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Una zampa per amica. La storia di Zoe e Kia ci insegna l’importanza della pet therapy
Intervista a Francesca Mugnai, presidente dell’Associazione “Antropozoa” che opera al “Meyer” di Firenze
Una guarigione a quattro zampe. Arriva dalla pediatria dell’ospedale “Meyer” di Firenze la bella e commovente storia di Zoe e Kia, rispettivamente una bambina di otto anni e una cagnolina adottata dal nosocomio fiorentino nell’ambito del progetto “Pet Therapy” curato dall’Associazione “Antropozoa” diretta dalla dottoressa Francesca Mugnai. La piccola Zoe era stata ricoverata d’urgenza con un quadro neurologico complesso che aveva determinato una notevole diminuzione della capacità visiva. Proprio nel corso di questo periodo complesso di diagnosi, apprensione e cura, è avvenuto l’incontro con Kia che, paziente e premurosa, ha fatto compagnia alla paziente fino al giorno delle dimissioni.
La pet-therapy è una pratica terapeutica basata sull’interazione tra gli animali domestici o addestrati e le persone, al fine di migliorarne il benessere fisico, emotivo, cognitivo e sociale e promuoverne il recupero, la guarigione e il miglioramento della qualità della vita. Comincia a svilupparsi dal 1964 a firma dello psichiatra infantile Boris M. Levinson che propone la presenza di animali da compagnia per curare specifiche malattie. Come si precisa sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità, nel nostro paese l’espressione “pet therapy” è stata recentemente sostituita con quella più appropriata di interventi assistiti con gli animali (IAA), che consente di distinguere tra diverse tipologie di approcci, a seconda che prevalga la componente cosiddetta ludico-ricreativa (attività assistita con gli animali, AAA), quella educativa (educazione assistita con gli animali, EAA) o quella terapeutica (terapia assistite con gli animali, TAA). Uno dei centri in cui la pet therapy è presente da tempo è proprio l’ospedale “Meyer”. Qui questa pratica è una delle attività di play therapy attiva da oltre vent’anni, grazie al sostegno della Fondazione Meyer: protagonisti sono i cani e i loro conduttori dell’associazione “Antropozoa”, esperta in interventi assistiti con gli animali. Insieme a Kia, Cecco, Gala e Nina aiutano quotidianamente i piccoli pazienti del Meyer ad affrontare la permanenza in ospedale.
Dottoressa Francesca Mugnai, gli animali cambiano realmente la vita dell’uomo?
È così: cambiano la vita perché ci pongono in situazioni emotive particolari, sviluppando il nostro istinto al prendersi cura dell’altro e i nostri aspetti di protezione, del pensare non solo a noi, ma a qualcun altro nel rispetto dei suoi tempi, delle sue necessità, della sua diversità, del suo “essere animale”. Ci permette dunque istintivamente di spostarci dal nostro egoismo. E soprattutto ci concentrano realmente sul qui e ora. È un aspetto importante, a tratti fondamentale, ma come tutto può avere dei risvolti negativi: spesso siamo noi che portiamo gli animali nel nostro mondo e non il contrario; tendiamo a umanizzare l’animale e a obbligarlo a seguire i nostri ritmi, le nostre abitudini, i nostri spostamenti. Spesso lo vediamo come un bambino. Ma non lo è. Un animale è un soggetto altro da noi e in quanto tale, con le sue necessità: va rispettato, adattando noi alcune nostre abitudini ai suoi bisogni.
Nel corso degli anni, soprattutto nel passato più recente, i benefici dovuti agli interventi assistiti con animali (la cosiddetta Pet therapy), hanno assunto particolare rilievo a livello comunicativo. Il progetto portato avanti da “Antropozoa” parte nel 2002 in una struttura come il MEYER di Firenze. Qual è stata l’intuizione?
Fin da piccola ho sempre pensato che gli animali ci permettessero di vivere una comunicazione vera, sincera e autentica, non mediata. Ho voluto approfondire questi aspetti rivolgendomi all’estero, dove questa disciplina è stata sviluppata molto prima che in Italia. Quasi 25 anni fa ormai, questa intuizione è stata intercettata dall’ospedale pediatrico Meyer con cui è nata una proficua collaborazione e sperimentazione. Dai primi approcci nel giardino dell’allora “ospedalino”, oggi diventata una struttura di alto livello specialistico (un IRCSS), siamo entrati “in punta di zampa” dentro i corridori, dapprima in alcuni reparti, poi in tutti i reparti, anche i più delicati. Insieme abbiamo sperimentato e fatto da pionieri degli IAA in ambito pediatrico, scrivendo insieme la storia della pet therapy in Italia, diventata parte integrante del percorso di cura. I cani dell’Associazione “Antropozoa” sono infatti tra gli ingredienti speciali del protocollo di accoglienza e assistenza del pediatrico fiorentino, unica esperienza del genere in Italia per durata, sistematicità, inserimento degli animali. Grazie al sostegno economico della Fondazione Meyer, l’esperienza della pet therapy tra i bambini ricoverati, nel tempo ha registrato effetti positivi in vari ambiti. Insieme abbiamo scritto un protocollo igienico-sanitario per l’ingresso degli animali nei reparti che è stato poi copiato da altre realtà in tutta Italia. L’intuizione iniziale comune è dunque stata quella di far entrare un elemento spontaneo come il cane in un contesto tutt’altro che spontaneo. L’animale può fungere da elemento unificante.
