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Roberta Zappasodi, una ricercatrice italiana premiata a Washington
Una vita per la ricerca, ma fuori dall’Italia.
Potrebbe essere così riassunta la storia di Roberta Zappasodi, 37enne di Cesena che ha ottenuto l’ambito riconoscimento dell’Issnaf Award, la Fondazione degli uomini e donne di scienza italiani in Usa e Canada, durante la cerimonia dell’Issnaf che si è svolta tra il 22 e il 23 ottobre presso l’Ambasciata italiana di Washington.
“I cinque giovani ricercatori, premiati dall’ISSNAF nel 2018, sono motivo di orgoglio per il nostro Paese. Professionalità, serietà e impegno sono la cifra distintiva dei giovani ricercatori e scienziati italiani in Nord America. Nella ricerca sulle leucemie, sulle bioscienze cognitive, nella matematica, nelle scienze ambientali e nelle neuroscienze, l’Italia e gli italiani sono sinonimo di eccellenza”, ha affermato l’ambasciatore d’Italia negli Usa Armando Varricchio.
Noi abbiamo raggiunto la ricercatrice romagnola chiarendo con lei le finalità della sua ricerca.
In cosa consiste lo studio che ha presentato?
«Studio meccanismi d’azione mirati per abbattere le resistenze a una classe di farmaci immunoterapici, che vanno sotto il nome di checkpoint blockade, in quanto bloccano i freni molecolari allo scatto della risposta immune. Oggi siamo al livello successivo con l’utilizzo di questi immunoterapici: la ricerca di come superare le resistenze. Questo approccio ha rivoluzionato la storia clinica di malattie come il melanoma metastatico e il tumore al polmone. Non tutti i pazienti rispondono, e alcuni di quelli che rispondono possono sviluppare recidive in un secondo tempo. È fondamentale ora capire perché questo accade e intervenire farmacologicamente in modo preciso per evitare che accada. Lavorando in questa direzione, ho individuato una nuova popolazione di linfociti immunoregolatori, che vanno a limitare le risposte immunologiche contro il tumore, e che possono interferire con l’attività degli inibitori dei checkpoint immunologici. In particolare, ho riscontrato che l’inibizione del famoso checkpoint CTLA-4 aumenta i livelli di questa popolazione cellulare».
Perché ha deciso di partite per l’America?
«Una volta terminato il dottorato presso l’Istituto nazionale dei tumori di Milano ho chiarito a me stessa che avevo bisogno di maggiori soddisfazioni e per fare questo sapevo che sarebbe stato necessario andare fuori dall’Italia. Sono stati i miei mentori a mettermi in contatto con il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York».
È partita con la certezza di farcela?
«All’inizio ero sicura che sarei rimasta un anno, e invece è da quasi sei che vivo e lavoro qui. Negli Stati Uniti l’importanza dello scienziato non è messa in discussione come spesso accade in Italia, anzi».
Lei ritiene che in America anche un tassista abbia considerazione di un ricercatore.
«In Italia manca la cultura della ricerca scientifica. Le persone non sono sensibili a questa causa. Probabilmente anche per il modo in cui si comunica la scienza. I risultati scientifici non devono essere necessariamente grandi scoperte, sono piccoli passi che hanno il potenziale di migliorare la nostra vita su questo pianeta. Bisogna spiegare che non esiste una proporzione diretta fra denaro investito nella scienza e innovazione scientifica. Gli scienziati sono abituati a sconfitte più che a vittorie. E questo va accettato non solo da chi fa lo scienziato. Un’esclamazione tipica americana in risposta a un esperimento venuto “male”, o meglio che non va secondo l’atteso, è: “it’s science!”. All’inizio non capivo, ma poi il concetto di “it’s science” è diventato chiaro: con il metodo scientifico cerchiamo di capire aspetti che non conosciamo sulla base della nostra intuizione. Anzi di fronte a risultati controintuitivi è necessario andare più a fondo, con il rischio di non sapere se ci sarà la “scoperta”».
Quali sono dunque le caratteristiche di un ricercatore?
«Tenacia, coraggio e resilienza sono le qualità che uno scienziato deve coltivare ogni giorno, perché in fondo investe tutto il suo tempo a studiare meccanismi sconosciuti. Con il mio lavoro, vorrei contribuire a trovare qualche tassello del puzzle molto complesso dell’immunologia dei tumori e a metterli insieme al posto giusto rispetto ai tasselli che hanno trovato e che stanno trovando altri scienziati».
Tornerà in Italia?
«Mi piacerebbe, per gestire un centro di ricerca o per organizzare la redistribuzione dei fondi».