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I misteri del coma. Un ricercatore italiano applica una nuova tecnica per il “risveglio” del cervello
Chi ha detto che il massaggio è utile solo ed esclusivamente al corpo? Da oggi, grazie alla lungimiranza e alla straordinaria preparazione scientifica del neuroscienziato italiano Martin Monti anche il cervello potrà godere dei benefici donati da un massaggio. Si tratta di una tecnica del tutto innovativa e inedita capace di far ‘ripartire’ il cervello di pazienti che sopravvivono al coma, ‘massaggiando’ l’area cerebrale dove ha sede la coscienza. Il luminare, oggi incaricato presso l’Università della California di Los Angeles, ha spiegato all’agenzia Adnkronos il progetto di ricerca a cui è a lavoro da tempo e focalizzato proprio sui misteri del coma. L’èquipe di ricercatori da lui coordinati ha applicato la tecnica su 5 pazienti, pubblicando già il primo caso al mondo su ‘Brain Stimulation’, che ha interessato un paziente venticinquenne entrato in coma dopo essere rimasto vittima di un grave incidente. Intanto, osservando i risultati incredibili ottenuti sul giovane dopo pochi giorni, il team medico ha deciso di proseguire nella raccolta dei dati e delle esperienze per arrivare a 10 pazienti nel giro di due anni.
“Lo studio della tecnica Lifu (Low Intensity Focused Ultrasounds, ultrasuoni focalizzati a bassa intensità) – ha dichiarato il ricercatore italiano all’Adnkronos – adesso è il centro del nostro lavoro. Negli ultimi 10 anni ci siamo occupati di studiare le basi neurali e strutturali del perché un paziente recupera dopo un coma, e un altro no: abbiamo capito che esiste una parte del cervello, il talamo, intimamente legato alla guarigione. Ma questo da solo non esaurisce tale compito: la sua geometria di connessione al resto del cervello è tale che esso interagisce con la corteccia, inviando e ricevendo segnali. Ed è questo circuito a essere necessario per mantenere la coscienza, la memoria, le nostre paure, i nostri desideri. E ora che abbiamo questo target nel cervello possiamo stimolarlo”.
“Sappiamo – ha spiegato il neuroscienziato – che peggio sta il talamo, peggio sta il paziente in stato vegetativo. L’idea di intervento con gli ultrasuoni mira proprio a cercare di far ripartire il circuito talamo-corteccia. Alcuni ci hanno provato inserendo un elettrodo nel talamo, operando però un foro nella scatola cranica. Noi utilizziamo una nuova tecnologia a ultrasuoni focalizzati a bassa intensità, che non è invasiva: si sfrutta un suono emesso da un altoparlante posto a livello della tempia, che produce un’onda, che andiamo a focalizzare (come fosse una ‘lente’ di ingrandimento) sul talamo, con l’effetto quasi di ‘massaggiarlo’. Sappiamo che a questa bassa intensità, se si stimola in un modo particolare e con certi ritmi, il risultato è di ‘eccitare’ le cellule del talamo, che quindi inviano messaggi alla corteccia. Innalzando il livello di comunicazione in questo circuito fondamentale. Al momento attuale non esiste altra tecnica che riesca a fare questo, senza dover bucare la testa del paziente”.
Lo scopo primario di questo progetto di ricerca è arrivare a comprendere quanta infrastruttura cerebrale deve essere presente perché un paziente possa recuperare. Come spiega Monti, infatti, oggi è presente una grande variabilità nei risultati di qualsiasi trattamento viene eseguito sui pazienti. In alcuni di loro le varie terapie funzionano, in altri no, e proprio in questo risiede il segreto: riuscire a capire qual è l’archittettura cerebrale minima perché un paziente possa rispondere e, a quel punto, quale sia il migliore trattamento. Fatto questo, la tecnica degli ultrasuoni si propone come una delle più promettenti: “Stiamo arruolando altri pazienti. Ma sono pazienti delicati e ci vuole tempo per raccogliere abbastanza dati da presentare alla comunità scientifica. Fra 5 anni spero ne avremo a sufficienza per pubblicare i risultati”, ha concluso il fiore all’occhiello della ricerca italiana a Los Angeles.