Ultima, tra tante, è emersa la storia di Zoe e Kia a conferma che percorsi di questo tipo favoriscono un esito positivo delle cure e dell’assistenza più in generale. Che esperienza è stata?
È stato un intreccio di amicizia, lavoro di squadra e grande umanità. Zoe, una bambina di 8 anni e Kia, cane della squadra di pet therapy di “Antropozoa” al “Meyer”, ha permesso tramite l’amicizia tra una bimba e un animale di aiutarla a superare un momento particolarmente difficile. Attorno a Zoe, attorno a una problematica complessa, sono stati creati ponti che hanno unito istituzioni diverse come l’ospedale, il mondo della scuola, la famiglia e “Antropozoa”, nonché attori distinti come i medici e gli infermieri, il personale scolastico dentro e fuori dal “Meyer” nonché i compagni della bambina, i suoi genitori e gli operatori umani e animali della pet therapy. Di storie come quella di Zoe e Kia negli anni ne abbiamo vissute tante e tutte raccontano di come una zampa può essere un fondamentale stimolo per affrontare un momento difficile e per stare meglio prima.
“Antropozoa” tuttavia non è presente solo al MEYER, ma anche in altre realtà di cura dove sono prese in carico persone di tutte le età. Quali, ad esempio?
Siamo presenti in molti altri ambiti, in particolare nei penitenziari per progetti di giustizia riparativa e ricerca, ma lavoriamo anche nelle strutture per anziani, nello specifico con decadimento cognitivo e Alzheimer, nelle scuole e negli ambienti didattici, con gli adolescenti, con i giovani adulti e con gli anziani. Lo facciamo attraverso protocolli precisi e progetti personalizzati e costantemente monitorati e modulati in base a come si sviluppa l’esperienza. Abbiamo anche attivo un Centro di psicologia in Natura, a Castelfranco di sopra, in provincia di Arezzo, da me diretto: opera in collaborazione con Antropozoa nell’ambito della psicologia in natura.
Lei è esperta di Interventi Assistiti con Animali (I.A.A) in ambito sociale e sanitario, e in particolare nel setting pediatrico. Ci sono linee guida specifiche in questo senso?
Secondo il “Modello Antropozoa”, sviluppato in questi anni sul campo, chi opera negli interventi assistiti con gli animali deve avere una solida formazione specifica, dopo una laurea in materie sanitarie, deve sapersi muovere in ambienti complessi e tra operatori e genitori in situazioni sempre sotto scacco e stress continuo. Oltre agli aspetti sanitari, dunque, c’è bisogno di basi psicologiche importanti che si acquisiscono nella formazione e nell’esperienza. L’equipe tra umani e animali oltre a essere adeguatamente formata, deve essere costantemente supervisionata anche dal punto di vista del benessere. Gli operatori di “Antropozoa” sono dunque professionisti della salute umana, educatori o psicologi che utilizzano la forza della presenza dell’animale per operare cambiamenti nella sfera emotiva e relazionale e aiutare la guarigione.
Un centro di ricerca e anche scuola di formazione. Possiamo dire che “Antropozoa” è un punto di riferimento nell’ambito degli IAA?
“Antropozoa” è stata accreditata dall’ISAAT, unico organismo italiano a ricevere tale riconoscimento per un modello formativo che si sforza di rendere più interdisciplinare, di qualità e in maniera sempre più professionale il mondo della formazione nella pet therapy. Questo modello nasce nel contesto pediatrico per diventare parte integrante delle cure di varie patologie ed età e si dedica alla formazione di operatori sanitari a livello internazionale. L’accreditamento nasce da una lunga storia e dalla capacità di mentalizzare e rivedere lo stile di lavoro, nonché la figura dell’animale in base ai cambiamenti sociali. In questi 25 anni, il suo ruolo si è profondamente modificato nella relazione e nel valore. Dobbiamo essere sempre attenti anche al benessere dell’animale stesso nel contesto in cui viene impiegato.