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Terzo settore, “Costruire, a livello nazionale, un SSN sussidiario nel quale l’intervento privato e quello pubblico possano armonizzarsi”
Intervista a Luca Gori della Scuola Superiore Sant’Anna
Le innumerevoli ricorrenze che hanno interessato il 2018, il quarantennale del Sistema Sanitario Nazionale italiano, istituito con la legge 833 votata dal Parlamento il 23 dicembre 1978, e il 70esimo del National Health Service britannico, punto di svolta per i sistemi sanitari universalistici gratuiti e per tutti, inducono a commentare l’attuale stato di salute del Terzo settore e dunque dei sistemi di Welfare in Italia alla luce del quadro storico ma soprattutto in relazione agli importanti cambiamenti apportati dalla riforma. Al centro dell’approfondita riflessione il sistema sanitario, che – come sottolineato da Nicola Pasini e Luca Pesenti su Avvenire – oggi rappresenta uno dei nodi più difficili da sciogliere dovendo coniugare da una parte i bisogni di una popolazione che invecchia e dall’altra la necessità di contenimento della spesa pubblica. “La Riforma del Terzo settore – commenta Luca Gori, ricercatore dell’area Tessere – Terzo settore, sussidiarietà e regole, all’interno dell’Istituto Dirpolis (Diritto, Politica, Sviluppo) della Scuola Sant’Anna di Pisa – è obiettivamente molto complessa perché coinvolge una fetta importante del nostro Paese e non può essere commentata esclusivamente da un punto di vista politico o economico”.
Dottor Gori, alla luce di un quadro non così facile da comprendere, come si presenta oggi il Terzo Settore e cosa è mutato a seguito del grande riordino?
La riforma del Terzo settore sta, con qualche lentezza, procedendo il suo percorso di attuazione. Si tratta di una riforma molto complessa, che mira a razionalizzare un quadro normativo che, a partire dagli anni ’90, si è stratificato senza un ordine. Per questo, il Codice del Terzo settore è da salutare come una grande e positiva novità che offre un quadro di certezza giuridica atteso da moltissimi anni. Essendo un “settore” molto composito e differenziato al suo interno, è inevitabile che altrettanto complessa sia la disciplina che lo regola: bisogna rifuggire da atteggiamenti “semplicistici”. Il punto è che quando un settore ha quasi un milione di addetti, oltre cinque milioni di volontari organizzati, oltre 340.000 enti, è indispensabile che le norme giuridiche offrano un quadro normativo che possa riferirsi alla piccola organizzazione di volontariato come alla grande impresa sociale.
Pertanto, qual è la sfida?
La sfida è quella di definire norme che siano “proporzionate” rispetto alle attività e alle dimensioni. Oggi il punto di maggiore incertezza è rappresentato dalla mancata trasmissione, da parte del Governo, della richiesta di autorizzazione alla Commissione europea per il regime fiscale. È come se si stesse giocando “a carte coperte”: si chiede agli ETS di adeguare i propri statuti, ma non è certo “quando” e “come” le norme fiscali entreranno in vigore. Mi pare un profilo di debolezza dell’intera operazione di riforma da sanare il più rapidamente possibile.
Qual è il ruolo del terzo settore nel sistema socio-sanitario italiano?
Mi pare che sia un dato consolidato che il sistema dei servizi socio-sanitari si fondi sull’alleanza fra Terzo settore e settore pubblico. C’è da compiere ancora un lavoro di messa a sistema dei rapporti dal punto di vista giuridico: troppe incertezze sul diritto applicabile, fra norme di derivazione europea, Codice del Terzo settore, interpretazioni dell’ANAC e giurisprudenza amministrativa. Alcune Regioni – come la Toscana – hanno affrontato frontalmente il problema, avviando un iter legislativo con l’obiettivo di assicurare maggiore chiarezza di rapporti (http://www.consiglio.regione.toscana.it/upload/pdl/2019/pdl400.pdf). Essenziale è non dimenticare qual è il contributo proprio del Terzo settore: non è solo fornire servizi laddove lo Stato non arriva, bensì di assumersi il rischio dell’innovazione e della sperimentazione, farsi carico di bisogni nuovi ancora non qualificati, cogliere i segnali di cambiamento nelle comunità ancora prima ed meglio del pubblico, offrire quel carico di umanità aggiuntivo. Altrimenti, il Terzo settore si riduce a fornitore e la sua specificità va perduta. Mi pare una questione di mission centrale.
