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Doll Therapy, la terapia non farmacologica per pazienti affetti da demenze
Una bambola per stimolare l’empatia e le emozioni dei pazienti affetti da demenze: è la Doll Therapy o “terapia della bambola”, sperimentata in tutto il mondo, e in grado di ridurre le alterazioni del comportamento. Secondo diversi studi la terapia può essere utilizzata sia con persone che hanno problemi del comportamento, sia in situazioni di ansia, agitazione o, al contrario, depressione ed apatia, per incentivare la relazione e per contenere gli sbalzi d’umore.
Nasce in Svezia dall’idea di Britt Marie Egedius Jakobsson, psicoterapeuta, che ha utilizzato la bambola per stimolare l’empatia e le emozioni del proprio figlio affetto da autismo. Da quel momento in poi, e con uno sviluppo sempre maggiore, le bambole dedicate alla terapia come le “Empathy Doll” diventano in tutta Europa un oggetto simbolo nella relazione di aiuto. Esse verranno usate per stimolare l’emotività e l’empatia di bambini ed adulti e successivamente come elemento di cura e terapia per i malati di demenza.
La popolazione italiana dal 2001 al 2011 ha subito un forte incremento demografico, crescendo di più di due milioni di unità, grazie al miglioramento della spettanza e della qualità della vita. Secondo le stime dell’Istat (Rapporto annuale 2017), se nel 2001 gli ultrasessantacinquenni costituivano circa il 18% della popolazione, oggi raggiungono il 22% del totale e nel 2043 oltrepasseranno il 32%. L’aumento della spettanza di vita media ha portato con sé una maggior diffusione delle patologie associate all’invecchiamento. Tra queste, la diffusione delle demenze si presenta come un fenomeno sociale drammatico, che incide pesantemente sulla vita del singolo malato e della sua rete familiare. L’Alzheimer’s Disease International ha stimato a livello mondiale per il 2017 quasi 10 milioni di nuovi casi di demenza all’anno (di cui circa 5 di Alzheimer), cioè un nuovo caso ogni 3,2 secondi. Si tratta di una crescita che porterà ad una quota complessiva di 74,7 milioni di malati nel 2030 e 131,5 milioni nel 2050. I numeri di questa “epidemia” parlano chiaro e si traducono in costi sia sociali che economici estremamente rilevanti. I costi diretti dell’assistenza in Italia ammontano ad oltre 11 miliardi di euro, di cui il 73% a carico delle famiglie. Nel nostro Paese sono 1,2 milioni le persone affette da demenza.
La limitata efficacia delle terapie farmacologiche e la plasticità del cervello umano sono le ragioni più importanti del crescente interesse per le terapie non farmacologiche come ad esempio la “Doll Therapy” o “Terapia della Bambola”.
È un trattamento di tipo non farmacologico, che viene applicato in area geriatrica per il trattamento dei disturbi comportamentali nella persona affetta da demenza.
Quali sono le sue azioni e quali i benefici per i pazienti dementi degenti in RSA?
Health Online l’ha chiesto al Prof. Giancarlo Isaia, Professore Ordinario di Medicina Interna e Geriatria all’Università di Torino e Responsabile del reparto di Geriatria e Malattie Metaboliche dell’Osso dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino, struttura che ha attivato di recente la terapia.
“Le azioni della Doll Therapy – ha spiegato Isaia – possono realizzarsi sia a livello preventivo che di cura, attraverso il supporto alla salute che può derivare da alcuni benefici dell’intervento organizzato sistematicamente e professionalmente, quali:
- la modulazione di stati d’ansia e di agitazione e delle loro manifestazioni sintomatiche come aggressività, insonnia, apatia o wandering;
- la conseguente possibilità di ridurre sensibilmente il ricorso ai sedativi;
- la riduzione di condizioni di apatia e depressione, caratterizzate da disinteresse ed inattività totale;
- la capacità di rispondere ai bisogni emotivi-affettivi che, malgrado il deterioramento cognitivo, rimangono presenti ma non sono più soddisfatti come in età precedenti;
- la possibilità di ostacolare il deterioramento di alcune abilità cognitive e di sostenere l’utilizzo di prassi motorie che fungono da stimolo delle abilità residue.
