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Vittime della strada non sostenute dalla sanità nazionale. Marco Valeri (AIFVS): “Italia orfana di una formazione vittimologica”
Incidenti stradali, autolesionismo e violenza sono le principali cause di morte fra gli adolescenti di tutto il mondo. A calcolarlo è l’Institute for Health Metrics and Evaluation della University of Washington, che ha analizzato i dati della Global Burden of Disease survey, che coprono il periodo 1990-2013. Solo nel 2016 in Italia si sono verificati ben 175.791 incidenti stradali con lesioni a persone che hanno provocato 3.283 vittime (morti entro il 30esimo giorno) e 249.175 feriti. Dopo due anni di stagnazione il numero delle vittime però, stando a quanto ricavato dai dati Istat, torna a ridursi rispetto al 2015 (-145 unità, pari a-4,2%). Tra le vittime sono in aumento i ciclisti (275, +9,6%) e i ciclomotoristi (116, +10,5%), stabili gli automobilisti deceduti (1.470, +0,1%) mentre risultano in calo motociclisti (657, -15,0%) e pedoni (570, -5,3%). Ma un dato su cui ci si sofferma raramente riguarda il dopo incidente e tutto l’iter riabilitativo che la vittima deve affrontare, spesso in completa solitudine e senza il sostegno economico del Servizio Sanitario Nazionale. A fronte di traumi rilevanti, le famiglie vanno incontro a una serie di spese non sostenute dal SSN. Tutto ciò che viene concesso alla vittima di un sinistro sono 30 giorni con possibilità di proroga per altri 30 giorni.
“L’attuale assetto normativo e la conseguente amministrazione della giustizia sono sbilanciati a favore dell’imputato sottovalutando la vittima, in virtù di un sistema processuale privo di sensibilità vittimologica”. A dichiararlo è il dottor Marco Valeri, membro del Consiglio direttivo dell’Associazione italiana familiari vittime della strada (AIFVS). “Ci siamo confrontati con chi, difendendo tale assetto, ne affermava la rispondenza alla Costituzione, e in particolare al modello di giusto processo disegnato dall’art. 111, nel quale non troverebbe spazio la vittima. A costoro abbiamo opposto che la Costituzione tutela, anche e ancor prima, i principi di solidarietà, equità ed uguaglianza, principi fondamentali che orientano tutto il quadro normativo, compreso l’art. 111 Cost.: un processo, per essere autenticamente ‘giusto’, non potrebbe mai essere strutturato in modo da danneggiare i più deboli. Ciò trova, oggi, autorevole conferma nella disciplina sulla tutela delle vittime dei reati, introdotta dal legislatore europeo e tuttora non pienamente recepita nel nostro ordinamento”.
Negli ultimi anni si è puntata l’attenzione sui costi sociali e sanitari che gli incidenti stradali determinano e sull’importanza di avviare azioni di prevenzione per ridurre il danno da incidente stradale e per ridurre anche la spesa sanitaria nel nostro Paese. Come il sistema sanitario nazionale favorisce le vittime della strada?
“Il sistema sanitario non prevede delle corsie preferenziali per le vittime della strada. Al riguardo, occorre un cambiamento culturale a partire dagli stessi operatori della Giustizia. Abbiamo sempre constatato che negli operatori del diritto abbonda la formazione criminologica e manca la formazione vittimologica. Sin dall’origine dell’AIFVS – correva la fine degli anni ’90 – abbiamo rilevato, nei processi riguardanti reati stradali, la scarsa attenzione o l’impossibilità, da parte dei giudici, di porre nella giusta evidenza la relazione tra vittima e autore dell’atto vittimizzante. Così come l’attuale sistema non ottimizza la relazione tra vittime e sistema giudiziario e tra vittime e altre istituzioni: una relazione necessaria per giungere a una conoscenza e comprensione dei protagonisti del reato, a scopo preventivo e riparatorio. La ‘valutazione della gravità del reato’ si è sempre, di fatto, conclusa con l’applicazione del minimo della pena, con la generalizzata concessione delle diminuenti di rito, con l’applicazione di attenuanti generiche e la sospensione condizionale, contribuendo a radicare nella coscienza collettiva una sorta di impunità per l’autore del reato. L’impunità, oltre ad incrementare nella società la propensione a delinquere, ha incrementato la conflittualità e l’indignazione sociale verso la mancanza di una effettiva garanzia di giustizia e legalità per i reati contro la persona.
L’approvazione della legge sull’omicidio stradale nel 2016 ha segnato un punto di svolta nella riduzione di simili reati?
“Nonostante le critiche di rischio di populismo penale, la riforma dei reati stradali approvata con la legge 41/2016, che ha determinato l’incremento delle pene per ipotesi di guida azzardata e pericolosa o sotto effetto di alcol o droga, lancia un segnale di civiltà: chi uccide o toglie l’integrità della salute trasgredendo le norme cautelari del codice della strada, finalizzate a prevenire tale rischio, deve espiare una pena e per un determinato periodo di tempo non può più far parte, in qualità di guidatore, della comunità degli utenti della strada. Non sorprende, peraltro, il fatto che a due anni dall’approvazione della legge 41 si evidenziano esigenze di cambiamento, per dare all’osservanza della norma e al reato stradale il giusto peso, e per operare nella magistratura un cambio di passo: una seria amministrazione della giustizia è condizione imprescindibile per dare effettiva tutela ai beni giuridici protetti dalle norme 589 bis e 590 bis, quali la dignità umana, la vita e la salute”.
Lei ha subito un incidente e ha vissuto tutto l’iter successivo di guarigione e riabilitazione. Come membro del direttivo dell’AIFVS, se potesse presentare un disegno di legge sul percorso clinico e sanitario delle vittime della strada in quanti punti principali lo definirebbe e – se possibile – a quale modello farebbe riferimento?
“Per la lotta alla criminalità stradale chiediamo di approntare senza ritardo una migliore organizzazione che esige informazione-formativa, condivisione e sinergia operativa; quindi, chiediamo di prendere a modello il protocollo operativo della Regione Lazio, già fatto proprio dalla Regione Toscana per una più efficace attuazione della normativa da parte dei presidi ospedalieri e delle forze di polizia con il coordinamento delle procure, in modo da garantire certezze sui risultati delle indagini in relazione alle alterazioni psicofisiche”.