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Prendersi cura di chi si prende cura. L’impegno dell’associazione Amici Alzheimer
Intervista alla presidente Claudia Martucci
Un castello di carta. Non è facile inquadrare la vita di una persona che quotidianamente lotta contro l’Alzheimer. L’immagine verosimilmente più efficace è quella di un puzzle che tessera dopo tessera si disperde venendo a perdere la sua forma originaria. In linea con i trend globali di invecchiamento della popolazione, i numeri delle demenze stanno aumentando anche in Italia: nel 2019 sono stati stimati più di 1 milione di casi di demenza nella popolazione over 65, oltre 600 mila malati di Alzheimer (corrispondenti a circa il 20% della popolazione over 60) e oltre 900 mila casi di declino cognitivo lieve nei pazienti ultrasessantenni, che in oltre il 50% dei casi potrebbe rappresentare una fase di pre-demenza.
Numeri importanti che se da un lato chiamano in causa il Sistema Sanitario nazionale sul fronte delle cure e dell’assistenza, dall’altro spostano l’asse dell’attenzione tra le schiere del silenzioso esercito dei caregiver, nel nostro Paese composto da circa 3 milioni di persone. Una volta diagnosticata una malattia degenerativa infatti la vita non cambia solo per la persona
ma anche per la famiglia e per tutti coloro che se ne prendono cura. Stando ai dati emersi dal rapporto elaborato nel 2016 da Censis e Aima, circa la metà dei caregiver di persone con Alzheimer
interpellati ha dichiarato di soffrire di depressione e di stress psicofisico. Una condizione di squilibrio che si ripercuote necessariamente nella sfera professionale ma anche nella gestione dei costi: l’80% della spesa totale della malattia, stimato intorno ai 15,6 miliardi di euro, è costituto in gran parte dagli oneri di assistenza sostenuti prevalentemente proprio dalle famiglie.
Ad oggi tuttavia il sostegno delle Istituzioni (Stato, Comuni, Inps) risulta essere minimo ed è a questo punto che subentrano realtà del terzo settore ben radicate sul territorio che diventano veri e propri punti di riferimento per le famiglie. È questo il caso dell’Associazione “Amici Alzheimer” fondata a Ostia da Claudia Martucci dopo che dieci anni fa a suo papà è stato diagnosticata una forma precoce di demenza fronte temporale.
Claudia Martucci, lei si definisce “figlia dell’Alzheimer”. Che cosa significa sentirsi tale?
Dopo alcuni anni dall’esordio della malattia di mio padre e dopo essermi resa conto delle grandi difficoltà nell’affrontare sia psicologicamente che burocraticamente i diversi aspetti che ruotano attorno a questa patologia, ho deciso di dare vita a questa esperienza con lo scopo di dare un sostegno concreto alle famiglie e di assumere la funzione di sportello informativo per tutte le persone che ne hanno bisogno. Su queste basi esattamente dieci anni fa, era il 2011, ho creato questa realtà che ad oggi segue 120 famiglie, anche se i numeri subiscono una continua evoluzione a seconda dei casi.
Un fondamentale presidio per le famiglie che si trovano ad affrontare una situazione inedita. Cosa chiedono le persone che si rivolgono al vostro sportello?
Un sostegno. In loro ritrovo me e la mia famiglia. Quando a papà hanno diagnosticato questa forma di demenza fronte temporale ci siamo sentiti disorientati e avevamo un disperato bisogno di informazioni sulla malattia. Proprio partendo da questa necessità abbiamo fatto in modo da subito che la nostra associazione potesse contare sul supporto di neurologi, geriatri, psicologi,
e ci siamo strutturati per poter dare un aiuto più concreto alle famiglie, sviluppando mirati progetti a favore dei malati e dei loro familiari.
Come è cambiata la vostra vita?
Era il 2008, mio padre aveva cinquant’anni e gestiva la famiglia e aveva un lavoro che lo caricava di responsabilità. Dopo un ricovero durato all’incirca due settimane, gli hanno comunicato che da quel momento avrebbe dovuto fare i conti con una malattia neurodegenerativa. Per tutti noi è iniziata una vera sfida: ci siamo orientati nell’organizzazione familiare per capire come procedere nel
futuro e ci siamo concentrati sulla nostra mamma. Occorre sempre pensare a chi resta accanto al paziente.
Raccontando questo delicato momento della sua vita lei parla di “cambiamento”. Effettivamente tutto assume una valenza differente per le famiglie che si trovano a dover fare i conti con l’Alzheimer. Non è così?
