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Sindrome di Rett: in viaggio verso la speranza. La storia della piccola Sofia
Grandi occhi verdi che sprigionano gioia e amore infinito, grandi sorrisi verso il mondo che la circonda e lunghi capelli castani. Lei è Sofia, una bambina deliziosa che, da quasi 4 anni, con la sua famiglia, si è trasferita a Dubai, negli Emirati Arabi. All’età di 21 mesi le è stata diagnosticata la Sindrome di Rett.
La Sindrome di Rett è un disordine genetico del sistema nervoso che causa una regressione (perdita) del linguaggio e delle competenze motorie. E’ stata a lungo considerata uno dei disturbi pervasivi dello spettro autistico (DPSA) finché, nel 1999 è stata accertata la causa genetica (ma non ereditaria) della malattia.
E’ causata da una mutazione che si verifica sul gene MECP2, nel cromosoma X. Si verifica in un caso ogni 10.000 – 12.000 nuove nate, e colpisce quasi esclusivamente le femmine. I soggetti maschi che presentano il gene difettoso generalmente non giungono alla nascita in quanto non hanno il cromosoma X addizionale necessario per compensare parzialmente il problema, ma possono avere un disturbo molto simile, la “sindrome da duplicazione del MECP2”.
L’aspettativa di vita dipende principalmente dalla severità dei sintomi e dalla capacità di riconoscere e intervenire tempestivamente sulle eventuali situazioni a rischio che si possono manifestare nel corso degli anni. Molte adolescenti non sopravvivono alle complicazioni delle infezioni polmonari, ma ci sono donne che vivono oltre 40 anni e qualcuna riesce a superare i 60.
Le bambine con la Sindrome di Rett possono mostrare, nei primi anni di vita, anche comportamenti di tipo autistico (motivo per il quale spesso la malattia viene diagnosticata erroneamente come autismo), quali la compromissione dell’interazione sociale e della comunicazione: tipicamente hanno uno sviluppo normale fino a 18 mesi, seguiti da un’improvvisa perdita (regressione) del linguaggio e delle competenze motorie già acquisite.
La caratteristica più tipica della malattia è quella delle stereotipie manuali: stropicciare le mani, stringerle, agitarle, batterle, mimare il gesto di lavarle e portarle alla bocca. Ogni soggetto ha una propria storia clinica: la stragrande maggioranza delle bimbe con la Sindrome di Rett perde l’uso della parola, con abilità comunicative largamente compromesse, alcune mantengono qualche parola, altre non imparano mai a gattonare e camminare. Altre ancora ci riescono, ma perdono parzialmente o completamente queste abilità durante la regressione, mentre chi mantiene la capacità di camminare ha un andamento tipicamente atassico.
La stragrande maggioranza delle bimbe con Sindrome di Rett soffre di una varietà di difficoltà respiratorie, incluse le apnee (sospensione del respiro), l’iperventilazione (respirazione eccessiva) e l’aerofagia (ingoiare aria).
Crisi epilettiche, tipicamente farmaco-resistenti, vengono sviluppate in più dell’80% delle pazienti affetti da Sindrome di Rett, spesso a partire dai 4-6 anni di età. Altri sintomi neurologici sono spesso presenti, quali tremori o disturbi del sonno.
Osteopenia, osteoporosi, frequenti fratture ossee e, cosa più importante, scoliosi, sono caratteristiche ricorrenti della Sindrome di Rett, che iniziano a manifestarsi tipicamente a partire dagli 8 anni di età.
Ad oggi, non c’è ancora una cura per la Sindrome di Rett e in molti casi i sintomi fisici possono essere alleviati e parzialmente gestiti tramite un corretto approccio terapico che includa la fisioterapia, la terapia occupazionale e la comunicazione aumentativa-alternativa.
In Italia, quanti sono i bambini a cui è stata diagnosticata la Sindrome di Rett?
Lo abbiamo chiesto al professor Giuseppe Hayek, Primario del Reparto di Neuropsichiatria infantile dell’Ospedale Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena, centro di eccellenza e punto di riferimento italiano.
