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Sempre più donne in sanità ma non ai vertici
Dottoressa Graziana Gallo: “Necessaria una cultura scevra da ogni preconcetto”
In Italia la sanità è donna ma la parità di genere non è ancora stata raggiunta. È quanto emerso dall’analisi realizzata dalla community ‘Donne Protagoniste in Sanità’, che raggruppa le professioniste del settore: dal top management delle aziende pubbliche e private, fino alle operatrici socio-sanitarie, ma anche politiche, accademiche e giornaliste. Dalla fotografia scattata, e anche sulla base dei dati disponibili del Conto annuale del ministero dell’Economia e delle Finanze, nel Sistema Sanitario Nazionale sono impiegate complessivamente 12.822.857 persone, di cui il 63,5% donne. Ma dal Rapporto Oasi 2019 dell’Osservatorio sulle aziende e sul Sistema sanitario italiano, curato insieme da Cergas e Bocconi, emerge che solo il 32% dei direttori di struttura semplice e il 16% dei direttori di struttura complessa è donna. Un dato che se da un lato non corrisponde con la percentuale di quote rosa presenti all’interno del Ssn, e che dall’altro poco familiarizza con il 2021. Difatti, sebbene le donne siano una componente decisiva del sistema sanitario italiano non sempre, e non nella maggior parte dei casi, ricoprono posizioni ai vertici.
Come rivela il Sole 24 ore, nel corso dei primi dieci giorni di settembre le donne della community saranno coinvolte in 25 incontri online, in cui si affronteranno tematiche che spaziano dalla digitalizzazione alla transizione ecologica, passando da istruzione e ricerca, inclusione e coesione, salute, comunicazione e parità di genere. La presenza femminile è molto variabile a seconda della categoria professionale cui si fa riferimento. Se, ad esempio, quasi il 78% del personale infermieristico è costituito da donne, tra i dirigenti medici con contratto a tempo indeterminato le donne sono solo il 48,1%. In più, solo il 9,1% delle dirigenti medico donna riveste il ruolo di direttore di struttura (complessa o semplice).
Nello specifico, e avanzando con qualche esempio, stando ai dati in possesso della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, le donne medico presidenti o vicepresidenti dei 106 ordini italiani sono solo 20. Dei 15 membri del Comitato centrale della Commissione Albo Medici due sono donne e, tra i 9 componenti della Commissione Albo Odontoiatri, solo una presenza femminile. Inoltre, dai dati forniti dalla Federazione nazionale Ordini dei Tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione emerge che, sebbene il 65% degli iscritti sia rappresentato da donne, soltanto in 11, pari al 18%, ricoprono il ruolo di presidenti dei 61 Ordini TSRM e PSTRP, percentuale che sale al 42% se si analizzano i numeri relativi ai presidenti delle 19 Commissioni di albo nazionali. Passando agli infermieri, il 76% degli iscritti all’albo in Italia è donna e la percentuale arriva al 98% se si estrapolano i dati relativi agli infermieri pediatrici.
Sulla base dello studio pubblicato abbiamo interpellato la dottoressa Graziana Gallo, Dirigente medico del reparto di Anatomia patologica dell’Ospedale Bufalini di Cesena, laureata al Policlinico di Bari e specializzata al policlinico di Modena.
Dottoressa, sempre più donne lavorano in sanità ma non sono mai abbastanza coloro che ricoprono posizioni organizzative di prestigio. Come commenta questo dato?
Lo studio definisce pienamente il contesto lavorativo italiano relativo all’ambito sanitario ma non lo leggo negativamente. Il 63,5 per cento di donne intraprende una carriera in questo settore e molte sono le colleghe che con determinazione, impegno e costanza raggiungono gli obiettivi stabiliti all’avvio del percorso. Certamente, le posizioni organizzative restano occupate dagli uomini ma se confrontato con gli scorsi anni, il contesto odierno non è discutibile. Tanti infatti sono i risultati raggiunti. Negli ultimi 15 anni infatti il Sistema Sanitario Nazionale registra un incremento notevole di presenze femminili nell’ambito della sanità e nelle posizioni ai vertici. Ci sono diversi ambiti di prevalenza: le figure dirigenziali di un reparto sono ancora molto maschili, ma anche qui si ravvisa un aumento delle donne. Ancora: per l’équipe medica la figura della donna è sicuramente in netto aumento, l’ambito chirurgico invece è ancora molto maschile.
L’Italia differisce dagli altri Paesi?
All’estero non è così diverso da noi: in Austria, a Vienna, l’organico è totalmente maschile. La visione della donna è sempre stata relegata alle professioni sanitarie e all’ambito infermieristico. Credo sia più frutto di una dimensione socio-culturale che per secoli è stata imperante. Ancora oggi il paziente in corsia se si rivolge a un uomo crede automaticamente che si tratti di un ‘dottore’, se invece si imbatte in una donna dà quasi per scontato che davanti ci sia un’infermiera. In medicina, ma così come in tutte le altre professioni, non esiste il sesso maschile e il sesso femminile, ma ci sono le persone. Anzi, la donna qui è molto più poliedrica rispetto all’uomo. Occorre sviluppare una cultura di genere scevra da ogni preconcetto.
Un nodo storico da sciogliere…
Negli anni sono stati raggiunti risultati anni addietro del tutto impensabili. Le donne nella medicina, nella scienza e nella ricerca sono oggi protagoniste. In passato non avevano il diritto neppure di indossare un camice. Quello del cambio di genere è un nodo che interessa molte realtà lavorative e quelle sanitarie in particolare. Chirurghi, internisti o medici dell’emergenza vedono prevalere sempre di più il genere femminile che gradualmente raggiunge anche posizioni dirigenziali. Con ogni probabilità il ‘rischio’ della maternità ha rallentato questa spinta e le donne madri lavoratrici non venivano fornite le condizioni necessarie a questa crescita.
L’Estero resta alla pari dell’Italia anche nell’approccio alle cure?
No. La mia esperienza in Turchia, in Austria e a Malta mi ha dato modo di toccare con mano il diverso approccio dei sistemi sanitari dei rispettivi Paesi. In Italia, dalla formazione, c’è un approccio molto teorico. All’Estero invece il fare pratico è presente sin dai primi anni di studio. Ho avviato il mio percorso a Vienna quando frequentavo il quarto anno di Medicina e dopo poche ore ero già in sala operatoria. In Italia non accade.