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Covid-19 e scuola: si riparte in sicurezza
La parola alla prof.ssa Franca Fagioli, direttore del Dipartimento di Patologia e Cura del bambino dell’ospedale infantile “Regina Margherita” della Città della Salute e della Scienza di Torino.
Uno degli argomenti più discussi in questo periodo di pandemia da Covid-19 è la riapertura degli istituti scolastici dopo 6 mesi dalla chiusura forzata. Il rientro in classe, secondo quanto stabilito dal Governo sulla base delle indicazioni del Comitato tecnico scientifico, è previsto per il 14 settembre, ma in alcune regioni del territorio italiano, come a Vo’ Euganeo (Padova) una delle prime zone colpite dall’emergenza nuovo Coronavirus, l’apertura è stata anticipata a ieri, 7 settembre. In Friuli Venezia-Giulia, la ripartenza invece è posticipata al 16 settembre, mentre in Sardegna al 22 settembre. Il via al nuovo anno scolastico è caratterizzato da una serie di novità in termini di prevenzione per fronteggiare la diffusione del virus. Le misure chiave per la riduzione del rischio negli ambienti scolastici e per una riapertura in sicurezza riguardano principalmente: la sanificazione degli ambienti, le norme di igiene base, il distanziamento sociale, ma anche politiche specifiche per bambini a rischio con esigenze di apprendimento o condizioni di salute speciali, nonché per docenti con condizioni di salute che li rendono vulnerabili a infezioni più gravi. Secondo il protocollo anti Covid per le scuole, è inoltre raccomandato agli istituti e ai servizi educativi dell’infanzia di identificare dei referenti scolastici che faranno da raccordo tra la scuola e l’Asl di riferimento.
Per fare il punto e su come prepararci al nuovo anno scolastico tra dubbi e certezze, abbiamo intervistato la professoressa Franca Fagioli, Direttore del Dipartimento di Patologia e Cura del bambino dell’ospedale infantile “Regina Margherita” della Città della Salute e della Scienza di Torino.
Cosa ne pensa delle misure indicate dal CTS ?
Tutte le norme adottate dai decreti istituzionali sono finalizzate a favorire la riapertura scolastica garantendo la riduzione del rischio di contagio tra i bambini, il personale scolastico e le famiglie.
Secondo lei la riapertura delle scuole può incidere su una ripresa della circolazione del virus?
“Non è al momento possibile prevedere se la riapertura della scuola possa portare ad un significativo aumento della circolazione del virus. Sono ancora diverse le incognite, di cui alcune cruciali, che non permettono una concreta previsione del dato epidemiologico. I dati certi, documentati, sono gli inevitabili danni educativi e il disagio psicologico di bambini e adolescenti dovuto alla prolungata chiusura dei servizi educativi e della scuola”.
Il ruolo dei bambini in termini di contagio e trasmissione del virus..
“Un nodo cruciale ancora da sciogliere è proprio il ruolo dei bambini nella trasmissione dell’infezione: infatti, non è possibile al momento stabilire con certezza se i bambini e gli adolescenti trasmettano o meno il virus in misura diversa rispetto agli adulti. I dati a nostra disposizione mostrano come difficilmente i bambini costituiscano, all’interno di cluster familiari, il caso indice dell’infezione. A supporto della bassa trasmissibilità del virus nelle comunità infantili e scolastiche vi sono i dati incoraggianti dei Paesi europei nei quali sono stati riaperti asili e scuole ma non si è verificato un aumento significativo dei contagi nelle settimane successive.
Per quanto riguarda la carica virale, recenti studi hanno documentato come a livello nasofaringeo in bambini sintomatici sia simile o di poco inferiore a quella degli adulti ma il reale correlato con il grado di infettività non è ad oggi noto. Evidenza importante è il riscontro del virus a livello fecale, anche in assenza di sintomi e per periodi prolungati che deve essere presa in considerazione soprattutto tra i bambini più piccoli per poter mettere in atto adeguate misure preventive.
