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Long covid e varianti virus Sars-Cov-2
I contagi da covid-19 continuano a calare ma preoccupa il Long Covid, ovvero i sintomi debilitanti multiorgano che non passano a distanza di mesi dalla guarigione.
Post-Acute Covid Syndrome (PACS) o Long Covid, il vasto spettro di disturbi di natura fisica e psicologica che colpiscono misteriosamente un numero significativo di pazienti, è un fenomeno molto diffuso che medici e pazienti di tutto il mondo stanno denunciando. Ad accendere i riflettori sulla sindrome da long Covid è una lunga lista di articoli scientifici e studi italiani. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità la sindrome colpisce un ex positivo su quattro.
A distanza di due anni le caratteristiche del Long Covid sono cambiate con le varianti del virus Sars-CoV-2.
Una ricerca dell’Università di Firenze ha evidenziato che i sintomi di molti pazienti a mesi di distanza dalla guarigione da Covid-19 potrebbero essere diversi nelle persone che sono contagiate con diverse varianti.
Il lavoro condotto è uno studio osservazionale retrospettivo che ha coinvolto 428 pazienti – 254 (59%) uomini e 174 (41%) donne – trattati nell’ambulatorio post-Covid del Careggi tra giugno 2020 e giugno 2021, quando il virus originario e la variante Alfa stavano circolando nella popolazione. Il 76% dei 428 pazienti coinvolti nello studio ha riportato almeno un sintomo persistente dopo la guarigione.
I sintomi più comuni riportati sono stati: mancanza di respiro (37%) e affaticamento cronico (36%) seguiti da problemi di sonno (16%), problemi visivi (13%) e nebbia cerebrale (13%). I dati mostrano che le persone che avevano contratto il virus in forma più grave, necessitando quindi di immunosoppressori o di ossigeno durante il ricovero, avevano maggiori probabilità di presentare una forma di long Covid. Confrontando i sintomi delle persone che si sono ammalate nel 2020 (quando era dominante la forma originale di Sars-CoV-2), con quelle infettate nel 2021, quando invece circolava maggiormente la variante Alfa, i ricercatori hanno trovato differenze significative: nel secondo gruppo risultavano più comuni sintomi come dolore muscolare, insonnia, cervello annebbiato e ansia o depressione, mentre erano diventati meno frequenti la perdita dell’olfatto, la difficoltà di deglutizione e i problemi all’udito.
“Molti dei sintomi riportati in questo studio sono stati misurati, ma questa è la prima volta che sono stati collegati a diverse varianti”, ha affermato Michele Spinicci, coordinatore della ricerca.
Inoltre, le donne sono risultate molto più suscettibili agli strascichi del virus, il doppio rispetto agli uomini. “Questo dato è stato riportato anche in altri studi, ma al momento non esiste una spiegazione univoca – ha aggiunto Spinicci – Ci sono ipotesi riguardo a possibili differenze nell’intensità della risposta immunitaria all’infezione tra uomini e donne. D’altra parte, sappiamo che anche nella fase acuta il virus si comporta in modo diverso tra i due sessi, esponendo gli uomini ad un maggior rischio di evoluzione negativa”.
Gli autori riconoscono che lo studio è stato osservazionale e non dimostra causa ed effetto, ma accende i fari su un problema non di poco conto. “La lunga durata e l’ampia gamma di sintomi – ha aggiunto Spinicci – ci ricordano che il problema non sta scomparendo e che dobbiamo fare di più per supportare e proteggere questi pazienti a lungo termine. La ricerca futura dovrebbe concentrarsi sui potenziali impatti delle varianti preoccupanti e sullo stato della vaccinazione sui sintomi in corso”.
Degli effetti della campagna vaccinale sul Long Covid ne ha parlato all’Adnkronos Massimo Andreoni, primario di infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit).
“C’è una differenza tra il long Covid dopo la campagna vaccinale e i casi visti nel periodo in cui non avevamo il vaccino – ha spiegato – La sensazione, quindi, è che l’immunizzazione protegga dal long Covid. Devo dire che non era scontato”. L’esperto ha aggiunto che, “pur avendo oggi una malattia meno aggressiva, non vuol dire che non potessero esserci conseguenze dopo. Infatti, nella prima fase della pandemia il long Covid si è registrato anche in chi ha fatto forme blande di malattia”. Quindi “effettivamente l’immunità vaccinale potrebbe ridurre il post Covid”.
Long Covid e rischio cardiovascolare
Secondo uno studio della Fondazione Policlinico Universitaria Agostino Gemelli di Roma, condotto su 658 pazienti con Covid-19 in fase post-acuta, è emerso che a tre mesi dalla negativizzazione del test molecolare, nei pazienti guariti dal Covid-19 è ancora presente la disfunzione endoteliale, legata ad un aumento del rischio cardiovascolare.
È quanto emerge da uno studio della Fondazione Policlinico Universitaria Agostino Gemelli di Roma, condotto su 658 pazienti con Covid-19 in fase post-acuta.
Ricerche svolte durante la pandemia hanno dimostrato che i sintomi della disfunzione sono dovuti principalmente all’azione del virus sull’endotelio, tessuto che riveste le pareti interne del cuore e dei vasi sanguigni e modula l’aggregazione piastrinica, i processi coagulativi, la risposta all’infiammazione, regola le resistenze vascolari, protegge dall’effetto nocivo dei radicali liberi dell’ossigeno.
Una sperimentazione sui pazienti Covid ricoverati nella terapia sub intensiva dell’ospedale Cotugno di Napoli, grazie ad una collaborazione tra il centro di riferimento per la cura delle malattie infettive partenopeo ed il consorzio Itme (International Translational Research and Medical Education), creato dall’università Federico II con la partecipazione dell’Albert Einstein Institute of Medicine di New York e con il coinvolgimento di Damor, ha confermato il ruolo centrale dell’endotelio.
Da qui l’evidenza che con un supplemento di L-arginina, aminoacido che presiede la produzione di ossido nitrico e citrullina da parte della cellula endoteliale, si sono dimezzati i tempi di degenza ospedaliera e si è ridotta la necessità del supporto ventilatorio. L’infezione da Covid-19 determina un aumento delle probabilità di andare incontro ad eventi cardiovascolari nell’anno seguente la guarigione dall’infezione ed apre un’importante prospettiva per l’utilizzo della L-arginina per il trattamento a lungo termine dei pazienti che sono stati affetti da covid-19.