Questo sito Web utilizza i cookie in modo che possiamo fornirti la migliore esperienza utente possibile. Le informazioni sui cookie sono memorizzate nel tuo browser ed eseguono funzioni come riconoscerti quando ritorni sul nostro sito Web e aiutare il nostro team a capire quali sezioni del sito Web trovi più interessanti e utili.
“Mamma, perché io ho il diabete e i miei amici no?” Come affrontare e gestire il diabete giovanile
Intervista alla dott.ssa Chiara Aceto, presidente dell’A.G.D. Grosseto (Associazione per il diabete giovanile di Grosseto).
Il diabete è una patologia cronica, non esiste cura definitiva ed è molto, molto diffuso. Come spiega Concetta Suraci, presidente di Diabete Italia, “i numeri non sono incoraggianti: nel mondo una persona su 11 convive con il diabete ed è previsto che per il 2030 ci saranno 522 milioni di persone con diabete. Oltre un milione di bambini e adolescenti nel mondo hanno un diabete di tipo 1, ovvero quello autoimmune. Nel 2017 ci sono stati, a livello globale, quattro milioni di morti. In Italia ci sono 3,7 milioni di persone con diabete e una su tre non sa di averlo”.
Ne esistono varie tipologie: le principali sono il diabete di tipo 1 e il diabete di tipo 2. Il primo è conosciuto come giovanile ed è causato da un’insufficienza o assenza di produzione di insulina. Il secondo, invece, anche chiamato alimentare o dell’adulto, è dovuto a un’incapacità delle cellule dell’organismo di utilizzare l’insulina.
Le cause del diabete giovanile sono ad oggi, ancora sconosciute ma si sono fatte strada diverse teorie (cause genetiche, ambientali, virali, infettive). Poiché la carenza assoluta di insulina è incompatibile con la vita, la diagnosi precoce è fondamentale e la terapia deve iniziare il prima possibile. Con la somministrazione dell’insulina, si può tenere sotto controllo la malattia e condurre una vita normale.
Secondo le ultime stime della Sid (Società Italiana di Diabetologia), negli ultimi 10 anni il diabete giovanile è raddoppiato. Ma come si gestisce un bambino con il diabete, a casa, a scuola, nel tempo libero?
Per saperne di più, abbiamo fatto alcune domande alla dott.ssa Chiara Aceto, presidente dell’A.G.D. Grosseto (Associazione per il diabete giovanile di Grosseto).
Dottoressa, lei oltre che essere presidente dell’A.G.D. Grosseto è anche mamma di Edoardo, un bambino con il diabete. Pochi sanno davvero cosa sia questa malattia, quali sono i sintomi con i quali si manifesta e cosa significa per un bimbo essere diabetico. Ce lo può spiegare?
Quando parliamo di diabete giovanile, in realtà si parla di diabete mellito di tipo 1, malattia autoimmune che porta alla distruzione delle cellule beta del pancreas, che sono responsabili della secrezione dell’insulina. Il gergo comune lo definisce giovanile, perché questa patologia colpisce i ragazzi soprattutto nella prima fascia d’età 0-19 anni, anche se l’insorgenza può avvenire fino a circa i 40 anni. Con la distruzione delle beta cellule non viene più prodotta l’insulina capace di garantire l’assunzione di carboidrati (zuccheri semplici e complessi), che rappresentano le sostanze nutritive per le nostre cellule. Nella fase dell’insorgenza, i sintomi peculiari sono tanta sete, tanta pipì, dimagrimento e stanchezza cronica. L’esordio di mio figlio è avvenuto quando aveva due anni e mezzo e in quel periodo stavo procedendo a togliere il pannolino per il ritorno a scuola. Ho notato subito che la pipì era molto abbondante e, durante il periodo notturno, mi chiedeva di bere molto. Io purtroppo non conoscevo i sintomi del diabete di tipo 1, ma avevo capito che c’era qualcosa che non andava, in quanto nel giro di 10 giorni, mio figlio aveva perso molto peso. L’ho portato dal pediatra, che mi ha dato una cura ricostituente. Dopo pochi giorni, mio marito lo ha riportato da lui, in quanto eravamo fortemente convinti che qualcosa non andasse nel verso giusto. Il pediatra, dopo uno stick delle urine, ci ha mandato direttamente al pronto soccorso per il ricovero, in quanto aveva una glicemia pari a 330 (i valori normali sono tra 80 e 120). Noi siamo arrivati al ricovero senza una ipergliecemia importante. Purtroppo, molti ragazzi arrivano con circa 600 di glicemia. In Italia, nel 2019, ci sono stati 3 bimbi morti per chetoacidosi diabetica per diagnosi tardiva della patologia. Sulla base del RIDI, Registro Italiano del diabete mellito insulino dipendente, i casi di diabete in età scolare sono aumentati del 5% e del 3% per i ragazzi e adolescenti. Purtroppo, non è possibile prevenire questo tipo di diabete e si presume che le cause siano rintracciabili tra fattori ambientali, genetici e virali.
Cosa significa per un bambino avere il diabete oggi?
