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Tumore alla prostata: metodiche sempre più all’avanguardia nella diagnosi e nel trattamento
Ogni anno nel nostro Paese vengono diagnosticati circa 36 mila nuovi casi di tumore alla prostata. Nonostante l’88% delle persone con tumore della prostata sopravviva a 5 anni dalla diagnosi, l’alta diffusione della malattia la rende la terza causa di morte per tumore nella popolazione maschile (8% di tutti i decessi per cancro).
Stando ai dati più recenti, nel corso della propria vita un uomo su 8 nel nostro Paese ha la probabilità di ammalarsi di tumore della prostata. L’incidenza, cioè il numero di nuovi casi registrati in un dato periodo di tempo, è cresciuta fino al 2003, in concomitanza della maggiore diffusione del test PSA (Antigene prostatico specifico, in inglese Prostate Specific Antigene) quale strumento per la diagnosi precoce, e successivamente ha iniziato a diminuire (fonti: www.salute.gov.it e AIRC).
La prostata è una ghiandola posizionata di fronte al retto e produce una parte del liquido seminale rilasciato durante l’eiaculazione. Normalmente, è grande come una noce, ma andando avanti con gli anni o a causa di alcune patologie può ingrossarsi fino a dare disturbi soprattutto di tipo ostruttivo. Il tumore della prostata ha origine proprio dalle cellule presenti all’interno della ghiandola che cominciano a crescere in maniera incontrollata.
Quasi tutti i tumori prostatici diagnosticati, infatti, hanno origine dalle cellule della ghiandola e sono chiamati adenocarcinomi. Ci possono essere anche sarcomi, carcinomi a piccole cellule e carcinomi a cellule di transizione. Sono comuni le patologie benigne, soprattutto tra gli uomini over 50.
Uno dei principali fattori di rischio per il tumore della prostata è l’età: le possibilità di ammalarsi di tumore della prostata aumentano sensibilmente dopo i 50 anni. Oltre i 65 anni le percentuali aumentano ulteriormente, tanto che 2 tumori su 3 vengono diagnosticati proprio in questa fascia di età. Oltre gli 80 anni il tumore della prostata è ancora più frequente ma nella maggior parte dei casi la malattia è asintomatica o ha una progressione molto lenta.
Un altro fattore rilevante è la familiarità, il rischio di ammalarsi è doppio per chi ha un parente consanguineo (padre, fratello, ecc.) che ha sviluppato la malattia.
La componente genetica è un fattore da tenere sotto controllo: la presenza di mutazioni in alcuni geni come BRCA1 e BRCA2 o del gene HPC1, può aumentare il rischio di sviluppare un cancro alla prostata.
Lo stile di vita può incidere sul benessere generale dell’organismo e in tutti i casi determinate abitudini come una dieta ricca di grassi saturi, la mancanza di esercizio fisico e il sovrappeso possono favorire lo sviluppo e la crescita del tumore della prostata.
Nella fase iniziale il tumore prostatico è asintomatico, solo quando la massa tumorale cresce dà origine a sintomi: difficoltà a urinare o bisogno di urinare spesso, dolore, sangue nelle urine o nello sperma, sensazione di non riuscire a urinare in modo completo. Negli ultimi anni, grazie alla sempre maggiore sensibilizzazione della popolazione maschile, alla necessità di una diagnosi precoce e allo sviluppo di metodiche di diagnosi sempre più all’avanguardia, la gran parte dei carcinomi prostatici viene diagnosticata nelle fasi iniziali, quando il tumore non dà sintomi.
Health Online, per saperne di più ha intervistato il professor Giampaolo Bianchi, Direttore della Struttura Complessa di Urologia dell’AOU di Modena che di recente ha organizzato il Congresso della Società degli Urologi del Nord Italia (SUNI) e ha visto riunirsi specialisti provenienti da varie Urologie italiane proprio a Modena che si conferma ancora una volta punto di riferimento per l’Urologia.
Prof. Bianchi, quanto è importante la diagnosi precoce del tumore alla prostata? E quali sono gli esami di screening disponibili?
“Esistono ancora dubbi sul fatto che la diagnosi precoce del carcinoma prostatico abbia un impatto positivo sulla prognosi. Proprio per questo motivo non esistono relativamente al tumore della prostata degli esami di screening obbligatorio come invece accade per il tumore del seno, del colon retto e della cervice uterina. Tuttavia, dall’introduzione del dosaggio del PSA si è assistito a un incremento delle diagnosi precoci di carcinoma prostatico. Per sua natura il carcinoma della prostata è un tumore a evoluzione relativamente lenta, per cui la sua diagnosi deve essere accompagnata da una valutazione da parte dello specialista che, in base alle caratteristiche della malattia ed all’aspettativa di vita del paziente, valuterà i tempi e i modi più corretti per seguire e trattare la patologia”.
L’unico esame che può con certezza dimostrare la presenza di cellule tumorali all’interno della ghiandola prostatica è la biopsia prostatica, è così? In cosa consiste?
“Sì, ancora l’unico esame che può dimostrare con certezza la presenza di cellule tumorali all’interno della ghiandola è la biopsia prostatica. Al momento abbiamo a disposizione due tipologie di biopsia della prostata. La prima, ambulatoriale, in cui, con il paziente in posizione ginecologica, si eseguono in anestesia locale e sotto guida ecografica dei prelievi in zone predeterminate della prostata.
La seconda è la biopsia prostatica con tecnica Fusion. Viene eseguita in regime di “day surgery” e prevede dei prelievi dalle zone sospette rilevate alla RMN ed in zone predeterminate.
