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Sanità quanto mi costi? La realtà degli ospedali classificati e le soluzioni a tariffe sociali.
Perché ogni volta che c’è la necessità di fare sacrifici economici a causa dei tagli alle Regioni, il settore sanitario è il primo ad essere colpito? Èuna domanda che negli ultimi anni ci poniamo spesso soprattutto perché a farne le spese è proprio il diritto alla salute del cittadino.
A farci riflettere ancor di più sono i dati che evidenziano una situazione non proprio florida per il nostro Paese con la nuova legge di stabilità che ha sancito tagli alle regioni per 4 miliardi di euro.
Il rapporto “Noi Italia” 2015 dell’ISTAT, offre una fotografia di come stanno andando le cose.
La spesa sanitaria italiana dal 2010 al 2013 è calata del 2,8%. Nel 2012 risultava essere poco meno di 2.500 euro procapite, inferiore a quella dei maggiori paesi europei, ammontando a circa 111 miliardi di europari al 7% del PIL.
Sempre nel 2012 le famiglie italiane hanno contribuito con le proprie tasche alla spesa sanitaria con una quota pari al 20,8%, in calo di più di 2 punti percentuali rispetto al 2001. La spesa sanitaria delle famiglie era nell’ordine dell’1,8% del PIL nazionale.
Per quanto riguarda l’offerta dei posti letto da parte delle strutture ospedaliere l’Italia, nel 2011, con 3,4 posti ogni mille abitanti, si collocava al 23° gradino della classifica. L’offerta di questi dipendeva dalle scelte di politica sanitaria e dalle caratteristiche del nostro sistema sanitario.
Insomma, un quadro questo che evidenzia che con i tagli al bilancio della Sanità degli ultimi anni, la situazione in Italia è diventata sempre più precaria. Secondo le stime delle Regioni, nel 2012 sono mancati complessivamente 3 miliardi di euro e nel 2013 ben 5 miliardi e mezzo.
È notizia recente, inoltre, la discussione sull’ennesima riduzione di finanziamenti per una cifra di 2,450 miliardi di euro.
Per l’ISTAT,cisono210.406 posti letto (quelli pubblici e quelli privati accreditati), dato compatibile,secondo il nuovo regolamento,con una popolazione di 70 milioni di persone (superiore quindi ai 60,783 milioni, ultimo dato disponibile dell’ISTAT).
E i nuovi standard messi a punto dal Governo, prevedono che i posti ospedalieri non possano superare il 3,7 per mille, di cui il 3 per mille per gli acuti e lo 0,7 per la lungo-degenza e la riabilitazione.
Questo potrebbe comportare ticket più cari, tagli al personale medico e infermieristico e alla spesa per macchinari e un’ ulteriore riduzione dei posti letto.
Le conseguenze di un sistema sempre più costretto a stringere la cinta, da Nord a Sud del Paese, porta a situazioni nelle quali i medici e i direttori sanitari sono chiamati a prendere decisioni importanti davanti a eventi delicati e di grande responsabilità,proprio per salvaguardare la salute del cittadino.
Un esempio è quello che si è verificato qualche mese fa in un noto ospedale pediatrico di Milano che ha visto i medici dover prendere una decisione difficile: accettare o meno il ricovero di un bambino affetto da una grave malattia che avrebbe comportato una spesa pari a circa 50 mila euro nonostante il budget fosse giàin rosso di 100 mila euro. I medici hanno deciso per “alzata di mano” a favore del ricovero e il bambino è stato curato. Ma di fronte a una situazione del genere sorge spontanea una domanda: è possibile che un medico, che dovrebbe soltanto applicare il codice deontologico debba soffermarsi a riflettere se la struttura ospedaliera per la quale lavora è in grado o no di sostenere le spese e le cure necessarie per un ricovero? La risposta è NO!
Se ci spostiamo al Sud d’Italia ricordiamo un altro caso, del quale si è discusso molto in questi giorni, quello della morte in ambulanza di Nicole, neonata di Catania, nata in una clinica privata che, a causa di problemi ai polmoni, era diretta nell’ospedale di Ragusa perché negli ospedali catanesi non si trovava un posto di rianimazione neo-natale. Tagli ai posti letto, appunto.