A partire dall’osservazione delle potenzialità di questa terapia, essa può essere considerata un metodo integrativo, piuttosto che alternativo, ma anche uno strumento di riabilitazione in grado di aiutare a ridurre e compensare le compromissioni funzionali degenerative”.
Per i pazienti dementi degenti in RSA, quali sono stati i risultati raggiunti?
“Dati preliminari dimostrano che per questi pazienti la terapia con la bambola è stata utile nel ridurre i sintomi di aggressività ed il carico infermieristico in pazienti lungodegenti, con effetti migliori dell’approccio farmacologico tradizionale nel sedare i pazienti agitati senza avere effetti collaterali”.
È possibile anche ridurre l’uso di farmaci con un miglioramento del quadro clinico del paziente?
“A questo riguardo, occorre precisare che attualmente purtroppo non esistono terapie validate per bloccare o per invertire i processi che portano al deterioramento del cervello e che tutte le terapie farmacologiche attualmente disponibili sono definite “sintomatiche”, ossia hanno il compito di controllare e rallentare i sintomi della malattia. Non si può escludere tuttavia che questo approccio non farmacologico possa consentire di ridurre i farmaci, non di rado gravati da effetti indesiderati”.
Come avviene il trattamento? Qual è il ruolo e quali sono i parametri di scelta della bambola?
“Prima di tutto si effettua una valutazione clinica preliminare e, sulla base di griglie di osservazione e della conoscenza della biografia dei soggetti interessati, vengono scelti i momenti più opportuni per consegnare la bambola terapeutica, che viene riconosciuta come un bambino e quindi accudita. Questo momento di relazione con la bambola, che può durare anche un’ora, è fonte di emozioni positive come la gioia, la tenerezza, la sorpresa e può dare la sensazione di riappropriarsi di un ruolo avuto in passato (prendersi cura) e di elementi della propria storia di vita. Vengono scelti i pazienti che presentino disturbi del comportamento come problemi di agitazione durante le cure di base, l’insonnia notturna, l’affaccendamento, il vagabondaggio e l’apatia”.
Da cosa nasce l’idea di applicare la Doll Therapy presso la struttura da lei diretta?
“Gli Specialisti neurogeriatri della SC Geriatria e Malattie Metaboliche dell’osso da me diretta si applicano da moltissimi anni alla diagnosi ed alla terapia della demenza e sono stati coinvolti in numerose sperimentazioni cliniche. Essendo una struttura universitaria, abbiamo ritenuto istituzionalmente doveroso esplorare nuove strade nel trattamento di questi difficili pazienti, ad integrazione dei trattamenti farmacologici, anche per dare un “messaggio” di tipo culturale di apertura verso nuovi approcci non farmacologici nel trattamento di numerose malattie croniche. Inoltre vorremmo aggiungere nostri dati a quelli già presenti in letteratura apportando i risultati scientifici della nostra esperienza”
Perché oggi sempre più spesso si utilizzano terapie non farmacologiche come la Doll Therapy?
“Proprio la sostanziale inefficacia dei farmaci, non privi di effetti collaterali, ha stimolato in tutto il mondo approcci non farmacologici come la Doll o la Pet Therapy, che certamente non provocano effetti secondari, sono di costo limitato, hanno dato risultati incoraggianti sia sui pazienti che sul personale curante e che pertanto meritano di essere sperimentate”.
Quali sono i suoi consigli?
“Considerando lo sviluppo demografico del genere umano, sempre più orientato ad un incremento nel numero di persone anziane, molte delle quali soffriranno di disturbi cognitivi, ritengo anzitutto importante che le Istituzioni si occupino maggiormente di questi malati, fornendo supporto di tipo socio-assistenziale sia al paziente sia alla famiglia, ed addestrando i caregiver all’uso di terapie alternative come appunto la Doll Therpy. Spesso infatti la demenza è definita anche “malattia della famiglia”, perché, pur interessando a livello organico il paziente, i suoi effetti negativi colpiscono, e colpiscono duramente, anche coloro che fanno parte della vita quotidiana del malato. Inoltre è importante intervenire sull’ambiente (“milieu therapy”), adattando le strutture ambientali alle limitazioni fisiche e psichiche del paziente, per renderlo compatibile con le sue capacità, garantirgli sicurezza e aiutandolo così a mantenere il suo miglior grado funzionale possibile.”