Beh, il bambino deve sottoporsi a circa 4/8 rilevazioni del sangue capillare dal polpastrello per la misurazione della glicemia e a circa 6 iniezioni di insulina al giorno. Fortunatamente, oggi la tecnologia ci viene in soccorso, e grazie all’utilizzo di sensori per il monitoraggio continuo della glicemia e del microinfusore, questi numeri giornalieri di rilevazioni si abbattono in modo significativo, rendendo la patologia cronica più sopportabile.
Una volta scoperto il diabete, quali sono le tappe da seguire per poter permettere al bambino di avere una vita normale?
L’esordio è un momento travolgente che, a prescindere dall’età del ragazzo, sconvolge tutti gli equilibri di vita sia del bimbo sia della famiglia di appartenenza. Con bambini molto piccoli tutto si complica, dal rientro a scuola alla frequenza di attività sportive e ricreative: tutte le persone vicino al bimbo si trovano, in un modo o in un altro, a guardare da vicino il diabete. I bambini molto piccoli non riescono a sentire i sintomi di una ipoglicemia e inizialmente, chi si accolla le totali necessità del bimbo sono i genitori, soprattutto la figura materna. Fino a qualche tempo fa, molte madri decidevano addirittura di lasciare il lavoro per poter seguire il figlio. Oggi, fortunatamente, questo non avviene, grazie al supporto sociale e al sostegno del personale docente.
Forse la fase più critica dall’esordio è il rientro a scuola, perché come mamma sei combattuta, con la consapevolezza che sia meglio gestire il diabete personalmente e con la paura di affidare tuo figlio a persone che non conoscono questa patologia. Gli stessi insegnanti hanno paura e pensano di non poter gestire casi di ipoglicemia, che fa tanta paura ai più. Sicuramente, sia il tempo sia la fiducia verso la scuola, inducono ad una graduale rassicurazione che, a seconda dei genitori, porta a considerare il bimbo come gli altri, ma con particolari esigenze.
Come si spiega ad un bambino piccolo la malattia e come si riesce a fargliela accettare?
A 4 anni mio figlio mi chiese “mamma, ma perché solo io ho il diabete e i miei amici non ce l’hanno?”. Come madre, come essere umano, questa domanda non può avere una risposta perché ognuno di noi vorrebbe allontanare, scacciare lontano dal proprio figlio, da ogni bambino qualsiasi sofferenza fisica e psicologica…purtroppo non si può. Questa domanda io, mio marito, mio figlio, ce la facciamo ciclicamente ma, il vero segreto secondo me, è la risposta. “Tu avevi il coraggio che né mamma, né babbo, né gli altri bambini, hanno”. A volte ci sentiamo fortunati, e ci diciamo è “solo il diabete”. Ripeto a me stessa che io ho tre figli, e quello più indisciplinato è proprio lui, il diabete, irrequieto, ingestibile, ma come un figlio deve essere accettato, amato e gestito al meglio.
Si dice che il diabete sia una malattia che va monitorata 24 ore su 24: per un bambino che deve frequentare la scuola cosa succede? Le scuole sono attrezzate, ma soprattutto gli insegnanti hanno la formazione adatta per la supervisione di questi bambini?
Come dicevo prima, il rientro a scuola è difficile ma deve essere affrontato con serenità, dando gli strumenti conoscitivi agli insegnati che si trovano a gestire la patologia per circa 30 ore alla settimana. Grazie ad AGD Italia, il coordinamento delle associazioni per l’aiuto ai giovani diabetici in Italia, è stato effettuato un documento strategico di intervento integrato, che delinea un percorso preciso per accompagnare i genitori nella delicata fase di inserimento scolastico.
Personalmente, posso dire che noi siamo stati molto fortunati perché dopo l’esordio, Edoardo è rientrato dopo circa una settimana dal ricovero, grazie a splendide maestre che hanno voluto, con amore, gestire la patologia. Il primo periodo è stato comunque molto difficile e, a volte, andavo anche 4 volte al giorno a scuola per supportare le maestre. I sintomi della glicemia – sonnolenza, apatia, irascibilità – venivano e potevano essere confusi con tratti tipici dell’età che il bimbo si trovava a vivere. Con il tempo, le maestre hanno iniziato a fare l’insulina a capire, grazie al sistema della conta dei carboidrati, la necessità personale, come “correggere” momenti di ipo e iper. Per questo è molto importante la collaborazione tra scuola e famiglia, per garantire una crescita serena e tranquilla del bambino.
La sofferenza di questa malattia è spesso avvertita più dai genitori che dai bambini; una volta scoperta la malattia quanto è necessario un supporto anche psicologico per la famiglia?
