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Smart working o home working? Il virus porta la rivoluzione in Italia

28 Aprile 2020

Lavorare da casa è possibile e la rivoluzione è stata introdotta da un virus arrivato da Wuhan. Ma quando la tempesta sarà passata cosa ne resterà? Già da qualche anno in Italia l’avanzare progressivo della tecnologia ha consentito al 58% delle grandi imprese italiane di avviare la pratica del lavoro agile. In tanti però si sono chiesti di cosa si tratta realmente solo all’indomani dell’introduzione delle prime restrizioni governative per limitare la diffusione del COVID-19 e che hanno interessato, oltre alle attività commerciali, anche gli uffici pubblici e privati e le grandi aziende. Ma andiamo per ordine: tra i risultati più interessanti emersi dall’ultimo studio del Politecnico di Milano c’è l’aumento della diffusione dello Smart Working nelle PMI italiane: i progetti strutturati sono passati dall’8% al 12% attuale, quelli informali dal 16% al 18%. Tuttavia, c’è anche un’ombra: la percentuale di imprese disinteressate al tema aumenta, in modo preoccupante, e passa dal 38% al 51%. Anche la PA nell’ultimo anno ha fatto grandi passi in avanti verso un modello di lavoro più “smart”: il 16% delle pubbliche amministrazioni ha progetti strutturati di lavoro agile (nel 2018 era l’8% e nel 2017 il 5%), l’1% ha attivato iniziative informali e un altro 8% prevede progetti dal prossimo anno. Ci si domanda però quale sarà la fotografia una volta conclusa l’emergenza epidemiologica in corso e in che modo le attività lavorative ne usciranno rinnovate.

Lo Smart working, nel segno del motto #IoRestoaCasa, è stata una delle prime indicazioni arrivate agli italiani direttamente dai banchi del Governo: il ricorso al lavoro agile, laddove possibile chiaramente, è caldeggiato anche all’interno del Dpcm dell’11 marzo 2020, in particolare il riferimento compare al comma 7 dell’articolo 1 in cui si raccomanda il massimo utilizzo di questa pratica lavorativa da parte delle imprese. In più, l’articolo 4, “Ulteriori misure sull’intero territorio nazionale”, stabilisce che “la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata, per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020, dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti. Gli obblighi di informativa di cui all’art. 22 della legge 22 maggio 2017, n. 81, sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro”.

La regola madre è una: uscire di casa esclusivamente per comprovate esigenze lavorative, oltre che di salute e dunque emergenziali. Tutti coloro che svolgono un lavoro praticabile anche da casa sono tenuti a rispettare le indicazioni governative. Sempre dall’Esecutivo è infatti arrivata una versione “semplificata” dello smart working, estesa per l’intera durata dello stato di emergenza, ad ogni tipo di lavoro subordinato su tutto il territorio nazionale, anche in assenza degli accordi individuali previsti dalla relativa normativa, al fine di evitare gli spostamenti e contenere i contagi. Per alcuni esperti tuttavia il modo massiccio con cui il sistema produttivo si è affacciato alla modalità di telelavoro non è così maturo come ci si aspettava perché, come accade quando ci sia appresta a svolgere qualcosa di nuovo, è necessario un periodo di formazione tanto per i datori di lavoro, che non controllano direttamente, quanto per i dipendenti, che potrebbero lavorare di più o persino di meno se operano al pc con vista sala da pranzo (home working). E se fosse questo stesso il periodo di formazione richiesta? C’è da dire infatti che la situazione che viviamo è del tutto inedita e (se vogliamo) sperimentale per la collettività: per tale ragione le aziende e i lavoratori possono scoprire progressivamente i benefici derivanti da una forma di svolgimento della prestazione di lavoro che mette al centro del rapporto tra le parti la fiducia, come punto di partenza per ottenere più produttività ma anche più flessibilità nella gestione del tempo e dello spazio di lavoro. Il rischio attuale infatti è che avvenga una sorta di “rottura” dei parametri spazio-temporali: la sede del lavoro diventa la sala da pranzo della propria abitazione e le ore di incarico subiscono un’elasticità che potrebbe nuocere, anche in questo caso, all’azienda e al lavoratore.

Tuttavia, guardando il lato positivo, poter contare su un numero sempre maggiore di dipendenti in smart working garantirebbe al datore una riduzione della spesa e un conseguente ritaglio degli spazi di

lavoro. Insomma, se il lavoratore opera da casa la sede di lavoro diventa sempre più necessaria per alcuni comparti dell’azienda, e non per tutti.

L’approccio improvvisato del mondo produttivo italiano alla pratica del telelavoro non è sfuggito sin da subito e ne è testimonianza il webinar di Fibering Spa, operatore nazionale di telecomunicazioni con sede a Torino e Milano, tenutosi a Torino il 20 marzo scorso dal titolo “Se a Wuhan hanno costruito in 10 giorni un Ospedale, i Comuni possono in altrettanti giorni dotarsi di una piattaforma di Smart Working?”. All’incontro, chiaramente rivolto alla Pubblica amministrazione, hanno preso parte sei Comuni piemontesi. La platea digitale ha preso in esame le differenze tra Smart Working e Telelavoro e poi è stata invitata a valutare la consistenza della loro connettività, della rete e dei sistemi di protezione dei dati. “In 10 giorni il Comune può dotarsi di una linea professionale simmetrica per poter supportare una piattaforma di Smart Working – ha commentato Ilario Baronio responsabile del progetto Smart Working di Fibering Spa al termine del Webinar – il primo passaggio essenziale è abbandonare il concetto della linea tradizionale di tipo ‘casalingo’ e dotarsi di una connettività in grado di supportare i servizi disponibili quali videoconference, condivisione documentale in un contesto di unified-communications, connettività sicuramente a favore delle attività di Smart Working e non solo”.

Tags: coronavirus, covid-19, lavoro, prevenzione, salute, smart working
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Alessandro Notarnicola
Alessandro Notarnicola
Mi occupo di giornalismo e critica cinematografica. Dopo la laurea in Lettere e Filosofia nel 2013, nel 2016 ho conseguito la Laurea Magistrale in "Editoria e Scrittura". Da qualche anno mi sono concentrato sull'attività della Santa Sede e sui principali eventi che coinvolgono la Chiesa cattolica in Italia e nel mondo intero.

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