Per quanto riguarda la comparsa dei sintomi, sappiamo che la percentuale di bambini che contraggono l’infezione è molto bassa. I bambini tendono ad essere spesso pauci-sintomatici o asintomatici e comunque a sviluppare forme meno gravi rispetto all’adulto”.
Temperatura e assenza di sintomi e sintomi febbrili: cosa fare?
In assenza di sintomi non è semplice identificare un bambino infetto. Misurare tutte le mattine la temperatura corporea è l’unico modo per bloccare eventuali focolai nelle scuole?
“Innanzitutto è fondamentale puntare sulla responsabilizzazione delle famiglie sensibilizzando i genitori sull’importanza di una corretta identificazione ed una precoce segnalazione dei sintomi. La febbre è un sintomo di facile valutazione. Uno starnuto o un colpo di tosse è più difficile da indagare. Una temperatura corporea uguale o superiore a 37.5°C è da intendersi febbre. Una misurazione quotidiana della temperatura, sempre alla stessa ora, può diventare una pratica saggia e di facile esecuzione. La misurazione della temperatura a casa è sicuramente la soluzione più semplice e più efficace e permette di evitare assembramenti e rischi di contagio durante il tragitto da casa-scuola”.
Con la riapertura delle scuole di ogni ordine e grado, compresi gli asili nido, si va anche verso la stagione autunnale e la comparsa dei primi raffreddori non necessariamente accompagnati da stati febbrili. Questi sintomi però potrebbero essere “confusi” con quelli tipici da Covid-19.
Come devono comportarsi i genitori? Quali sono i suoi consigli?
“La sintomatologia dell’infezione da COVID-19 non è sicuramente specifica e può essere difficile da distinguere dai comuni malanni stagionali. Non è possibile distinguere in modo certo Covid da influenza perché i sintomi sono davvero molto simili e l’unico modo certo per fare una diagnosi differenziale è eseguire il tampone. I sintomi più comuni di Covid-19 nei bambini sono la tosse o la febbre o entrambi, con raffreddore e sintomi gastrointestinali (presenti nel 30% dei bambini). Esistono poi molti altri potenziali modi in cui il virus si presenta nei bambini positivi: perdita del gusto e dell’olfatto (frequente negli adulti molto più rara nei bambini), dolore addominale, mal di testa, mal di gola, difficoltà respiratorie. Purtroppo alcuni di questi sintomi sono gli stessi che caratterizzano altre malattie che circolano durante la stagione invernale. Un grafico dei Centres for Disease Control an Prevention (CDC) indica la frequenza con cui questi sintomi si sovrappongono. Per limitare il più possibile il rischio di diagnosi errate i pediatri suggeriscono di vaccinare i propri figli contro l’influenza: in caso di sintomi se un bambino ha fatto il vaccino è più probabile che si tratterà di Covid-19.
In caso di sospetto COVID-19 verrà richiesto tempestivamente il tampone che, come già detto, è l’unico modo certo per fare la diagnosi.
Proprio per facilitare la diagnosi, la gestione dei casi sospetti e diminuire il carico di malattia per il SSN, mai come quest’anno sarà importante la campagna di sensibilizzazione del vaccino anti-influenzale, a partire dai 6 mesi di vita”.
Il bambino che presenta sintomi influenzali senza febbre deve restare a casa?
Assolutamente sì.