La percentuale di diagnosi di tumore è del 30% con la biopsia tradizionale e del 90% con la Fusion.
Per scuola tutte le biopsie eseguite nel nostro centro vengono eseguite per via transperineale, senza quindi passare con l’ago attraverso il retto, con un ovvio vantaggio nella riduzione dei rischi di infezione a seguito della procedura”.
Tra le metodiche innovative di diagnosi oggi si ha a disposizione la tecnica Fusion per la biopsia prostatica stereotossica, considerata il fiore all’occhiello dell’urologia modenese. Può spiegare di cosa si tratta? Quali sono i vantaggi rispetto alla biopsia classica?
“E’ una tecnica che è stata introdotta a Modena nel 2013. Da allora abbiamo effettuato 450 biopsie stereotassiche, dato che ci colloca tra i migliori centri italiani per casistica. Siamo stati i primi a introdurre questa metodica in Italia e terzi in Europa.
La biopsia tradizionale prevede l’esecuzione delle biopsie alla cieca in quanto l’ecografia non è in grado di riconoscere il tumore. Quindi spesso è necessario aumentare il numero dei prelievi o ripetere le biopsie nel tempo prima di poter diagnosticare la neoplasia.
La tecnica fusion prevede la sovrapposizione delle immagini della risonanza magnetica nucleare (RMN) ad un’ecografia tridimensionale. La RMN è molto sensibile nel diagnosticare i noduli neoplastici e grazie all’utilizzo di una tecnologia molto sofisticata è possibile biopsiare con precisione millimetrica le zone sospette”.
E’ uno strumento innovativo grazie al quale è possibile un approccio diverso alle terapie?
“Non tanto la biopsia stereotassica, quanto la risonanza magnetica multi parametrica può fornire informazioni utili ad un miglior approccio terapeutico. la risonanza magnetica multi parametrica, infatti, permette di localizzare in maniera precisa la sede dei noduli neoplastici sospetti. Tuttavia non è in grado di fornire indicazioni precise su eventuali invasioni della capsula prostatica da parte della malattia. In altre parole, non ci dà notizie particolarmente attendibili sul fatto che la malattia sia uscita o meno dalla prostata, andando a invadere i tessuti circostanti. Proprio per questi limiti della RMN, al fine di conservare la potenza sessuale e la continenza, mantenendo la radicalità oncologica, abbiamo sviluppato nel nostro centro un nomogramma, “PRECE”, che su basi statistiche, per ogni paziente, fornisce la distanza di sicurezza in millimetri che il chirurgo deve tenere dalla prostata.
Sulla base della risonanza magnetica multi parametrica, unita alle notizie fornite dal nostro nomogramma, da alcuni mesi stiamo sviluppando, assieme ad un gruppo di ricerca di Torino, delle ricostruzioni 3D che vengono sovrapposte alle immagini della prostata durante l’intervento guidando il chirurgo nella dissezione come un GPS guida un automobilista. Tutto questo al fine di ottimizzare i risultati di mantenimento di continenza e potenza sessuale, senza avere brutte sorprese da un punto di vista oncologico”.
Una volta diagnosticato il tumore quali sono le terapie da seguire?
“Diagnosticata la presenza di neoplasia prostatica le strade che si possono seguire sono molteplici e variano in base all’età, stadio del tumore ed altre malattie concomitanti. La prima scelta, soprattutto nel paziente giovane, è la chirurgia robotica. La prostatectomia robotica, grazie alla magnificazione dell’immagine, alla precisione di movimento degli strumenti e alla visione tridimensionale, permette in maniera mini-invasiva una completa eradicazione della malattia riuscendo a preservare al massimo le strutture anatomiche circostanti deputate al mantenimento della continenza e della potenza sessuale.
La chirurgia solitamente è riservata ai pazienti sotto i 75 anni. Nei pazienti più anziani, nei quali la malattia procede lentamente e non modifica la spettanza di vita, le terapie a disposizione possono essere la radioterapia o la terapia medica con soppressione ormonale.
Con l’avvento di nuove tecnologie come la RMN multi parametrica e la biopsia prostatica stereotassica, la diagnosi di tumore prostatico può avvenire precocemente e quando la malattia è clinicamente indolente.
In questa fase si può anche, in casi selezionati, attuare la cosiddetta “sorveglianza attiva”. Questa consiste nel seguire l’andamento della malattia, già diagnosticata, attraverso esami ematici seriati e l’esecuzione di una risonanza magnetica ed eventualmente una biopsia all’anno che controlli lo stato della patologia.
La sorveglianza attiva permette così di procrastinare il timing della chirurgia, valutando un’eventuale progressione, che comporti la necessità di esecuzione dell’intervento”.
La diagnosi precoce è fondamentale per combattere la neoplasia. In conclusione: quando e quali sono gli esami diagnostici comunemente utilizzati per monitorare lo stato di salute della ghiandola prostatica? E quando è opportuno consultare lo specialista?
“È consigliabile, nei soggetti di età superiore a 50 anni, eseguire un esame del PSA e successiva visita specialistica urologica con esplorazione rettale. Questi due elementi sono già in grado di fornire allo specialista importanti notizie che permetteranno di progettare un corretto iter diagnostico-terapeutico. Pazienti con famigliarità per il tumore della prostata devono anticipare questo controllo alla soglia dei 45 anni.
Certamente è opportuno affidarsi ad un centro ad alto volume, che possa mettere a disposizione le più moderne tecnologie e una vasta esperienza”.