Una sanità, quella italiana, che da Nord a Sud è sempre più costretta a stringere la cinta con conseguenze devastanti.
Per capire meglio l’attuale situazione in cui verte la sanità e i “conti” che i direttori sanitari devono fronteggiare ogni giorno, abbiamo incontrato il dott. Giovanni Roberti, Direttore Sanitario Aziendale degli Ospedali Fatebenefratelli Provincia Romana.
Il dottor Roberti, opera nel settore da circa 35 anni e dirige quattro strutture ospedaliere classificate, una nel Lazio, due in Campania, una in Sicilia e una struttura di riabilitazione e Alzheimer nel Lazio, presso la città di Genzano di Roma.
Con lui abbiamo affrontato, innanzitutto, le differenze tra il sistema sanitario pubblico e quello convenzionato- classificato, in particolare considerando le differenze nella modalità di finanziamento da parte della Regione, sulla diversa incidenza dei tagli, e sui costi paradossalmente differenti per erogare la stessa prestazione.
Dott. Roberti, gli ospedali Fatebenefratelli sono ospedali classificati, mi spiega bene come funzionano e come operate rispetto alle strutture pubbliche?
“Ospedale classificato significa equiparato, nel senso che i requisiti strutturali e l’organizzazione delle attività e servizi devono essere qualitativamente gli stessi delle Strutture Pubbliche. Per poter erogare qualsiasi prestazione, oltre alla struttura, occorre attenersi e rispettare i cosiddetti Livelli Essenziali di Assistenza ( L.E.A.) con cui il SSN assicura prestazioni e servizi a tutti i cittadini indipendentemente dal reddito e luogo di residenza esigendo o meno il pagamento di un contributo meglio noto come ticket.
La prima differenza tra il classificato e la struttura pubblica è il titolo di proprietà. I Fatebenefratelli sono di proprietà di un Ordine Religioso, la Struttura pubblica è dello Stato, ma entrambi hanno l’obbligo di erogare i servizi sanitari qualitativamente idonei per il cittadino.
La seconda è il finanziamento: quello di un ospedale convenzionato/classificato come quelli che rappresento, è a tariffe predeterminate con tetto di Budget definito. In pratica, le Regioni ci forniscono un finanziamento sapendo già quanto spenderanno a preventivo per i servizi richiesti. Il Pubblico invece usufruisce di un finanziamento “a bilancio” sostanzialmente quindi a consuntivo. Il sistema tariffario è uguale per tutti (tutte le patologie sono state raggruppate in circa 550 gruppi e per ciascuno corrisponde una tariffa) con la differenza che per i classificati vengono applicate in maniera tassativa, (cioè in funzione di quello che facciamo rispettando i limiti di spesa imposti), mentre il pubblico mantiene la possibilità di avere la flessibilità del tetto usufruendo necessariamente di “ripiani” rispetto al preventivato. Ad esempio, quest’anno nell’ospedale di Roma San Pietro Fatebenefratelli abbiamo un eccesso di produzione di 1 milione di euro che, eccedendo il tetto prefissato, non sarà pagato nonostante si siano comunque erogate le prestazioni relative, molte di esse con accesso di P.S.”.
Quanto incide il taglio alla sanità per le strutture come quelle gestite da lei, rispetto al pubblico? Siete più sacrificati?
“Sì, e c’è un altro aspetto che non deve essere sottovalutato: può prevedersi che i tagli alle regioni non saranno omogenei perché ci sono regioni come il Trentino e il Veneto che sono in grado di lavorare meglio anche nel pubblico. Quindi dove andranno ad incidere le sforbiciate? In quelle realtà dove la spesa Sanitaria è maggiore e per noi, Strutture classificate, i tagli saranno maggiori rispetto al pubblico perché insistenti in Regioni quali Lazio, Campania e Sicilia dove l’efficienza del Sistema è più debole.
