con l’assunzione di sostanze “naturali” utili assai diluite, in modo da assuefare l’organismo alla loro presenza, sì che non lo avverta come estraneo (insomma, una specie di mitridatismo).
La scienza medica ufficiale non ha mai accettato questa forma di medicina, in mancanza di concrete prove e verifiche sperimentali, malgrado una grandissima parte degli utilizzatori di tale metodo curativo si sia dichiarato soddisfatto dai risultati ottenuti, con il riconoscimento da parte dell’OMS della pratica omeopatica.
Secondo Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, vicepresidente del Consiglio Superiore di Sanità in Italia e consulente dell’OMS, l’Ordine dei medici avrebbe fatto un grave errore nel consentirne l’incorporazione ai medici omeopati, in quanto i medicinali omeopatici sono “letteralmente acqua fresca “, poiché la diluizione con la quale vengono preparati i prodotti omeopatici è tale che in essi spesso non vi sia neanche una molecola del principio attivo su cui si dovrebbe basare la cura.
Si tratterebbe quindi di un particolare “effetto placebo” che riesce a dare risultati personalmente soddisfacenti a un insieme di soggetti (si tenga presente che oltre la metà di questi ha una età compresa fra i 55 e i 90 anni), particolarmente sensibili più a fattori psicosomatici che organici, anche se loro livello medio di istruzione è medio-alto, quindi sia con maggior accesso a informazioni che a cure generalmente più costose.
Oggi però, attraverso i mezzi di informazione più diffusi, e di maggior ascolto, soprattutto in questi strati sociali, viene illustrata una quantità enorme di nuovi farmaci, assai più specifici per le singole patologie, a volte con accattivanti spiegazioni dei motivi che li rendono particolarmente indicati, e spesso gli stessi medici sono portati a proporne l’uso: la scienza progredisce, ottenendo prodotti più mirati ed efficaci, mentre i rimedi naturali no: sono 200 anni che il metodo omeopatico non ha saputo migliorarsi né offrire nuove soluzioni, soprattutto per affrontare nuove malattie.
Ciò viene ben percepito da chi è alla ricerca di un miglioramento del proprio stato di salute, possibilmente tempestivo.
Questi sono i veri motivi della diminuzione della fruizione omeopatica: il mercato esistente, in diminuzione per ragioni naturali, non trova ricambio nelle generazioni giovani, che credono di più alla scienza (e ascoltano di più i media), cercando maggiori sicurezze in farmaci tecnicamente e scientificamente sperimentati.