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Parte il fermo pesca e torna il rischio del pesce congelato sulla tavola degli italiani
Dal 30 luglio è partito ufficialmente lo stop al pesce fresco a tavola. E’ infatti stato annunciato il fermo pesca che porta al blocco delle attività della flotta italiana lungo l’Adriatico. Sulla base di questo provvedimento le attività dei pescherecci si fermeranno per 42 giorni, ossia fino al 9 settembre dal Friuli Venezia Giulia al Veneto, dall’Emilia Romagna fino a parte delle Marche. Il blocco inizialmente si allargherà da Trieste ad Ancona, mentre lungo l’Adriatico nel tratto da San Benedetto a Termoli le attività si fermeranno il 13 agosto (fino al 23 settembre) e da Manfredonia a Bari lo stop varrà dal 27 agosto al 9 ottobre.
Per le acque del Tirreno invece il blocco delle attività scatterà da Brindisi a Roma dal 10 settembre al 9 ottobre e da Civitavecchia a Imperia dall’1 ottobre al 30 ottobre. Per Sicilia e Sardegna lo stop sarà fissato per un mese tra agosto e ottobre ma saranno le Regioni a indicare quando.
In un Paese come l’Italia che importa più di 2 pesci su 3 nei territori interessati dal fermo biologico, aumenta il rischio di ritrovarsi nel piatto per grigliate e fritture, soprattutto al ristorante, prodotto straniero o congelato se non si tratta di quello fresco Made in Italy proveniente dalle altre zone dove non è in atto il fermo pesca, dagli allevamenti nazionali o dalla seppur limitata produzione locale dovuta alle barche delle piccola pesca che possono ugualmente operare.
Un rischio dal quale prende le distanze la Coldiretti ma che si verifica sempre più spesso. A tal proposito, l’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con Eurofishmarket ed Esselunga ha condotto uno studio pilota per cercare di determinare le differenze strutturali tra le carni di un pesce fresco e uno decongelato e per valutare come si modifica nel corso della conservazione in frigorifero, alla ricerca di parametri utili per scovare prodotti in cui sono stati usati metodi illeciti per ‘allungare’ la shelf life in maniera truffaldina. Differenze che possono essere osservate con un normale esame al microscopio.
A seguito dello studio è stato dimostrato che nei pesci decongelati, ma non in quelli freschi e in quelli refrigerati, sono presenti vacuoli, spazi vuoti all’interno delle cellule che formano le fibre dei muscoli, anche di notevoli dimensioni. Quando il pesce viene congelato lentamente, nelle carni si formano cristalli di ghiaccio di grosse dimensioni fra le fibre e all’interno delle cellule. Quando il pesce viene decongelato, al posto dei cristalli rimangono questi spazi vuoti la cui presenza può essere utilizzata per ‘scovare’ pesci venduti come freschi, ma che in realtà erano stati congelati
Risultati non trascurabili per quanto riguarda il pesce refrigerato. Infatti, dai risultati delle analisi sembra che più a lungo il pesce viene tenuto in frigorifero, più la sua pelle si sfalda, fino a degradarsi completamente dopo sette giorni. Anche senza arrivare a tempistiche così estreme, un parametro di questo tipo potrebbe rendere più semplice valutare quanto a lungo un pesce sia rimasto nel banco frigo di una pescheria o un supermercato.