“Il Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena è il centro più grande in Italia ed è stato il primo a studiare la Sindrome di Rett. Ho avuto la fortuna di conoscere e collaborare con il professor Andreas Rett, di origine austriaca, che per primo nella seconda metà del 1900, ha descritto la malattia.
Sono circa 1000 in Italia i bambini con la sindrome, principalmente di sesso femminile, e quasi 500 sono in cura presso il centro di Siena e li seguo personalmente”.
Quali sono i risultati di un nuovo studio, pubblicato sulla rivista scientifica “BBA-molecular mechanim of disease”, a cui avete partecipato insieme all’Università di Ferrara, di Bari, Rotterdarm e Los Angeles?
“Sorprendenti. Lo studio è il risultato di un lavoro, condotto negli ultimi 5 anni, dai gruppi di ricerca di Siena e Ferrara. Oltre a mettere in evidenza novità importanti, per quello che riguarda uno dei meccanismi che possono aggravare la sindrome di Rett, svela per la prima volta, la fonte da cui si origina lo stress ossidativo presente nei pazienti affetti da Sindrome di Rett e dimostra anche l’incapacità delle cellule dei pazienti Rett di metabolizzare le proteine danneggiate”.
Abbiamo incontrato la mamma di Sofia, Benedetta, la quale ha raccontato la sua storia. Sofia non può parlare o utilizzare volontariamente le mani, non può correre o fare i gradini, ha difficoltà a mangiare, a dormire ed è facilmente sopraffatta dalle emozioni e dagli sbalzi di umore. Non può spiegare se qualcosa non va, se sente dolore, ma ci prova, se però proprio non ci riesce, la frustrazione la porta a urla disperate.
“Sofia fino ai 16 mesi di vita era una bimba sveglia e precoce nell’apprendimento. Parlava e camminava, niente poteva far pensare che qualcosa, in lei, non andasse – ha raccontato Benedetta – per lavoro ci siamo trasferiti a Dubai quando lei aveva 16 mesi e proprio nei due o tre giorni che hanno preceduto la partenza ha smesso di parlare. Inizialmente non mi sono preoccupata, perché tutti, intorno a me, erano concordi nel dire che certamente dipendeva dal caos che comporta un trasferimento all’estero. Una volta arrivati a Dubai, però ho iniziato a notare che Sofia non solo non parlava più, ma, soprattutto, non imparava più: aveva completamente smesso di imparare cose nuove e sembrava in difficoltà nel compiere anche i movimenti più semplici, come salire uno scalino o chinarsi per raccogliere un giocattolo. E’ stato questo il primo campanello d’allarme. Poi ci sono state le urla: terribili, strazianti, soprattutto di notte. Aveva sonno e non riusciva a dormire, voleva chiaramente comunicare qualcosa, ma non poteva. Quelle urla sono state, per me, la conferma che a Sofia stava succedendo qualcosa di grave: mia madre è un’insegnate specializzata in autismo e quel tipo di urla, per me, era così familiare…
Era il 2012. Dopo circa 4 mesi dal trasferimento siamo rientrati in Italia. Volevamo fare accertamenti approfonditi e capire cosa stesse succedendo a nostra figlia, perché a Dubai parlavano di autismo, ma mia madre era certa che non lo fosse. Per settimane Sofia è stata sottoposta a visite ed esami e nel frattempo sono state fatte le ipotesi più varie: dall’intossicazione da metalli pesanti indotta dai vaccini al citomegalovirus preso in gravidanza, da una lesione a un’infezione cerebrale. Poi, il 27 luglio, il verdetto: Sofia ha la sindrome di Rett”.
Per mesi hai vissuto con la preoccupazione che ci fosse qualcosa che non andava in Sofia. Cosa hai provato dopo la diagnosi?