La famiglia vive una condizione di grande disorientamento non solo pensando al futuro ma anche nel momento in cui la persona affetta da Alzheimer comincia a compiere azioni che non hanno una vera logica. In questo caso pensi che non c’è una cura che possa bloccare il decorso della malattia e ti rivolgi ai medici. Ma quando il paziente torna a casa la famiglia resta da sola e deve affrontare tutta la complessità dell’assistenza. Ad oggi infatti lo Stato non è strutturato per aiutare queste famiglie e in molti non conoscono l’iter burocratico da seguire. A questo punto subentriamo noi affiancando le famiglie e accompagnandole in questo lungo percorso a ostacoli. Svolgiamo principalmente attività di orientamento e informazione.
In moltissimi ad esempio non conoscono la possibilità di attivare un sussidio economico…
Esattamente. Si tratta di servizi esistenti ma davvero poco noti al cittadino. Questa malattia socialmente costa tantissimo, non tutti i farmaci sono garantiti dal Sistema Sanitario. Esistono strutture private e specializzate con costi elevati ed è per questa ragione che in molti decidono di assistere a casa il paziente. Molte famiglie si presentano al nostro sportello muniti della relazione neurologica e clinica e ci chiedono cosa devono fare e cosa accadrà nel prossimo futuro. I nostri operatori delineano il quadro a partire dalle pratiche da attivare per ottenere il piccolo sussidio, e definiscono tutti i servizi che la rete socioassistenziale offre dando loro informazioni sul supporto psicologico. Se crolla il caregiver, crolla tutto il sistema.
Tra i progetti promossi e sviluppati dalla sua Associazione c’è “Progetto prevenzione Alzheimer”. Di cosa si tratta?
Crediamo fortemente nella “diagnosi precoce” e d’intesa con un’equipe medica specializzata abbiamo ideato il “progetto prevenzione alzheimer” offrendo la possibilità di sottoporsi al mini mental examination test (mmse), uno screening cognitivo utilizzato per la valutazione delle diverse abilità intellettive, un test utile e valutare la presenza di un possibile decadimento cognitivo. Lo screening da solo non può fornire una diagnosi di demenza, ma può aiutare a determinare che tipo di percorso diagnostico andrebbe intrapreso. Negli anni, l’associazione ha sempre più sviluppato la convinzione che le terapie non farmacologiche (in affiancamento alle terapie mediche), abbiano un’importanza notevole sui malati di Alzheimer, tra queste, la stimolazione cognitiva, lo yoga della risata. Grazie alla collaborazione con alcuni centri diurni infatti siamo riusciti a portare lo Yoga della Risata, un nuovo approccio rivoluzionario e scientificamente provato, in quanto lo Yoga della Risata rinforza il sistema immunitario, aiuta a respirare meglio, a portare molto più ossigeno al nostro cervello e a tutti gli organi, praticare lo Yoga della Risata, significa nutrire il corpo di energie qualitativamente migliori, aiuta a contrastare lo stress, a ricaricarci, a svuotare la mente dai mille pensieri. Abbiamo potuto notare che i pazienti sottoposti alle sedute di Yoga della Risata, erano più ricettivi e positivi.
A proposito di collaborazioni, in che modo una realtà come quella presieduta da lei viene supportata dalle Istituzioni?
Per poter fornire agli utenti un supporto completo e un servizio impeccabile non possiamo operare in autonomia. Quotidianamente ci confrontiamo con la nostra Ausl di riferimento e con i Servizi
Sociali comunali. Si tratta di un grande lavoro di integrazione che rafforza una rete importante. Ci piacerebbe strutturarla ulteriormente, non lo nego. I nostri rapporti sono aperti con l’Amministrazione comunale e con i Servizi sociali del territorio soprattutto in riferimento ai caregiver. Occorre dare alle famiglie il massimo supporto.
Oltre alle informazioni quali altri servizi garantite ai caregiver?
Li aiutiamo a gestire il paziente che vive ancorain casa attraverso corsi specializzati, a cui tutti possono prendere parte, concentrandoci sulla malattia, la gestione dei deficit cognitivi
e comportamentali, sul mantenimento dell’autonomia, la stimolazione cognitiva e la comunicazione con il paziente, sui servizi e la qualità della vita per le persone che assistono.
Finalmente, dopo due anni di pandemia, che hanno drammaticamente peggiorata la situazione di queste famiglie e degli stessi pazienti, torniamo ad operare con frequenza. Tutti possono contattarci allo 06 98.38.22.57 o al 340 6854064 ma anche indirizzando una mail a associazioneamicialzheimer@gmail.com.