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Pesce crudo: rischi e consigli

21 Ottobre 2015

La cultura Italiana da sempre vede nelle nostre tavole deliziosi piatti a base di pesce crudo, in particolar modo  in alcune zone costiere del meridione, ma negli ultimi anni queste abitudini sono un po’ cambiate ed estese in tutto il territorio grazie alla diffusione dei cibi Giapponesi ed Orientali.

Parallelamente al crescere dei locali specializzati in cucina giapponese ed orientale, infatti, sono in aumento i casi di intossicazione legati al consumo di queste alimenti e si moltiplicano gli interventi sanzionatori da parte delle aziende sanitarie e dei Nas.

Bisogna sapere infatti che, pur se particolarmente delizioso, il pesce crudo anche della migliore qualità può celare brutte sorprese, ovvero essere infetto e, quindi, consumandolo completamente crudo o poco cotto si va in contro all’aumento delle probabilità di essere infettati dai batteri del pesce.

È giusto dire però che questi alimenti non sono da eliminare, al contrario, il loro alto potere saziante unito allo scarso apporto calorico e alla ricchezza di acqua li rende alimenti dietetici interessanti, con un notevole apporto di sostanze nutritive come gli Omega-3, acidi grassi di cui i pesci tradizionalmente utilizzati nella preparazione di queste pietanze sono particolarmente ricchi.

Quali sono quindi i pericoli che corriamo?

La prima causa di intossicazione da pesce crudo è la mancanza di esperienza di chi lo maneggia e prepara, in quanto molte regole fondamentali per la conservazione del pesce non vengono rispettate a dovere, in aggiunta ad una scarsa conoscenza delle tecniche per la preparazione e la pulizia dei prodotti freschi. Il secondo problema è che non tutti i consumatori di pesce crudo sanno che anche il pesce ha dei parassiti, che possono essere trasmessi all’uomo con estrema facilità se non vengono osservate alcune norme igieniche basilari.

Il più pericoloso tra questi organismi si chiama ANISAKIS. Tecnicamente, si tratta di un nematode parassita, ospitato nell’addome di numerose specie marine, comunemente conosciuta con il nome di sindrome di anisakidosi (o anasikiasi). Il primo caso di anisakidosi fu osservato in Olanda nel 1955, oggi è estremamente diffuso e si trova in molti pesci tra cui tonno, salmone, sardina, acciuga, merluzzo, pesce spada, calamari, nasello e sgombro.

ll piccolo nematode, simile a un vermicello filiforme, visibile anche a occhio nudo, rimane immobile all’interno del tubo gastro-enterico del pesce fino a quando non riesce a trovare una via verso le parti muscolari dove vi si insinua in attesa del passaggio all’interno di mammiferi che si cibano del pesce parassitato. Alcune ricerche hanno dimostrato che la maggior parte di casi positivi da contaminazioni di Anisakis si riscontra nel prodotto che ha sostato per un certo periodo di tempo dal momento della pescata a quello dell’eviscerazione.

Il pericolo per l’uomo è costituito dalle larve di Anisakis nascoste nel pesce, che possono essere accidentalmente ingerite qualora si consumi pesce crudo oppure poco cotto, con conseguenze a dir poco spiacevoli: dolori addominali, nausea, disturbi intestinali, a volte febbre.

Sicuramente poco “allettante” anche la cura: se nelle forme meno gravi può essere sufficiente una terapia sintomatica, nella maggioranza dei casi si rende necessario un intervento chirurgico per la rimozione delle larve.

Come facciamo quindi a prevenire tutto questo?

Con la cottura semplicemente, oppure nel caso di pesce destinato ad essere consumato crudo, con il congelamento. Le larve di anisakis vengono infatti annientate con l’abbattimento di temperatura, che deve tuttavia essere effettuato secondo modalità e tempistiche ben precise per poi, allo scongelamento, seguire con il consumo del prodotto in tempi brevissimi.

Seguito il processo di conservazione ed abbattimento della temperatura possiamo quindi stare tranquilli?

Non esattamente, il pesce è un alimento che ha proprietà nutritive molto importanti per il nostro organismo, ma ha un terribile difetto: tende ad accumulare nelle proprie carni le sostanze nocive eventualmente presenti nell’ambiente in cui vive. Tutto questo purtroppo è causato dall’uomo, che negli ultimi 150 anni ha contribuito all’inquinamento del mare incrementando notevolmente l’intossicazione dei pesci e degli abitanti marini.

I pericoli maggiori arrivano da due sostanze, il mercurio e la diossina.

Il primo è un metallo pesante. Le maggiori concentrazioni di questo metallo possano essere riscontrate nei predatori superiori, ultimo anello della catena. Tra questi, il tonno, nelle cui carni sempre più frequentemente sono stati riscontrati livelli di mercurio tali da sconsigliarne il consumo. Ovvio è che il problema riguarda tutto il tonno, non solo quello servito nei ristoranti giapponesi. Alcune varietà di questo pesce – come evidenziato già tre anni fa in uno studio condotto negli Stati Uniti – mostrano tuttavia una maggiore tendenza ad accumulare mercurio nelle loro carni, ed in mancanza di una normativa che obblighi i ristoratori a specificare sul menù quale varietà di tonno viene utilizzata nella preparazione dei piatti, l’unica precauzione possibile è limitarne il consumo.

La diossina invece è una sostanza cancerogena particolarmente solubile nei grassi, ecco perché anche il salmone, nonostante le grandissime proprietà alimentari, viene segnato nella lista nera, specialmente quello di allevamento.

Purtroppo la cottura non fa differenza: il problema non risiede nella modalità di consumo e il salmone consumato crudo in un ristorante giapponese non comporta per la salute rischi maggiori di quello – tanto per fare un esempio – affumicato comunemente in vendita in tutti i supermercati. L’aspetto critico connesso al consumo di salmone sta nella percentuale di grasso presente nelle sue carni, che è tale da facilitare l’assorbimento di sostanze estremamente pericolose: la diossina prima di tutto, ma anche i policlorobifenili (PCB), agenti chimici di comprovata tossicità, correlati, come dimostrato da numerosi studi, a diverse forme tumorali.

La domanda che tutti vi starete ponendo è: devo escludere il salmone e il tonno dalla mia alimentazione?

No, la chiave fondamentale è la sana ed opportuna moderazione, limitando il consumo di pesce crudo a poche sporadiche volte e soprattutto affidarsi a mani esperte.

Le regole da seguire

  • evitare di consumare pesce e molluschi crudi che non siano sottoposti a congelamento
  • il pesce va eviscerato al più presto dal momento della cattura per allontanare i parassiti presenti, prima del loro passaggio nella muscolatura
  • verificare, sulla base dell’obbligo dell’autocertificazione, l’effettuazione dei trattamenti obbligatori di chi somministra pesce crudo oppure in salamoia ad utilizzare pesce congelato o a sottoporre a congelamento preventivo il pesce fresco somministrato crudo (Circolare n°10 del 11/03/92 del Ministero della Sanità e ordinanza ministeriale del 12/05/92 a spiegazione della Direttiva Europea 91/493 del 22/07/91)
  • in caso di consumo casalingo sottoporre il prodotto a temperature elevate superiori ai 100°C oppure temperature molto basse –20°C per almeno 24 ore (per una sicurezza totale sono necessarie 96 ore a -15° C, 60 ore a -20° C, 12 ore a –30° C, 9 ore a -40° C).
Tags: azienda sanitaria, informazione, intossicazione, pesce crudo, prevenzione
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