Secondo le linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità, “per la gestione di casi e focolai di Covid nelle scuole e nei servizi educativi dell’infanzia il metodo diagnostico riconosciuto e validato dagli organismi internazionali per rivelare la presenza del virus Sars-CoV-2 in un individuo infetto, e quindi lo strumento più adatto per un caso sospetto, è un saggio molecolare basato sul riconoscimento dell’acido nucleico (RNA) virale mediante un metodo di amplificazione (Polymerase Chain Reaction, PCR) effettuato su un campione di secrezioni respiratorie, generalmente un tampone naso-faringeo”. Una diagnosi certa è data quindi dal tampone, ma occorrono dalle 24 alle 48 ore per essere processato dal laboratorio, il che significa lasciare in attesa la classe e in caso di positività attivare lo stesso protocollo per tutte le persone che sono entrate in contatto con il bambino. Sempre secondo quanto riportato dal documento dell’Iss “sono stati sviluppati, e sono inoltre in continua evoluzione tecnologica per migliorare la loro performance, dei test diagnostici rapidi che rilevano la presenza del virus in soggetti infetti, meno sensibili del test molecolare classico eseguito in laboratorio ma che dopo opportuna validazione potranno rappresentare un essenziale contributo nel controllo della trasmissione di Sars-CoV-2”.
A tal proposito, due regioni italiane, il Lazio e il Veneto hanno presentato il piano di emergenza basato sul test rapido come screening nelle scuole (lo stesso utilizzato negli aeroporti n.d.r.), che a differenza di quello classico naso-faringeo non viene processato in laboratorio e quindi si ha un risultato in mezz’ora rilevando gli antigeni (proteine) del virus. Il prelievo avviene con dei bastoncini infilati nelle narici e nella faringe (come nel caso di un tampone classico) oppure può essere presa la saliva. In caso di positività si procede con il tampone classico. Gli eventuali contagiati saranno isolati, mentre gli altri saranno rimandati a casa e l’istituto sottoposto alle normali procedure di sanificazione con la chiusura di 1 o 2 giorni.
Professoressa Fagioli, cosa ne pensa dei test rapidi?
“Ritengo che la disponibilità di test rapidi affidabili sia uno strumento di straordinaria importanza ed una ottima strategia. I risultati delle regioni pilota per questo progetto, come il Lazio e il Veneto, saranno di fondamentale importanza in quanto potrebbero indicarne l’estensione sul territorio nazionale per agevolare il mantenimento dell’apertura della scuola in sicurezza”.
Tra le misure di prevenzione in ambito scolastico, anche una corretta igiene delle mani con un lavaggio frequente e l’utilizzo di gel igienizzanti.
Quali sono i suoi consigli per un corretta educazione? Cosa si intende per “frequente”? (quante volte durante l’orario scolastico?)
“Lavare frequentemente le mani in modo accurato con acqua e sapone o con soluzioni alcoliche, queste ultime devono essere conservate al di fuori della portata dei bambini più piccoli per il rischio di inalazione, ed il loro utilizzo deve avvenire sotto la supervisione di un adulto. Il lavaggio delle mani andrebbe praticato all’ingresso e all’uscita dalla struttura, all’inizio ed al termine di ogni attività ricreativa, prima e dopo i pasti, prima e dopo l’accesso ai servizi igienici e ogniqualvolta si renda necessario. I sistemi educativi possono essere di supporto nella responsabilizzazione dei bambini a questa buona pratica che può essere diffusa come un momento ludico per poi diventare norma di buona vita”.
Gel igienizzanti: qual è l’uso corretto per evitare problemi di salute per la pelle dei bambini?
“Un accurato lavaggio delle mani con acqua e sapone per almeno 60 secondi è sufficiente a garantire una adeguata igiene”.
Ci sono delle novità anche in merito all’obbligo di indossare la mascherina. Inizialmente si doveva indossare la mascherina chirurgica certificata (non sono ammesse nelle scuole quelle di stoffa, n.d.r.) che garantisce una maggiore protezione, da parte del personale scolastico e alunni, ma le ultime indicazioni del Comitato tecnico scientifico, in riferimento a quanto espresso dall’OMS in merito all’uso delle mascherine chirurgiche in ambito scolastico per gli studenti, prevedono di non indossarle se viene rispettata la distanza di un metro. Nella scuola primaria, bambini dai 6 agli 11 anni “per favorire l’apprendimento e lo sviluppo relazionale, la mascherina può essere rimossa in condizione di staticità con il rispetto della distanza di almeno un metro e l’assenza di situazioni che prevedano la possibilità di aerosolizzazione (ad esempio il canto)”.