“Avevo l’impressione che il cielo mi fosse caduto sopra la testa. Che nulla avesse più senso. Poi ho guardato mia figlia negli occhi: lei era sempre lei, era sempre lì, mi sorrideva, con quel suo sorriso pazzesco che, quando sorride, le sorridono anche gli occhi! Non potevo disperarmi, perché non aveva certo bisogno di una mamma disperata! Lorenzo, mio marito, la guardava mentre si sforzava di “spiegarci” cosa volesse, di darci un bacio, di giocare o di alzarsi da sola. “Siamo noi che dobbiamo essere alla sua altezza”, mi ha detto. Aveva assolutamente ragione! Così abbiamo cominciato a pensare a come reinventarci la vita a misura sua, a cosa fare, giorno dopo giorno, per fare stare meglio Sofia, per renderla felice. Da un lato abbiamo letto, studiato, ci siamo messi in contatto con altre famiglie Rett in Italia e nel mondo, abbiamo contattato medici e ricercatori per capire se potevamo fare di più e meglio e dall’altro abbiamo provato a creare un po’ di magia intorno a lei: Lorenzo ha progettato e costruito con gli amici un “magico” letto a dondolo per aiutarla ad addormentarsi, dei “magici” pulsanti VOCE hanno dato voce alla sua disperata necessità di comunicazione, “magici” amici hanno imparato come giocare con lei, “magiche” insegnanti hanno accettato la sfida di includere Sofia nella loro classe dell’asilo, “magici” fisioterapisti mi hanno insegnato come aiutarla a recuperare parte delle sue carenze motorie. Un po’ di magia, a poco a poco, ha fatto la differenza perché combattere contro la sindrome di Rett è come combattere contro i mulini a vento: lotti per mesi per far sì che tua figlia riesca a compiere di nuovo un piccolo, semplicissimo un movimento e poi in un attimo tutto il lavoro e le fatiche per raggiungere quel traguardo vengono meno. Le regressioni sono sempre in agguato. Il suo fisico fa un passo in avanti e tre indietro, mentre la sua sfera emotiva, psicologica e della comprensione resta adeguata alla sua età e cresce con lei”.
Quali sono state le conseguenze delle regressioni?
“Nel tempo, quegli “strani movimenti delle manine” sono diventate inarrestabili stereotipie: le agita, le stropiccia, le mette in bocca. Fino a ferirsele. Quelli che sembravano i semplici risvegli notturni dovuti a un brutto sogno si sono trasformati in risvegli continui accompagnati da urla, occhi sbarrati e tremori, seguiti dall’incapacità di addormentarsi di nuovo. Ecco perché il letto “magico”: solo dondolando Sofia riesce a rilassarsi e addormentarsi. Contemporaneamente ci sono stati gli sbalzi di umore: dalle più grosse risate alle urla inarrestabili e disperate, che sono cessate quando abbiamo introdotto la comunicazione aumentativa e siamo stati in grado di capirla un po’ meglio, ma hanno lasciato il posto alle difficoltà di masticazione, all’iperventilazione. L’ultima regressione, quella dello scorso maggio, ha gravemente compromesso la sua capacità di camminare e di dirigere la mano nel fare le scelte, la lingua fa sempre più fatica a restare all’interno della bocca e, nonostante tutti i nostri sforzi per prevenire la scoliosi, la sua schiena ha iniziato a incurvarsi”.
Da subito avete seguito delle terapie di tipo farmacologico e riabilitativo?
“Sì, ci siamo affidati alle cure del prof. Giuseppe Hayek che segue Sofia sotto il profilo clinico, ma a parte gli integratori, che sono fondamentali, non esistono ancora farmaci specifici. Al momento, non esiste nulla per contrastare efficacemente la Sindome di Rett ma, nel mondo, otto farmaci sono in fase di sperimentazione. Speriamo che almeno uno di questi si riveli efficace e sia presto disponibile sul mercato. Per quanto concerne la fisioterapia, siamo seguiti molto bene in Italia, dove bravissimi terapisti ci hanno insegnato tutti gli esercizi per prenderci cura di Sofia al meglio. Abbiamo fatto da soli per un intero anno, ma poi, a Dubai, nonostante la malattia fosse poco conosciuta, una clinica di chiropratica e fisioterapia ha deciso di regalare a Sofia un trattamento a settimana. L’anno scorso è arrivato dall’Italia un insegnante di nuoto e idroterapista che aveva già lavorato con una ragazza Rett in patria e da un paio di settimane un’insegnate di pilates italiana ci ha messo a disposizione l’accademia che ha appena aperto e tutto quello che sa pur di trovare nuovi esercizi che l’aiutino a mantenere il più possibile la schiena dritta!”
