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Neuroscienze: Giulio Palmas, “lo Stato non investe abbastanza in questa disciplina”
“Lo Stato italiano non incentiva la ricerca e neppure tutti quei ragazzi che si affacciano al mondo della neuropsicologia”. Ne è convinto il dottor Giulio Palmas specializzando in Neuropsicologia al “Santa Lucia” di Roma e che, nonostante la giovanissima età, 25 anni, ha sulle spalle un bagaglio di esperienze sul campo che lo portano a preferire l’Estero all’Italia. A pochi giorni dal voto, e da una campagna elettorale in cui abbiamo sentito tante proposte di riforma atte a risollevare, tra gli altri, il sistema sanitario nazionale e l’Università, le parole del giovane specializzando sardo tornano quanto mai attuali soprattutto se rapportate a un ambito, quello della psicologia e delle neuroscienze, che in Italia non è del tutto conosciuto.
Perché quando si parla di neuroscienze la gente mostra di non capire davvero?
Quello che manca di più è la giusta conoscenza di ciò che facciamo. Attualmente lavoro presso il Centro studi e ricerche in Neuroscienze cognitive di Cesena che è universitario ma è anche convenzionato con la Ausl, quindi potenzialmente siamo dotati degli strumenti necessari a farci conoscere sul territorio. La cosa che più mi sorprende e che spesso si ripete è quando i pazienti ci dicono di non aver sentito parlare di noi fino a che qualcuno non lo avesse fatto. In Italia sulla materia manca la giusta informazione e questo influisce anche nel percorso della cura.
Cosa intende?
Da noi arrivano pazienti che sono già in fase cronica. Dimessi dall’ospedale arrivano su invio e su invito degli specialisti. Si sottopongono ai trattamenti riabilitativi quando ormai convivono da tempo con una patologia.
Quanto costa per un paziente curarsi?
Il centro per cui lavoro è pubblico e privato: da noi arrivano pazienti che non pagano e che hanno diritto a un’esenzione. La valutazione e il trattamento sono del tutto gratuiti. Se invece presentano un’urgenza e hanno necessità di una visita immediata richiedono un iter burocratico privato che comunque è caratterizzato da costi molto contenuti. All’incirca 300 euro, cifra che comprende l’intero percorso che si articola a sua volta in diversi momenti. Costo raro per la sanità italiana privata dove generalmente una visita da uno specialista è della durata di 2 ore e viene a costare centinaia di euro.
Il trattamento è realmente efficace?
Sì. C’è da dire che le neuroscienze non sono la soluzione della vita. Tuttavia, se affrontata e messa in campo nel giusto modo questa disciplina facilita molto lo stato neuropsicologico di una persona. E’ un trattamento riabilitativo che si basa sulla valutazione di disturbi cognitivi che si presentano in seguito a lesioni cerebrali causate da traumi cranici, ictus, tumori. Noi tramite la valutazione del sistema cognitivo con dei test standardizzati andiamo a vagliare tutti i processi cognitivi, dalla vista, alla memoria, dal linguaggio, all’attenzione, fino a toccare le funzioni esecutive che ci consentono di pianificare un’azione. In questo modo, considerato l’insulto cerebrale che può essere di tipo ischemico, emorragico, tumorale o traumatico, andiamo a vedere quali funzioni sono state lese. Per ciascuna di esse esistono trattamenti specifici che possono essere restituivi, in cui effettivamente tu restituisci la funzione che il paziente non ha più, oppure compensativi, appurato che quella funzione non può tornare integra come era un tempo perché la lesione è troppo estesa.
Qual è la realtà del paziente tipo che si reca al CNC per riabilitarsi?
Tendenzialmente sono persone che devono fare fronte con un cambiamento radicale a causa di un sopravvenuto incidente o del concretizzarsi di eventi istantanei che fanno vivere loro l’ultimo attimo di “normalità” per poi passare a una nuova vita. Una persona che prima guidava non può farlo più, spesso non ricorda più i nomi dei propri figli o si ritrova a dover fronteggiare un divorzio perché il proprio partner non riesce più a sostenere la situazione. Tuttavia, stando alla mia esperienza, posso dire che sono pochi i casi in cui la persona è totalmente abbandonata a se stessa. Buona parte dei nostri pazienti sono sostenuti durante il percorso di riabilitazione. E’ un fattore positivo perché coloro che a casa hanno un caregiver, una figura di riferimento che li sostiene in questo percorso, hanno un recupero molto più veloce ed efficace rispetto a quelle persone che vengono parcheggiate al CNC e che non sono stimolate. Sono persone spaventate, e giustamente. Il cambiamento produce ansia rispetto al futuro, non sanno cosa succederà.
Qual è la comune percezione della psicologia oggi?
Le neuroscienze in se come disciplina hanno richiamato sempre molto rispetto perché inglobano la medicina, la biologia e in ultima analisi la psicologia con la neuropsicologia. A livello sociale la gente chiede di cosa si occupa realmente un neuropsicologo. Possiamo rintracciare le radici di questa confusione nell’etimologia del termine che è composto dalla parte medica del “neuro” e dalla dimensione della psicologia che confonde un po’. In Italia, del resto, ci sono molti stereotipi e lo psicologo ne raccoglie molti in sé. Per tanti egli è il medico dei matti. Questo avviene perché non siamo abituati a pensare alla psicologia come a una disciplina medica presente in ogni ambito dal mondo delle imprese fino alla scuola.
Quando ha deciso di diventare neuropsicologo?
Ricordo che in terza media nel tema di italiano scrissi che da grande sarei diventato psicologo. Non avevo la ben che minima idea di cosa volesse dire. Credevo che si trattasse di una persona che leggesse nella mente delle persone e che quindi capisse i processi cognitivi. Non era una concezione del tutto sbagliata ma non avevo idea delle mille sfaccettature che compongono la psicologia. Successivamente ho frequentato il liceo socio-psicopedagogico sempre maturando questa idea di proseguire la via della psicologia fino a che arrivato all’università ho deciso. Non è stata una scelta sin da subito appoggiata. I miei non avrebbero voluto vedermi psicologo perché pensavano che la psicologia non offrisse lavoro e una degna remunerazione ma oggi posso dire che da grande voglio fare questo lavoro.
Perché ha scelto Cesena come terra di formazione?
Dopo essermi laureato a Milano mi sono trasferito in Emilia-Romagna perché questa regione ha dimostrato di saperne più di tutte le altre in materia di neuroscienze. La Romagna è stata lungimirante dando spazio a questa nuova frontiera senza lasciarsi intimorire da costi alti o da un qualcosa di innovativo che magari non avrebbe funzionato. In questo senso penso alla mia regione, la Sardegna, dove la dottoressa Angela Sirigu, neuroscienziata che lavora tra Madrid e Lione, ha proposto di aprire un centro di neuro-ricerca in modo che potesse esserci anche da noi un polo universitario ma nel momento in cui sono stati richiesti i fondi la Regione ha bocciato il progetto. L’Emilia-Romagna da questo punto di vista è molto più all’avanguardia, ha investito.