Alla luce di tutto questo, la sanità italiana potrebbe farcela senza l’aiuto del Terzo settore?
Le evidenze ci dicono di no, che la tutela del diritto alla salute così come tutelato dall’art. 32 della Costituzione e strutturato tramite il SSN ha bisogno dell’apporto del Terzo settore, soprattutto sul piano dell’assistenza territoriale. Interi segmenti dell’assistenza sanitaria sono stati “strutturati” intorno all’iniziativa del Terzo settore. Mi pare che la sfida più grande sia quella di continuare a costruire, a livello nazionale, un SSN sussidiario nel quale l’intervento privato e quello pubblico possano “armonizzarsi”, contaminandosi vicendevolmente. Suscita delle inquietanti domande il fenomeno della fuga del SSN (attestata dalla crescita della sanità privata degli ultimi anni) e la “povertà sanitaria”. A quest’ultimo proposito, la crisi economica lascia sul terreno una porzione di popolazione per la quale l’accesso alle cure (specialmente farmacologiche) diviene impossibile. E se si moltiplicano le iniziative del Terzo settore per affrontare il problema, il “nodo” della tutela del diritto alla salute per questa fascia di popolazione rimane lì, ad interpellare. In questo senso, il Terzo settore è chiamato non solo a farsi “supplente” temporaneamente, ma anche ad agire per una iniziativa “politica” globale di riqualificazione e ripensamento del SSN. Una stagione di vera e propria advocacy.
Con la riforma del Terzo settore, come si inquadrano i Fondi di assistenza sanitaria integrativa?
I Fondi di assistenza sanitaria integrativa pur essendo enti a carattere privato diversi dalle società che svolgono, senza fine di lucro, attività di interesse generale in via prevalente o esclusiva, perseguendo finalità civiche, solidaristiche e utilità sociale, non possono essere ETS. Infatti, essendo soggetti generalmente all’attività di direzione e coordinamento di organizzazioni sindacali, o di datori di lavoro, essi risultano esclusi dal novero degli ETS. Il recente decreto-legge n. 34 del 2019 ha coordinato la disciplina del Codice Terzo settore e quella del TUIR, consentendo che gli enti gestori dei fondi di assistenza possano essere considerati come “enti non commerciali”. Una norma attesa e resa necessaria da un difetto della disciplina contenuta nel Codice del Terzo settore. In questo modo, si è cercato di trovare un punto di bilanciamento fra la meritevolezza dell’attività e dei fini svolti senza fine di lucro e l’impossibilità di accedere alla qualifica di enti del Terzo settore. Una soluzione ispirata – mi pare – dall’art. 118, u.c. Cost.: “favorire” l’iniziativa autonoma dei cittadini che si associano, autonomamente, per lo svolgimento di attività di interesse generale. Se la “funzione” che essi svolgono è sussidiaria rispetto al pubblico, è necessario che essa sia adeguatamente riconosciuta e favorita, se non nelle forme del Codice del Terzo settore, in altre forme idonee stabilite dal legislatore.
La sanità integrativa può giocare un ruolo, in quanto effettivamente e realmente sussidiaria..
È certo che non può essere sostituzione delle inefficienze dello Stato, ma una forma tramite la quale l’autonomia iniziativa dei cittadini si “mette in gioco” per assicurare, in forme diverse, la tutela del diritto alla salute con maggiore innovazione, con una attenzione specifica ai bisogni delle comunità. In questo senso si, vedo interessanti orizzonti che si aprono e alcuni adeguamenti normativi ancor da apportare. Le società di mutuo soccorso rappresentano una delle forme giuridiche, fra le più antiche, per rispondere a questa sfida. Avrei preferito che si dettasse per loro una disciplina ad hoc, all’interno del Codice del Terzo settore, anziché lasciarle, al di fuori del Codice, alla loro legge di settore (legge n. 3818/1886). Ad esse è data la capacità di trasformarsi in APS, senza obbligo di devolvere il patrimonio. A me pare che esse possano avere un futuro nella misura in cui riescano a ritornare all’antico, coniugando impronta comunitaria, finalità solidaristica e capacità gestionale.