Sofia, come molti altri bambini con la Sindrome di Rett, è seguita dal professor Professor Giuseppe Hayek, al quale abbiamo chiesto quali sono le terapie che seguono i baby pazienti e in cosa consistono.
“Ad oggi non c’è un farmaco in grado di curare al 100% la malattia, quindi il nostro lavoro consiste nel provare delle sostanze che migliorano la qualità di vita dei bambini con la sindrome di Rett. Grazie ai progressi della ricerca, portati avanti da un gruppo di ricercatori che ha effettuato delle sperimentazioni su topi, sappiamo che la malattia è reversibile.
Nel nostro centro abbiamo eseguito una sperimentazione, un trial clinico, con un nuovo farmaco della Edison Pharma, società farmaceutica americana, che ha designato noi come unico centro al mondo per la cura sperimentale.
Alla nuova cura farmacologica, che è durata 6 mesi, si è sottoposta anche Sofia e in lei, come nelle altre 11 bambine, abbiamo notato la crescita della circonferenza cranica, quest’ultima una delle conseguenze della malattia che provoca appunto la microcefalia. Altri hanno avuto anche dei miglioramenti nella deambulazione.
Le terapie, che, come ho detto, hanno la finalità di migliorare la qualità di vita dei bambini, sono di tue tipi: la prima è quella farmacologica, che mira a un miglioramento della funzionalità generale (i pazienti con la sindrome hanno uno spaventoso stress ossidativo: significa che le cellule, se non espellono i radicali liberi, rischiano di morire anzitempo. Noi stiamo lavorando proprio per la diminuzione dello stress ossidativo).
La seconda tipologia di terapie invece, riguarda la parte riabilitativa attraverso la stimolazione muscolare e quella degli occhi: i bambini con la Sindrome di Rett parlano con gli occhi perché grazie a questo organo cercano di comunicare. Mostriamo loro delle immagini per scoprire qual è la cosa o l’oggetto che più desiderano. La terapia si chiama comunicazione alternativa. Inoltre necessitano anche della stimolazione a livello orale perché mostrano una certa difficoltà nel masticare e nella deglutizione. La malattia colpisce non solo il cervello, ma anche altri organi”.
Lei è il medico di Sofia, ricorda il vostro primo incontro?
“Impossibile non ricordare l’incontro con Sofia, lei è una bambola più che una bambina. Ha degli occhi meravigliosi. Sono circa 3 anni che la seguo. Sofia ha avuto un normale sviluppo poi verso i 16 mesi ha iniziato a chiudersi e a regredire. Per 6 mesi ha avuto una chiusura totale e non guardava quasi più negli occhi l’interlocutore. Ci sono volute stimolazioni, pazienza e amore per farla riprendere a esprimersi e per farci capire quello che desiderava”.
Nonostante le difficili condizioni, Sofia ogni giorno trova la forza di sorridere di nuovo. Per quanto frustranti possano essere le angoscianti sfide che deve affrontare, non si arrenderà come non lo faranno la mamma Benedetta e il papà Lorenzo ai quali è cambiata completamente la vita.
“Sono cambiati i sogni, i progetti – ha detto Benedetta – ma abbiamo fiducia che un giorno la ricerca genetica possa finalmente arrivare a curare la sindrome di Rett. Nel topo ci sono già riusciti e questa concreta speranza mi ha dato la forza per continuare a combattere.
E’ stato un altro dei giorni che non dimenticherò mai, quello della pubblicazione del professor Adrian Bird che dimostrava di aver curato il topo Rett. E’ come se il buco nero in cui credevo di essere sprofondata si fosse immediatamente trasformato in un tunnel con una luce in fondo.
