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Sally Galotti porta l’umanizzazione pittorica negli ospedali italiani. La cura della persona passa attraverso gli spazi
Restituire il giusto look alle pareti di un ospedale e migliorare il percorso di cura dei piccoli pazienti, ma anche dei loro cari e degli operatori che 24 ore su 24 si prendono cura di loro. È questa la straordinaria e del tutto inedita mission di Sally Galotti, designer e cartoonist che dopo aver lavorato nel settore della comunicazione pubblicitaria, e come illustratrice e creativa presso l’Accademia Disney, nel 1997 è diventata ideatrice e realizzatrice del sistema di Umanizzazione Pittorica, dando principio così alla sua esperienza per passione negli ospedali della Romania con Mino Damato.
Sally, quando tutto ha avuto inizio e cosa l’ha spinta a vivere gli ospedali con un’ottica completamente inedita?
Tutto è iniziato nel 1997 quando sono stata chiamata casualmente a decorare un ospedale in Romania per bambini orfani malati di Aids. Io ero già illustratrice Disney, ma quella esperienza ripetuta diverse volte mi ha segnata e mi ha portata a fare delle riflessioni, così ho pensato di creare un marchio mio per i bambini ospedalizzati. Quando ero all’opera restavo impietrita alla loro presenza: si alzavano dai letti e disegnavano con me, riuscendo in tal modo a superare con la fantasia la loro malattia. Ho deciso di lasciare la Walt Disney Company e da 21 anni mi dedico a questo, all’umanizzazione pittorica.
In cosa consiste?
Non sono certa di conoscerne ancora la ragione, ma ho sempre avuto la passione di visitare gli ospedali del mondo. 25 anni fa tutte le strutture erano disegnate a mano, ma in mente avevo un’idea diversa di quegli spazi e di come essi potessero essere parte viva della cura di ogni singolo paziente. Ho così assimilato un certo concetto sanitario che prevede una cura del paziente per intero e non solo nelle sue parti malate. A tal proposito, chiedo di essere a contatto con i genitori e con i pazienti stessi, perché pur avendo una formazione come pubblicitaria e artista sono diventata design, che significa usare le proprie competenze a servizio di una necessità sociale e renderla a livello scientifico in accordo con la realtà ospedaliera.
Un concetto di cura la cui efficacia è stata dimostrata scientificamente dalla Facoltà di Psicologia dell’Alma Mater di Bologna.
Esattamente. Ho chiesto al Dipartimento di Psicologia di dimostrare con studi empirici l’efficacia di queste opere negli ospedali. Al momento esistono 7 studi che dimostrano la qualità affettiva degli ambienti sanitari. Il giusto ambiente contribuisce all’accoglienza rassicurante e al ricovero sereno di chiunque, e tale attenzione aiuta a guarire e a ridurre i giorni di degenza, contenendo così in maniera sensibile i costi della sanità. L’Healthcare design deve diventare parte della cura come la vedono in India, dove adottano la cromoterapia e la musicoterapia, ad esempio, avendo loro una concezione più spirituale della cura. Le diverse ricerche scientifiche hanno dimostrato che la qualità affettiva degli ambienti viene percepita dalle persone. Cosa importante è che a seconda del tipo di degenze e di patologia c’è bisogno di un tipo specifico di design perché ciascun paziente, operatore o familiare ha una percezione diversa anche a seconda della patologia.
Quali sono le particolarità dell’umanizzazione pittorica?
Tecnica. Psicologia. Design. C’è da dire innanzitutto che l’umanizzazione non è un’idea ma una tecnica. Alla base di questo progetto scientifico c’è un modo di pensare collettivo e che comunque tenga in considerazione l’esistenza di un sistema normativo atto a regolarizzare la vita all’interno degli ospedali. Ogni materiale di cui mi servo, ad esempio, è a norma e non è nocivo. È un aspetto importante anche perché quando un paziente entra in un reparto ha bisogno di sentirsi coccolato per essere a proprio agio e per poter ritornare. All’ospedale ‘Mangiagalli’ di Milano abbiamo riscontrato che se l’ambiente migliora con il profumo di rose o con situazioni più da istituto di bellezza che da ospedale, a livello di prevenzione la donna ritorna più volentieri e spesso con buona volontà. È dunque necessario che il sistema sanitario inizi a gratificare anche da questo punto di vista pazienti e operatori.
L’ultima sua esperienza ha riguardato l’ospedale pediatrico Giovanni XXIII di Bari. Come è nato il progetto?
Il reparto di Risonanza magnetica dell’ospedale pediatrico Giovanni XXIII di Bari si è vestito a festa. Colori e disegni hanno infatti ricoperto pareti e macchinari per creare un ambiente più confortevole e a misura di bambino. È il risultato di un progetto originale, ‘Coloriamo la gioia’, voluto dal Rotary Club Bari Sud e finanziato da Masmec, azienda barese di automazione. L’iniziativa ha un carattere pioneristico non solo perché è la prima volta che viene realizzata al Sud, ma in quanto prima in tutta Italia ad avere anche una valenza scientifica. La percezione dei nuovi ambienti infatti sarà oggetto di studio e i risultati saranno consegnati alla Commissione sanità del Governo italiano.
La sua soddisfazione più grande?
Vedere un bambino che entra in un reparto e ride, questa è la mia missione compiuta. In tanti casi ci sono anche degli operatori come clown che svolgono arte-terapia, musico-terapia, teatro, questo contenitore vivace e colorato offre le giuste basi e quando i clown vanno via nei bimbi resta la loro presenza grazie alle immagini che rivestono le pareti e gli spazi in cui vivono spesso a lungo. È un lavoro che diventa parte della cura.