Le strutture classificate, ogni anno, percepiscono un finanziamento ben determinato per effettuare un certo numero di prestazioni altrettanto tariffate. Questo finanziamento, per la “produzione” da ricovero , corrisponde a c.a. l’ 80% del totale di Budget, mentre il restante è legato ai servizi di pronto soccorso e alla attività della unità di rianimazione. Risulta invece che il servizio pubblico, indipendentemente dalla produzione può usufruire di ripiani dal preventivato. Sostanzialmente per lo stesso numero e tipo di prestazioni, nel pubblico si spende dal 20 al 30% in più che da noi, con minore possibilità di controllo della spesa. Per le strutture classificate non può esservi alcuni ripiano per via del tetto fisso” predefinito”.
Quindi lavorate allo stesso modo del pubblico, con gli stessi standard di qualità, ma con risorse economiche predefinite sempre di minore entità e con meno personale?
“Sì, come ho detto prima, la struttura pubblica ha costi maggiori rispetto alle Strutture Classificate, con risorse vincolate e quindi “costrette” alla massima efficienza. Ad esempio, sulla base dello stesso numero di ricoveri corrispondente su base tariffaria ad un costo X, i classificati con oculata gestione del personale e con un budget a “preventivo” limitato e certo, lavorano allo stesso modo del pubblico che ha un budget a consuntivo e variabili del personale meno controllate.
Il costo della sanità con i nostri ospedali ritengo sia pari al 50% di quella delle strutture pubbliche”, considerato che anche ristrutturazioni, messe a norma e acquisizioni di tecnologie pesanti sono a totale carico del Fatebenefratelli”.
E in che modo riuscite a far quadrare i conti?
“I ripetuti abbattimenti di Budget negli ultimi anni ci hanno fatto necessariamente agire preventivamente e sono ormai 15 anni che adottiamo questo sistema. Esercitiamo un controllo minuzioso sulla spesa (acquisti, consumi e personale) e attuiamo strategie per raggiungere dei compromessi: una delle misure è un relativo blocco del turnover, la rinegoziazione dei contratti con i fornitori, l’attuazione di “acquisti centralizzati” per le 5 Strutture, il contenimento degli incentivi dello straordinario per il personale, la sostituzione del personale con liberi professionisti. Tutto questo ha portato conseguenze: il paziente si troverà di fronte a liste di attesa più lunghe. Ma da Gestore devo comunque cercare di compensare la perdita economica dovuta ai tagli di budget ai fini della sostenibilità aziendale e per questo si è cercato di offrire i servizi, sia ambulatoriali che di ricovero, attraverso una nuova offerta “a pagamento”, con “tariffe sociali” le minori possibili per il cittadino. Ovviamente usufruire di questi servizi è a totale discrezione dell’utente e io Gestore devo chiaramente documentarne il motivo.”
È per questo quindi che un utente, davanti a un qualunque sportello del Cup, può scegliere se usufruire di una prestazione erogata secondo le regolamentazioni del SSN, cioè con impegnativa e relativo pagamento del ticket, dove i tempi sono medio-lunghi (per i tetti impartiti dalla Regione), mentre pagando una “tariffa sociale”, credo pochi euro in più del Ticket, il paziente ha la possibilità di avere la stessa prestazione, con stessi mezzi e stessa qualità, nel giro di solo qualche giorno? È così?
“Sì e non ho alternative, devo continuare a garantire il servizio. Facciamo un esempio: se in un anno abbiamo a disposizione un Budget di finanziamento per la radiologia (che per il sistema tariffario corrispondono a 100 tac, 100 risonanze magnetiche, 100 eco) e nel mese di marzo abbiamo terminato il budget, per erogare il servizio al cittadino per i successivi 9 mesi non possiamo fare altro che offrire questo altro servizio con un pagamento leggermente superiore rispetto a quello che si sarebbe pagato con il ticket. Quella piccola cifra in più è costruita sulla base dei costi che si hanno per sostenere l’erogazione del servizio (turni di lavoro suppletivi, utilizzo dei macchinari,etc). Il tutto nella speranza e nella informazione dell’utente. Questo sistema è stato adottato a seguito dal taglio del 7% del 2012” e degli ulteriori tagli di Budget negli anni successivi”.