Se qualcuno stava cercando di aiutare nostra figlia, noi volevamo contribuire ad aiutare loro, ma non essendo né medici né scienziati, l’unico modo in cui potevamo farlo era raccogliere soldi, nel nostro piccolo, per fare in modo che non dovessero mai interrompere il loro lavoro a causa di mancanza di fondi. Nell’ambiente si mormorava che, se non ci fossero stati problemi economici, sarebbe stato verosimile pensare di passare, in circa cinque anni, dalla sperimentazione animale (sui topi) a quella umana.
Abbiamo iniziato subito dopo quella pubblicazione, datata agosto 2013, a raccogliere fondi per il Rett Syndrome Research Trust. Si tratta di un’associazione internazionale fondata negli Stati Uniti da una mamma Rett di origini italiane, Monica Coenraads, che, tra le altre cose, ha promosso un consorzio tra alcuni dei più importanti ricercatori e genetisti, fino a quel momento “competitor” tra di loro, per far sì che la terapia genica sia realtà il prima possibile”.
L’amore di una mamma non conosce confini. Il tuo motto è “non arrendersi mai” e hai fatto “follie”, nel senso buono del termine, per alimentare la tua speranza.
“Non è questione di fare o non fare follie. E’ solo che, per citare nuovamente mio marito, “il piano B in questo caso non esiste”. Si va a tentoni, ma non si può non tentare. Due estati fa, ad esempio, sono andata fino in Puglia per cercare di incontrare il professor Angelo Vescovi, direttore scientifico della Casa sollievo della sofferenza di San Giovanni Rotondo, da Dubai alla Puglia, per cercare di parlargli e capire se le sue cellule staminali cerebrali, messe a punto per altre patologie, potessero portare benefici anche alle bambine Rett. A essere proprio sincera, speravo che si “innamorasse” un po’ di Sofia e decidesse, nonostante i suoi milioni di impegni, di volerci dare una mano! E’ stato davvero molto gentile e disponibile e ha accettato che lo mettessi in contatto con il prof. Hayek e la prof.ssa Nicoletta Landsberger, Professore associato in biologia molecolare all’Università dell’Insubria. Hanno preparato un protocollo di sperimentazione (sui topi) che verrà finanziata congiuntamente dalla nostra associazione e da Prorett”.
A tal proposito, abbiamo contattato la dottoressa Nicoletta Lansberger, la quale ha spiegato che “In Italia sono stati diagnosticati circa 600 pazienti, ma, in verità, considerando che l’incidenza della malattia è uguale in tutto il mondo, si stima ci siano circa 3000 persone, bambine, adolescenti e adulte, affette dalla malattia. La ragione di questa differenza numerica è perché la patologia è ancora piuttosto recente e le sue manifestazioni sono piuttosto variabili da paziente a paziente. E’ però molto chiaro che negli ultimi anni stia sempre più migliorando l’individuazione della malattia”.
La ricerca sta lavorando per arrivare a una cura definitiva, a che punto sono i lavori? Ci sono buone possibilità che tra non molto si possa arrivare a scoprire la cura?
“Nel 2007 con un approccio di ingegneria genetica, non applicabile all’uomo, è stato dimostrato che nel topo la malattia è completamente reversibile, in altre parole non c’è neurodegenerazione e si può intervenire anche in un animale adulto. Pur essendo ben consapevoli che l’uomo è molto più complesso del topo, dal momento che la mutazione in MeCP2 porta nei topi modello a sintomi molto simili a quelli umani, siamo fermamente convinti che questi dati suggeriscano che anche nell’uomo ci sia un’ampia possibilità di cura se troviamo il giusto approccio terapeutico. E’ quindi dal 2007 che molti laboratori di ricerca si dedicano alla malattia.
Due sono i principali approcci. Da un lato, la ricerca di una migliore comprensione della malattia; si stanno ancora percorrendo studi di ricerca di base, una ricerca in questi giorni piuttosto negletta, ma in verità fondamentale per l’identificazione di approcci terapeutici logicamente dedotti. Dall’altra, invece, usano le conoscenze fino ad ora prodotte dalla ricerca per provare approcci farmacologici (volti a restaurare funzioni trovate deregolate nei modelli della malattia) o di terapia genica. Per quel che concerne quest’ultimo approccio vale la pena sottolineare che nella sindrome di Rett si presenta particolarmente difficile perché bisogna correggere le cellule del cervello e il cervello rimane, ad oggi, certamente uno degli organi più difficile da raggiungere dai virus che portano il gene terapeutico e perché quando applichiamo la terapia genica non siamo ancora capaci di controllare il numero di copie di gene “cura” che entrano nelle cellule. Purtroppo sappiamo che le dosi del gene-causa della sindrome di Rett devono essere ben controllate; troppo o troppo poco fanno male!