Per quanto riguarda la scuola secondaria, alunni dai 12 anni in su, invece “anche considerando una trasmissibilità analoga a quella degli adulti – si legge nella nota – la mascherina può essere rimossa in condizione di staticità con il rispetto della distanza di almeno un metro, l’assenza di situazioni che prevedano la possibilità di aerosolizzazione (es. canto) e in situazione epidemiologica di bassa circolazione virale come definita dalla autorità sanitaria”.
Mascherine sì, mascherine no. Si è parlato molto di questo dispositivo di protezione individuale da far indossare anche ai bambini a scuola. Cosa ne pensa dell’ultima disposizione?
“In generale, in Italia, secondo quanto stabilito dall’ultima ordinanza firmata dal ministro della salute Roberto Speranza il 17 agosto scorso, si ha l’obbligo di indossare la mascherina in tutti i luoghi chiusi accessibili al pubblico e comunque in tutti i casi in cui non sia possibile rispettare il distanziamento sociale, fatta eccezione per i bambini di età inferiore ai 6 anni e i soggetti con forme di disabilità non compatibili con l’uso continuativo della mascherina.
In qualità di Pediatra Oncologa posso affermare che i bambini affetti da patologie oncologiche o disordini del sistema immunitario indossano la mascherina per molte ore al giorno durante le attività ospedaliere ed extra. Questa protezione costituisce per loro un ponte per poter svolgere le normali attività quotidiane al pari dei loro coetanei. All’interno del mio Reparto capita spesso di avere pazienti con mascherine personalizzate che raffigurano i loro personaggi preferiti diventando così un accessorio divertente e un utile supporto per il superamento della fragilità. A tal proposito non è infrequente vedere in reparto bambini giocare con eroi mascherati o con bambole con la mascherina”.
È dannoso per la salute dei bambini indossarle per diverse ore e durante lo svolgimento di attività fisiche che siano anche il semplice gioco?
Indossare la mascherina chirurgica anche per più ore al giorno da parte di bambini non è pericoloso. Sono stati sfatati i tanti falsi miti in circolazione come il rischio di alcalosi, ipossia, indebolimento del sistema immunitario.
I bimbi di età pari o superiore ai 6 anni dovrebbero indossare la mascherina (chirurgica oppure home made) nei luoghi chiusi ed in tutte le situazioni in cui non sia possibile mantenere le regole minime di distanziamento interpersonale. Nella fascia di età tra i 2 e 5 anni si consiglia l’utilizzo della mascherina nelle suddette situazioni ove possibile, compatibilmente con la compliance del/la bambino/a. Nei bambini, in caso di problematiche legate all’uso della mascherina, essa può essere sostituita con il visor.
L’utilizzo delle mascherine non è invece raccomandato al di sotto dei 2 anni di età per il rischio di soffocamento, così come in coloro che soffrono di problemi respiratori o non sono in grado di rimuovere autonomamente la mascherina”.
Dunque, dove eravamo rimasti…Nella maggior parte delle regioni d’Italia il tanto atteso avvio del nuovo anno scolastico al tempo di convivenza con il nuovo coronavirus partirà tra meno di una settimana e, nonostante la grande voglia di tornare tra i banchi di scuola dopo 3 mesi di didattica a distanza, non mancano dubbi e preoccupazioni da parte delle famiglie. Il rientro, secondo i risultati di un’indagine condotta da Ipsos tra il 4 e il 18 agosto su un campione di 2370 persone, preoccupa 7 genitori su 10. La principale ansia è data dall’incertezza sulle modalità di ripresa (60%), seguita dai rischi legati al mancato distanziamento fisico (51%). Indagini a parte, è importante che i bambini tornino a scuola sopratutto per evitare danni educativi e disagi psicologici dovuti alla prolungata chiusura degli istituti scolastici.