Un altro aspetto che preoccupa il cittadino è la progressiva diminuzione dei posti letto negli ospedali coinciso con aumento del numero di accessi ai pronto soccorso. Quanto influisce questo aspetto all’interno delle vostre strutture e come reagite? Negli ultimi anni quanti posti letto avete perso?
“Negli ultimi 2 anni, in tutte e cinque le strutture del Fatebenefratelli Provincia Romana,abbiamo perso oltre 120 posti letto destinati ai ricoveri acuti, sia pur con parziale riconversione per ricoveri, riabilitazione, RSA, Alzheimer. Al Buccheri La Ferla di Palermo ad esempio è stata attivata la riconversione 3 anni fa realizzando una Struttura Polispecialistica di eccellenza in tale campo. Devo però precisare che la diminuzione dei posti letto è comunque un dato relativo, nel senso che se da un lato è cambiata la modalità dell’assistenza, (oggi si resta in ospedale mediamente 5-8 giorni, contro gli 8/10 di 10 anni fa), dall’altra risulta ancora carente quella rete territoriale che permette la rapida dimissione del paziente e la ricollocazione in altre strutture post acuzie. Purtroppo è visibile a tutti la drammatica realtà in cui vertono oggi i pronto soccorso che sono sempre affollati, personalmente non ho mai assistito ad una situazione come quella che stiamo vivendo oggi, correlata anche a questo squilibrio di p.l.. La Regione Lazio, per far fronte a questa situazione di emergenza, da dicembre a febbraio ha concesso 3 mesi di ulteriore budget alle case di cura private (senza P.S.) per aprire nuovi posti letto, cosa che invece non è stata concessa al Fatebenefratelli pur avendo ricoveri maggiori rispetto al previsto proprio perché sede di P.S..In questa fase di transizione dovrebbe esserci maggiore cautela con la chiusura di p.l. per acuti”.
Lei è il direttore sanitario aziendale della Provincia Romana FBF che comprende, come abbiamo detto, 5 Strutture nel Lazio, Campania e Sicilia. Quali sono le differenze? E quale presenta maggiori criticità?
“Nessuna differenza , in termini di rapporti e a seconda delle annate, andiamo meglio in una Regione rispetto ad un’altra.
A mio avviso non si comprende appieno che trattasi di Strutture “non profit”, che erogano un servizio pubblico e che costano alla comunità di meno, per altro ad oggi le uniche davvero controllate (e sanzionate) rispetto ai requisiti sull’accreditamento e all’appropriatezza delle prestazioni.
Partecipiamo seriamente ai programmi di revisione della Rete Ospedaliera Regionale come dovuto, ma constatiamo il permanere di notevoli discriminazioni rispetto ai restanti erogatori “pubblici”.
Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, in una recente intervista rilasciata ad un quotidiano nazionale ha dichiarato che ha avviato un tavolo per il rilancio della Sanità Integrativa perché per assicurare delle cure importanti e costose a tutta la collettività, una parte potrebbe essere sostenuta da questa terza gamba. Che ne pensa?
“Come le ho detto prima, noi per quanto possibile, già dal 2012 cerchiamo di compensare i tagli attraverso un’offerta diretta al cittadino con delle linee di attività parallele che sono a pagamento adottando le tariffe più basse possibili”.
In un quadro come questo dove, da una parte le strutture pubbliche con servizi carenti ed erogazioni limitate a causa dei crescenti e forti tagli economici, le strutture classificate, anch’esse ancora più colpite dalle sforbiciate delle Regioni, e dall’altra il cittadino che sempre più spesso è costretto a scegliere altre soluzioni per evitare sia lunghe liste di attesa che una riduzione all’osso delle spese per malattie o interventi chirurgici, il rilancio della Sanità Integrativa, con le Società di Mutuo Soccorso, Casse di Assistenza Sanitaria e Fondi Sanitari, senza scopo di lucro, risulterebbe essere l’unica valida soluzione. A differenza delle compagnie di assicurazione, infatti, il sistema in cui opera il Mutuo Soccorso, è di natura mutualistica, si rivolge a persone di ogni età, professione indipendentemente dal loro stato di salute o storia clinica e sono organizzazioni no profit regolamentate dalla normativa che si fonda sulla legge del 15 Aprile 1886 n°3818.