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L’utilizzo di cellule staminali contro la calvizie
Il corpo umano contiene numerosi tipi cellulari differenti che sono di primaria importanza per la nostra salute quotidiana. Queste cellule sono responsabili di mantenere i nostri corpi funzionanti, in modo che, ad esempio, il cuore batta, il cervello pensi, i reni depurino il sangue e la nostra pelle si rigeneri.
Le cellule staminali sono cellule primitive, non specializzate, dotate della capacità di trasformarsi in diversi altri tipi di cellule del corpo attraverso un processo definito “differenziamento cellulare”. La scienza sta continuando a studiare delle differenti applicazioni in cui questo tipo di cellule possono ricoprire un ruolo essenziale. Possono curare specifiche malattie e possono essere prelevate da fonti disparate come il cordone ombelicale, il sacco amniotico, il sangue, il midollo osseo, la placenta, i tessuti adiposi e la polpa dentale.
In particolare, la Medicina Rigenerativa lavora con cellule staminali unipotenti o “multipotenti indotte” e cerca di stimolare la loro differenziazione per operare la rigenerazione cellulare a cui i medici del settore sono particolarmente interessati.
Pertanto, quando una cellula staminale si divide è in grado di generare altre cellule staminali oppure nuclei di altri tipi. Ad esempio, le cellule staminali della pelle producono altre cellule staminali della pelle o possono originare cellule più differenziate con compiti specifici come produrre il pigmento della melanina.
Le cellule staminali possono essere usate con successo pure al fine di combattere la calvizia, riconosciuta anche come “alopecia androgenetica”, una comune affezione del sistema scalpo-capelli che colpisce il 65-70% della popolazione adulta maschile. Ultimamente però si sta assestando anche nel 40% della popolazione femminile.
La calvizie è un problema sentito da milioni di persone in tutto il mondo e sta cominciando solamente negli ultimi anni ad essere messo in discussione grazie a terapie altamente innovative e sperimenti all’avanguardia. Molta speranza è risposta, infatti, nella possibilità di convertire le cellule epiteliali nelle corrispondenti “cellule staminali pluripotenti indotte” le quali potrebbero poi essere nuovamente convertite nelle cellule che costituiscono i follicoli piliferi e quindi capillari.
Nell’ultimo paio di anni la ricerca ha sperimentato nuovi sistemi, come la tecnologia TCM, da Tissuer Cluster Machine, che garantisce la possibilità di introdurre nei tessuti che si vogliono rigenerare dei microinnesti organizzati di tessuto epiteliale. La TCM risulta essere una sofisticata apparecchiatura di Medicina Rigenerativa avanzata che, partendo da campioni di cuoio capelluto estratti dal paziente e dalla dimensione di massimo un millimetro quadrato, riesce a fornire piccolissimi “cluster tissutali vitali organizzativi” che sono immediatamente disponibili. In essi sono presenti cellule staminali mesenchimali della cute e del follicolo capillare ed altre cellule che vengono disperse in soluzione fisiologica in modo da ottenere una sospensione agevolmente iniettabile nelle aree diradate.
Il Protocollo di Rigenerazione Cellulare BSBS è rappresentato da cinque fasi concentrate in una sessione che viene applicata direttamente al contrasto alla caduta dei capelli. Non esiste una calvizie identica ad un’altra e, per tale motivo, i pazienti vengono sottoposti specificamente ad analisi genomica, della membrana cellulare ed un pool di esami ormonali. Uno dei pregi più importanti del protocollo non chirurgico BSBS è la mancanza assoluta di effetti collaterali o indesiderati in quanto tutto parte da un campione di sangue del paziente. Si agisce in un ambito di sicurezza massima e non è richiesto lo stop dal lavoro, dal lavoro anche agonistico e dalla vita sociale. La ripresa dopo l’intervento, quindi, è immediata.
Il Protocollo BSBS è indicato specificamente a casi di diradamento localizzato o diffuso, assottigliamento e miniaturizzazione del follicolo o calvizie precoci. È proprio in questi casi peculiari che il percorso di medicina rigenerativa esprime il suo massimo potenziale, in particolare nel 93% dei pazienti.