Si parla di “diabete di tipo 3” riferendosi a quel tipo di sofferenza che tutta la famiglia vive al momento della diagnosi: dai genitori, al fratellino o sorellina, alla famiglia allargata. Il diabete necessariamente impone diversi ritmi di vita, induce a particolari scelte, impone, per un periodo, una vicinanza “iperprottetiva” dei membri familiari. Al momento della diagnosi, i sensi di colpa insistono nella mente dei genitori che, con il passare del tempo, devono necessariamente scrollarli di dosso, per evitare forme di iperprotettività che, a lungo andare, danneggerebbero solo il bambino. Infatti Minuchin, famoso psicologo della terapia familiare, individuava questo “sistema patologico” in alcune famiglie con bambini con diabete, appunto famiglie psicosomatiche. L’iperprotettività è sicuramente una tendenza delle famiglie con diabete, ma verosimilmente, con il passare del tempo, i genitori trovano le giuste risorse per affrontare serenamente la patologia, nonostante le difficoltà che la stessa impone. L’emozione è sempre intensa quando parlo dell’esordio di mio figlio, avvenuto il 30 settembre del 2016… presumo che sia normale, ci tocca nel profondo, in quanto rappresenta sicuramente un turn point della vita di tutta la famiglia. Altro sentimento comune è la sensazione di isolamento che può essere avvertito dai genitori: una maggiore rete sociale intorno alla famiglia garantisce la riduzione di questi sentimenti. L’età anagrafica del bambino al momento dell’esordio risulta essere un fattore importante per il tipo di supporto psicologico da rivolgere alla famiglia e al bambino. Infatti, fino a circa 7 anni, il supporto psicologico è maggiormente focalizzato sulla famiglia, che deve garantire gli strumenti necessari al bambino per affrontare la patologia cronica. A supporto di questo approccio, alcuni studi psicologici confermano come il coping adottato dalla famiglia sia associato in modo significativo a quello usato dal bambino: la percezione e l’approccio familiare sono basilari per la piena accettazione. Se invece parliamo dell’adolescenza, periodo molto delicato nella vita dei ragazzi, il supporto è focalizzato sul ragazzo, che si trova nel pieno rifiuto della malattia, che va a deformare la sua stessa identità, nonostante la sua comparsa in periodi più lontani.
Ci sono dei falsi miti sull’alimentazione di un bambino con diabete?
Sicuramente ci sono falsi miti sul bambino con diabete. Si pensa che il bambino con diabete tipo 1 non possa mangiare dolci…cosa assolutamente inesatta. Il bambino deve seguire una dieta equilibrata come tutti gli altri bimbi in fase di sviluppo, un’alimentazione che rispetti la piramide nutrizionale, dove al vertice di questa ci sono i dolci. Certo, deve seguire alcune indicazioni nutrizionali: i dolci devono essere preferibilmente assunti a termine del pranzo o della cena, al fine di evitare il picco glicemico grazie all’assunzione dei carboidrati complessi della pasta e del pane. Inoltre, si devono preferire la pasta e il pane integrale…che diciamolo, sarebbe un’indicazione nutrizionale che tutti noi, dovremmo adottare. Proprio per sfatare il falso mito dell’assunzione di dolci, noi dell’AGD di Grosseto, in occasione della GMD 2019, abbiamo offerto come merenda a tutti i bambini di una scuola primaria un ciambellone con e senza glutine.
Lo scorso 14 novembre, in occasione della Giornata mondiale del diabete, la vostra associazione ha partecipato organizzando diverse iniziative per sensibilizzare l’opinione pubblica; quali sono i vostri obiettivi, i progetti e le iniziative che state portando avanti in quest’ottica?
Come dicevo prima, abbiamo promosso per la GMD 2019 una serie di eventi per far luce su questa malattia cronica, che purtroppo, viene troppe volte associata al diabete di tipo 2, che colpisce principalmente le persone adulte, nonostante ci sia la preoccupante diffusione della stessa tra i ragazzi. Il primo evento è stato un corso di formazione per gli insegnati di ogni ordine e grado, tenuto dall’equipe del Meyer di Firenze e dell’Ospedale di Grosseto, per far conoscere la malattia, capire i meccanismi e far prendere dimestichezza con il glucagone, il farmaco salva vita da somministrare in caso di coma ipoglicemico al bambino. “La conoscenza abbatte la paura” anche in questo caso. Per il secondo evento, il giorno 14 novembre, la scuola primaria Andrea da Grosseto ci ha ospitati e l’Associazione ha donato all’istituto un ulivo, simbolo universale della vita. L’IDF (International Diabetes Federation) e l’Oms hanno scelto la data del 14 novembre per la Giornata Mondiale per omaggiare Banting, co-scopritore dell’insulina che nel 1922, a Toronto, somministrò l’insulina purificata ai bambini con diabete. Grazie a lui, rinacque la vita. L’ultimo evento è stato dedicato al controllo gratuito della glicemia a favore della cittadinanza, con un flash mob, ideato con i ragazzi della Scuola di danza Officina Movimento Arte Danza, per sottolineare che il diabete è una malattia che colpisce principalmente i bambini. Noi, come tutte le altre associazioni italiane, abbiamo il compito di diffondere informazioni alla cittadinanza e sensibilizzare sulle esigenze che un individuo con questa patologia cronica si trova ad affrontare. Abbiamo in mente tante altre iniziative per il sostegno alle nostre famiglie che speriamo riusciremo ad attuare prossimamente, sia a livello locale che nazionale.