Questo sito Web utilizza i cookie in modo che possiamo fornirti la migliore esperienza utente possibile. Le informazioni sui cookie sono memorizzate nel tuo browser ed eseguono funzioni come riconoscerti quando ritorni sul nostro sito Web e aiutare il nostro team a capire quali sezioni del sito Web trovi più interessanti e utili.
Tumore all’ovaio, un male silente difficile da diagnosticare
Intervista alla dott. ssa Anna Bagnato, ricercatrice AIRC
In Italia il tumore maligno all’ovaio, o carcinoma ovarico – ovvero tumore epiteliale che origina dalle cellule epiteliali che rivestono superficialmente le ovaie e costituiscono più del 90% delle neoplasie ovariche maligne – colpisce circa 4.490 donne ogni anno (fonte Registro dei Tumori, 2012), è al nono posto tra le forme tumorali, e costituisce il 2,9% di tutte le diagnosi di tumore.
Il carcinoma ovarico è un male silente, difficile da diagnosticare nella fase iniziale perché non da sintomi precisi che possono far pensare alla neoplasia. La conseguenza della diagnosi tardiva influenza pesantemente l’esito delle cure.
Secondo la Federazione Internazionale di Ginecologia e Ostetricia (FIGO), negli stadi iniziali (stadio I) la sopravvivenza a cinque anni è pari all’85%; negli stadi avanzati la sopravvivenza a cinque anni scende al 25%.
I campanelli d’allarme da non sottovalutare sono quando si presentano insieme, o all’improvviso, i seguenti sintomi: addome gonfio, aerofagia (disfunzione apparato digerente), o il bisogno di urinare frequentemente; in questi casi il consiglio è quello di rivolgersi al ginecologo il quale, grazie all’ecografia pelvica, sarà in grado di dare una prima importante indicazione diagnostica.
Non esistono al momento programmi di screening scientificamente affidabili per la prevenzione del tumore dell’ovaio, ma alcuni studi hanno dimostrato che una visita annuale dal ginecologo che esegue la palpazione bimanuale dell’ovaio e l’ecografia transvaginale di controllo possono facilitare una diagnosi precoce.
I fattori di rischio sono la lunghezza del periodo ovulatorio, ossia il menarca (prima mestruazione) precoce, la menopausa tardiva e il non aver avuto figli.
Anche l’età è un elemento importante, come dimostra il fatto che nella maggior parte dei casi la patologia viene identificata dopo l’ingresso in menopausa, tra i 50 e i 69 anni.
Circa un caso su dieci di cancro alle ovaie è dovuto ad alterazioni genetiche. Secondo una stima del National Cancer Institute, una percentuale tra il 7% e il 10% di tutti i casi è il risultato di una alterazione genetica, che si tramanda nelle generazioni.
È doveroso ricordare che l’esistenza in famiglia casi di tumore dell’ovaio non dà la certezza che esso si ripresenti in tutte le donne imparentate, ma solo che queste ultime hanno un rischio più elevato rispetto alla popolazione generale.
Il carcinoma ovarico colpisce ogni anno, a livello mondiale, 225mila donne.
“È il tumore femminile a cui le donne riescono a sopravvivere di meno. È un male silente, difficile da diagnosticare precocemente, con un alto tasso di recidiva e di resistenza ai farmaci”. Lo ha affermato nel corso dell’intervista rilasciata a Health Online, la dottoressa Anna Bagnato, ricercatrice alla guida del laboratorio di Modelli preclinici e nuovi agenti terapeutici dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma, nonché storica ricercatrice AIRC e volto dell’Azalea della Ricerca 2017.
Dottoressa, dopo la diagnosi quali sono le cure alle quali vieni sottoposta la paziente?
“Le donne colpite dal carcinoma dell’ovaio vengono sottoposte a intervento chirurgico. La citoriduzione primaria ad oggi è considerata il trattamento standard per questa neoplasia. In relazione al tipo e alla diffusione del tumore può anche essere eseguita in laparoscopica o mediante un trattamento chirurgico mini-invasivo, con l’ausilio del sistema robotizzato Da Vinci.
Dopo la chirurgia il trattamento di scelta per il carcinoma ovarico è la chemioterapia a base di platino. Il trattamento standard è quello di sei cicli a base di paclitaxel e di carboplatino. Delle pazienti che rispondono alla chemioterapia, circa il 70% va purtroppo incontro a una recidiva e dev’essere sottoposta a ulteriori cicli di cure. Il più grande ostacolo nella cura del carcinoma ovarico è l’insorgenza della resistenza alla chemioterapia”.
La malattia quindi può ripresentarsi e non rispondere più ai farmaci. Per questo, oggi la ricerca è focalizzata sulla messa a punto e sull’identificazione di combinazioni di farmaci capaci di abbattere la resistenza del tumore.
Dottoressa, a che punto è arrivata la ricerca?
“Negli ultimi anni sono stati fatti molti progressi, scoprendo nuovi farmaci molecolari mirati (come il bevacizumab e l’olaparib), progettati per interferire con uno specifico bersaglio cellulare. Grazie ad AIRC abbiamo scoperto che la combinazione di Macitentan, farmaco approvato per il trattamento dell’ipertensione arteriosa polmonare, con i chemioterapici è in grado di sensibilizzare nuovamente il tumore ai farmaci. Le ultime novità nella lotta a questo big killer delle donne vanno proprio in questa direzione. Di recente è stato approvato il farmaco bevacizumab che, insieme alla chemioterapia, si è dimostrato efficace contro le recidive resistenti ai farmaci. Con lo stesso scopo è stato approvato anche il farmaco olaparib. Infine sono in corso studi incentrati sull’immunoterapia. L’approccio immunoterapico, focalizzato nello stimolare la risposta immune dei pazienti, è una delle sfide oggi più promettenti e, in futuro, potrebbe rivelarsi un obiettivo vincente”.
Qual è l’impatto del tumore sulla vita della donna?
“Ogni tumore ha un forte impatto a livello psicologico. È indubbio che il carcinoma ovarico colpisce profondamente la donna nella sua identità femminile (perdita della funzionalità ovarica), con reazioni legate anche all’età in cui viene diagnosticato il tumore e all’invasività delle cure. Per questo è importante intervenire anche tramite il counseling da parte di un esperto per aiutare la donna a recuperare un’adeguata qualità di vita. È necessario promuovere approcci multidisciplinari con diversi professionisti, che possano seguire la paziente dalla diagnosi sino al periodo che segue i trattamenti chirurgici e la chemioterapia, per supportarla in questo importante periodo della vita”.
La sfida della ricerca è quella di sconfiggere il carcinoma ovarico e l’AIRC anche quest’anno, in occasione della festa della mamma, ha organizzato il consueto appuntamento “L’Azalea della Ricerca”, un fiore che è sbocciato in oltre 3.600 piazze italiane per la salute delle donne. Obiettivo dell’iniziativa è infatti quello di per portare nuovi fondi ai migliori ricercatori italiani impegnati a rendere i tumori femminili sempre più curabili.