Detto questo, non credo ci sia nessun ricercatore al mondo che possa dire quanto ci vuole a trovare la cura. Possiamo dire che siamo in tantissimi a lavorare molto assiduamente e, personalmente, credo che negli anni a venire arriveremo a trovare piccoli rimedi che potranno migliorare alcuni dei sintomi, quindi rendendo un poco migliore la qualità della vita delle bambine e delle loro famiglie. Poi, ne sono convinta, un giorno arriveremo alla cura; non posso dire quando, potrebbe essere dietro l’angolo come richiedere ancora molti anni. Certo è che più siamo più è probabile che i tempi di ricerca diminuiscano”.
E’ da poco uscito “Con la voce dei tuoi occhi”, libro scritto dal prof. Claudio de Felice con la collaborazione di altri autori, nel quale Benedetta, la mamma di Sofia, ha raccontato un aneddoto molto particolare:
“Si tratta dell’incontro fortuito con re Abdallah dell’Arabia Saudita. Lo abbiamo riconosciuto per caso. Ero intimorita, non sapevo come approcciarlo. Così, con tanta emozione e altrettanta speranza, ho scritto una lettera in cui spiegavo che per curare la Sindrome di Rett servono molti fondi e il grande cuore di qualcuno che decida di donarli a questa causa, quasi sconosciuta. Mi chiedo spesso se l’abbia mai davvero letta e cosa sarebbe successo se non si fosse ammalato e non fosse morto. Forse sono stata ingenua, forse è stata una pazzia, ma, come ho scritto nel libro, “non potevo non provare”!
E’ con questo spirito che hai dato vita a “One day Sofia”?
“One day Sofia – Ricerca senza confini per la cura della Sindrome di Rett” è una Onlus registrata in Italia lo scorso anno, il passo successivo è quello di ottenere al più presto la licenza Charity qui a Dubai, dove la beneficienza ha regolamentazioni molto rigide. L’obiettivo, finché negli Emirati non ci è possibile raccogliere fondi, è quello di fare sensibilizzazione e informazione, perché, come ho detto, quì la malattia è quasi sconosciuta e praticamente non diagnosticata”.
Benedetta, Lorenzo, Sofia e Michelangelo, il piccolo di casa che ha 1 anno e mezzo, continuano la loro vita a Dubai.
Qual è la vostra giornata tipo?
“Oggi Sofia ha una vita il più normale possibile: al mattino va all’asilo, dove sta imparando a riconoscere lettere e numeri e dove alcuni bambini le si sono sinceramente affezionati. Nel pomeriggio deve sempre lavorare un po’, quasi sempre con me, ma un paio di volte a settimana anche con i terapisti. Poi c’è il suo fratellino, di un anno e mezzo, che gliene combina di tutti i colori, le passeggiate al parco, i bagni al mare e in piscina, la Pimpa, il suo cartone animato preferito, le chiamate via skype con i nonni all’ora di cena e i libretti della buonanotte. Prende le medicine senza fare troppe storie, compreso un terribile, ma importantissimo olio di pesce e sorride come una modella professionista davanti all’obiettivo della macchina fotografica”.
Il 22 ottobre Sofia ha compiuto 5 anni e per la prima volta la sua famiglia ha deciso di organizzarle una vera festa di compleanno, una festa per “lei” dove l’amore, il coraggio, la speranza e la forza faranno da cornice a questo giorno speciale. Tanti auguri piccolo cucciolo di donna, noi siamo con te! Noi lottiamo con te, per te e per tutte le bambine Rett, nella speranza che un giorno, non molto lontano, la ricerca riesca a trovare la cura per combattere questa subdola e silenziosa malattia.