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Sanità italiana in affanno. Sempre più cittadini si rivolgono alle “mutue”
La sanità italiana viaggia a più velocità, mettendo sempre più in crisi il principio di universalità su cui si regge il Servizio sanitario nazionale. Affinché questo non si verifichi si rivela necessario un dialogo tra Governo e Regioni, che metta al centro la salute delle persone, altrimenti sempre più cittadini si riferiranno alle mutue sanitarie per garantirsi cure e salute. E’ questa, in sintesi, l’esortazione rivolta dalla Fondazione Gimbe, indirizzata soprattutto ai partiti che guideranno la prossima Legislatura. La Fondazione, che ha lo scopo di promuovere e realizzare attività di formazione e ricerca in ambito sanitario e a migliorare la qualità metodologica, l’etica, l’integrità, la rilevanza clinica e il valore sociale della ricerca sanitaria, ritiene che sia del tutto inaccettabile che il diritto costituzionale alla tutela della salute sia condizionato da politiche sanitarie regionali e decisioni locali che causano diseguaglianze nell’offerta di servizi e prestazioni sanitarie, alimentano sprechi e inefficienze e, soprattutto, influenzano gli esiti di salute della popolazione.
La pensano in questo modo Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe e coordinatore della sessione dedicata al tema del regionalismo e della riorganizzazione del Ssn, insieme ad Angelo Lino del Favero, direttore generale dell’Istituto superiore di sanità, che in una lunga e articolata intervista rilasciata ad AdnKronos salute hanno elencato le tante variabilità regionali a dimostrazione che l’universalismo del Ssn si sta distruggendo dall’interno. Dagli adempimenti dei livelli essenziali di assistenza alle performance ospedaliere secondo il programma nazionale Esiti, dalla dimensione delle aziende sanitarie alla capacità di integrazione pubblico-privato, dal variegato contributo dei fondi sanitari integrativi a quello delle polizze assicurative, dalla disponibilità di farmaci innovativi all’uso di farmaci equivalenti, dalla governance della libera professione e delle liste di attesa alla giungla dei ticket, dalle eccellenze ospedaliere del Nord alla desertificazione dei servizi territoriali nel Sud, dalla mobilità sanitaria alle diseguaglianze sugli stili di vita, dai requisiti minimi di accreditamento delle strutture sanitarie allo sviluppo delle reti per patologia.
“Siamo di fronte a 21 sistemi sanitari regionali – ha spiegato il presidente Cartabellotta – liberi di declinare in maniera eterogenea l’offerta di servizi e prestazioni davanti ad uno Stato che si limita ad assegnare le risorse e verifica l’adempimento dei Lea con una ‘griglia’ capace di catturare solo macro-diseguaglianze. E i Piani di rientro per le Regioni inadempienti, guidati più da esigenze finanziarie che dalla necessità di riorganizzare i servizi, hanno scaricato sui cittadini servizi sanitari peggiori con nefaste conseguenze sull’aspettativa di vita, addizionali Irpef più elevate per risanare i conti regionali e necessità di curarsi altrove”.
Nel 2016 la mobilità sanitaria ha spostato oltre 4,15 miliardi di euro, dal Sud al Nord: ma se le spese sono a carico del Sistema sanitario nazionale, i costi che i cittadini devono sostenere per viaggi, disagi e quelli indiretti per il Paese sono molto più alti. Senza contare che la mobilità sanitaria non traccia la mancata esigibilità dei Lea territoriali e soprattutto socio-sanitari, diritti che appartengono alla vita quotidiana e non all’occasionalità di un intervento chirurgico.
“Una rinnovata governance del Servizio sanitario nazionale – ha poi aggiunto il presidente della Fondazione Gimbe – non può continuare ad avvitarsi sulla contrapposizione tra centralismo e regionalismo, scaricando sui cittadini il conflitto istituzionale tra poli sempre più indeboliti. Ecco perché il prossimo Esecutivo, senza necessariamente passare attraverso riforme costituzionali, ha il dovere etico di trovare soluzioni tecniche per potenziare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sui 21 sistemi sanitari regionali, nel pieno rispetto delle loro autonomie: dal monitoraggio più analitico degli adempimenti Lea a una riforma dei Piani di rientro, dalla revisione dei criteri di riparto collegati a sistemi premianti a cascata alla diffusione virtuosa delle best practice regionali, dall’idoneità della Conferenza Stato-Regioni come strumento di raccordo tra Stato ed enti territoriali alla gestione della ‘questione meridionale’”.
La crescita delle Mutue. Se da un lato la sanità italiana è in forte affanno, dall’altro la mutua privata, che affonda le sue origini tra la fine del ‘700 e gli inizi dell’800, conquista sempre più punti a suo favore. A tal proposito il quarto Rapporto Welfare rivela che il benefit più amato dai dipendenti in un’azienda è l’assistenza sanitaria integrativa: la desiderano 3 lavoratori su 4. Ed effettivamente, oltre ai buoni pasto, le imprese offrono per lo più la mutua privata. Questo accade perché il sistema sanitario è in affanno e gli italiani cercano un’alternativa. Già oggi un terzo delle cure è offerto da strutture private e i cittadini spendono di tasca propria oltre 35 miliardi. Negli ultimi tempi sulle mutue sanitarie stanno puntando davvero tutti, per primi i sindacati assieme alle organizzazioni datoriali. Per esempio, come sottolinea L’Espresso, Metasalute, fondo sanitario dei metalmeccanici, da quest’anno è diventato obbligatorio per tutte le tute blu e passerà da 200 mila a 1,5 milioni di iscritti. Le imprese ci guadagnano perché quella parte di salario è tassata meno della metà rispetto al resto della busta paga.