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Covid-19: variante Omicron e vaccini
Qual è l’efficacia dei vaccini contro la nuova mutazione? C’è un rischio di reinfezione da variante Omicron per i guariti dal Covid?
Il vaccino è tra le principali misure per limitare la diffusione del virus Sars-CoV-2 soprattutto in questo periodo di allarme da variante Omicron. Prosegue in Italia la campagna di vaccinazione. Ad oggi è pari a 102.564.496 il totale delle somministrazioni del vaccino anti covid e 12.078.543 quello della dose di richiamo (fonte: governo.it).
Tra le domande più frequenti in testa c’è quella relativa all’efficacia dei vaccini, nello specifico di quello sviluppato da Pfizer, nei confronti della variante Omicron. Secondo i primi dati di uno studio, di dimensioni ridotte, condotto in Sudafrica dall’Africa Health Research Institute è emersa una “evidente riduzione” della protezione offerta dal vaccino nei confronti della variante.
Alcuni elementi dello studio sono stati riassunti su Twitter dal virologo sudafricano Alex Sigal, uno dei firmatari della ricerca. L’analisi, afferma lo stesso scienziato, è ancora in fieri: finora sono stati raccolti dati relativi a 12 soggetti che hanno ricevuto il vaccino Pfizer nel ciclo ordinario e senza la dose booster. I risultati dello studio potrebbero cambiare con l’acquisizione di ulteriori dati, nel quadro generale caratterizzato dall’attività di ricerca condotta in numerosi paesi e anche dalle aziende produttrici dei vaccini. “Tenderei ad essere più ottimista”, ha detto Ugur Sahin, fondatore di Biontech (partner di Pfizer), alla Nbc. Nello studio, inoltre, si osserva che l’abbinamento tra guarigione dal covid e la somministrazione del vaccino “aumenta il livello di protezione” in particolare dalla malattia grave.
E proprio sull’efficacia vaccinale nel prevenire i casi di malattia severa da Covid-19, nell’ultimo Report integrale dell’Istituto superiore di Sanità si legge che questa rimane elevata in quanto l’efficacia nei vaccinati con ciclo completo da meno di cinque mesi è pari al 93% rispetto ai non vaccinati, mentre risulta pari all’84% nei vaccinati con ciclo completo da oltre cinque mesi. La protezione contro il virus Sars-CoV-2 scende a distanza di 5 mesi ma risale con la terza dose. “Le terze dosi sono ancora più importanti per fronteggiare la variante Omicron, lo stiamo vedendo dai dati che arrivano”. Ha detto il Ministro della salute Roberto Speranza in occasione della partecipazione al seminario ‘La casa come primo luogo di cura del cittadino. L’accreditamento delle cure domiciliari e delle Reti di cure palliative’. Il Ministro ha sottolineato che i numeri della campagna vaccinale sono molto incoraggianti. Intanto da mercoledì scatta l’obbligo vaccinale del personale della scuola e delle forze dell’ordine.
Se in Italia si va avanti, oltre che con la somministrazione delle prime e seconde dosi, anche con il booster, Israele ha deciso di non ridurre a tre mesi il periodo tra seconda e terza dose di richiamo e non raccomanda, al momento, la somministrazione di una quarta dose di vaccino contro il coronavirus.
Un’altra domanda riguarda il rischio di reinfezione a causa della variante Omicron. Secondo uno studio coordinato dal National Institutes for Food and Drug Control (NIFDC) di Pechino e pubblicato su Emerging microbes & infection, chi ha avuto il Covid-19 durante la prima ondata può essere infettato nuovamente dalla variante Omicron: la capacità degli anticorpi sviluppati dopo l’infezione di neutralizzare la nuova variante è infatti 8,4 volte più bassa rispetto a quella riscontrata contro il virus originario.
Lo studio ha verificato la capacità del siero di 28 pazienti che erano stati infettati con il ceppo originario di SARS-CoV-2 di neutralizzare Omicron e altre varianti emerse negli ultimi mesi. La perdita di efficacia contro la nuova variante è risultata essere di 8,4 volte, quella contro la Delta di 1,6 volte, contro la variante Alfa (la vecchia ‘inglese’) di 1,2 volte, contro la Beta (‘sudafricana’) di 2,8, contro la Gamma (‘brasiliana’) di 1,6. Mentre la capacità neutralizzante contro le varianti Lambda e Mu è risultata più bassa rispettivamente di 1,7 e 4,5 volte.
I ricercatori avvertono che sono necessari ulteriori studi per comprendere a pieno il livello di protezione immunitaria conferito dalle precedenti infezioni, per esempio in chi ha incontrato una variante del coronavirus diversa da quello originario emerso a Wuhan. Tuttavia “questo studio ha verificato la grande capacità di elusione immunitaria della variante Omicron; ciò conferma l’allarme in tutto il mondo e ha importanti implicazioni per la pianificazione della politiche di salute pubblica”, hanno concluso i ricercatori.
Sul rischio di reinfezione interviene Guido Forni, immunologo dell’Accademia Nazionale dei Lincei, nel corso del programma ‘Res Publica’. “Le persone che guariscono dal Covid hanno un maggiore rischio di ammalarsi di nuovo rispetto alle persone vaccinate”, ha detto l’immunologo, aggiungendo che “Questo vuol dire che il virus del Covid viene meno bene riconosciuto dal nostro sistema immunitario oppure che ha una cinetica replicativa per cui si diffonde prima che la risposta immunitaria diventi efficace. Ed è forse questo che spiega come mai man mano che passa il tempo i vaccini proteggano meno dall’infezione, ma continuino a rendere molto meno grave la malattia. È un virus che riesce a sfuggire alle reazioni immunitarie, non è colpa dei vaccini, è caratteristica di questa malattia”.
I sintomi legati alla variante Omicron sono uno degli argomenti toccati a Washington dal professor Anthony Fauci, direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, durante un briefing virtuale alla Casa Bianca. “Se si considera la trasmissibilità, abbiamo evidenze a livello molecolare: suggeriscono che le mutazioni individuate in Omicron e in altre varianti fanno pensare ad un’aumentata contagiosità. I dati vengono accumulati rapidamente, su base quotidiana, per consentirci di determinare l’aumento dei casi” e ipotizzare “la rapida sostituzione della variante Delta da parte di Omicron in certe situazioni”.
I dati arrivano soprattutto dal Sudafrica, il paese che ha scoperto la variante Omicron. “In base ai casi, sembra che non ci sia una malattia dal profilo molto grave”, ma va monitorata “una aumentata tendenza alla reinfezione” per soggetti in passato contagiati dalla variante Beta o dalla variante Delta. “Visto che i dati sulla severità della malattia, i ricoveri e i decessi non sono immediati, ci vorranno almeno due settimane prima di avere una panoramica della situazione e poi altro tempo per un quadro ancor più dettagliato. Quindi, direi che non dovremmo trarre conclusioni definitive, di certo non prima delle prossime due settimane”.