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Il rame? Tra le cause principali dell’Alzheimer
La parola alla ricercatrice del Fatebenefratelli di Roma, dottoressa Rosanna Squitti
Degni alleati e killer temuti. I metalli pesanti (rame, ferro e zinco) sono micronutrienti fondamentali per il nostro organismo che accelerano l’attivazione di processi biologici come la respirazione, la produzione di globuli rossi e globuli bianchi, la maturazione del collagene, e altro ancora. Tuttavia negli ultimi anni è diventata sempre più chiara la relazione che intercorre tra questi metalli e le malattie neuro-degenerative come l’Alzheimer, che colpisce circa 30 milioni di persone nel mondo (600 mila sono in Italia). Nello specifico, mercurio, alluminio, cadmio, piombo, uranio e altri metalli tossici, diossina e ulteriori sostanze riconducibili a pesticidi, insetticidi, diserbanti, estrogeni, e solventi, dopo anni di presenza nell’organismo dell’uomo possono provocare vere e proprie malattie, sia per effetto tossico diretto che tramite la produzione di radicali liberi di cui sono una fonte enorme. Il nesso tra il declino cognitivo e i livelli di rame libero presente nel sangue è stato confermato da uno studio del 2021 condotto da un team di ricercatori coordinato dalla dottoressa Rosanna Squitti del Dipartimento di Medicina di Laboratorio dell’Ospedale Generale “San Giovanni Calibita” Fatebenefratelli e diretto dal Dottore Mauro Rongioletti. In modo particolare è emerso che la quantità eccessiva di questo metallo ha effetti tossici perché il rame supera la barriera ematoencefalica andando a depositarsi sui circuiti nervosi.
Dottoressa perché si parla di rame “buono” e rame “cattivo”?
Il chiaro riferimento è al rapporto di questo metallo con una proteina, la ceruloplasmina. Nel caso in cui il rame è libero si parla di rame cattivo, dal momento che non si lega a questa proteina che generalmente lo trasporta nell’organismo per favorire lo svolgimento di importanti funzioni vitali e metaboliche. Il rame ‘fuori’ dal controllo delle proteine provoca reazioni ossidanti che danneggiano cellule e tessuti.
È questo il focus della ricerca da lei diretta?
Abbiamo esaminato 56 studi realizzati negli ultimi quarant’anni su un totale di 6 mila soggetti, confrontandoli con un nuovo studio ‘di replica’ che ha analizzato diversi marcatori di rame e varianti del gene ATP7B associato alla sua disfunzione. L’eziologia della malattia di Alzheimer al momento non è nota. Sappiamo che si tratta di una malattia complessa che colpisce prevalentemente le persone che hanno superato i 65 anni e che sono tanti i fattori che contribuiscono alla sua insorgenza. In questo senso il rame gioca un ruolo importante, proprio come accade anche nel diabete, oppure nel processo dell’ipertensione. Oggi siamo in grado di confermare che questo metallo è in grado di compromettere la capacità del cervello di rimuovere le molecole di beta amiloide e di accelerare processi neurodegenerazione come lo stress ossidativo, l’infiammazione e la “cuproptosis” un nuovo processo di morte cellulare causata da eccesso di rame, recentemente scoperta e pubblicata sulla rivista Science (2022). Quando il rame non legato alla ceruloplasmina supera una certa soglia diventa tossico in quanto riesce ad oltrepassare la barriera ematoencefalica, il filtro che separa il sangue dal cervello, e innescare questi processi tossici, contribuendo ad accelerare i processi di neurodegenerazione associati alla demenza.
In che modo il rame arriva all’interno dell’organismo umano?
Attraverso l’alimentazione, l’acqua che beviamo oppure tramite gli integratori. Anche tramite contaminazioni polmonari: è questo, ad esempio, il caso dei lavoratori impiegati nelle miniere che estraggono di metalli. Il rame è un elemento essenziale presente nella dieta: la RDA (Recommended dietary allowance), cioè la quantità di rame che dovremmo assumere ogni giorno, è di 0.9–1.3 mg/day ma molti cibi ed integratori hanno un contenuto di rame superiore. Uno studio epidemiologico condotto su più di 10 mila persone seguite per vent’anni, pubblicato recentemente sulla rivista American Journal of Epidemiology, ha dimostrato che una dieta con più alti valori di rame e grassi saturi è associata ad un rischio più elevato di sviluppare demenza ed a un maggiore declino cognitivo nella
sfera del linguaggio (2022), confermando un precedente studio pubblicato nel 2006 e condotto su più di 3000 persone seguite per circa 9 anni (2006).
Un nutriente però che può essere anche letale?
Nel caso specifico della malattia di Alzheimer abbiamo appurato che presenza di rame nel cervello diminuisce, mentre nel sangue aumenta. I due dati non sono in contraddizione tra loro: fanno parte di uno squilibrio sistemico tra rame “buono” (legato alle proteine) che diminuisce e rame “cattivo (non legato alle proteine) che aumenta. Per questo è utile misurare i livelli di rame non legato a ceruloplasmina nel siero, dosaggio che può essere effettuato presso l’Ospedale Fatebenefratelli, sull’Isola Tiberina.
Uno squilibrio ben chiaro in un’altra malattia legata al rame tossico. Quale?
Si tratta della , caratterizzata da un accumulo eccessivo di rame nell’organismo, in particolare nel fegato e nel cervello, assunta come paradigma per lo studio sul ruolo del metallo nell’Alzheimer. L’eccesso di rame non legato a ceruloplasmina aumenta di 3 volte il rischio di ammalare e lo studio ‘di replica’ (condotto su circa 170 pazienti) che abbiamo associato ai 56 studi esaminati dimostra che i portatori delle varianti-rischio del gene ATP7B sono più suscettibili ad ammalare di Alzheimer (Squitti et al., 2021).
Su quali evidenze scientifiche è stata basata la vostra ricerca?
Su tutti gli studi pubblicati dal 1984 al 2020 sul cervello e sugli studi relativi al siero e al plasma, fino allo stesso anno. Abbiamo utilizzato ed elaborato tutti questi dati disponibili confrontando ciò che avviene nel cervello e quanto si verifica in circolo. Da questi studi si ricava che mentre nel cervello dei pazienti si verifica una diminuzione effettiva di rame, in circolo invece c’è un aumento. In questo senso la malattia di Wilson è un esempio. Il difetto genetico nella malattia di Wilson compromette il trasporto del rame. Il ridotto trasporto diminuisce la secrezione di rame nella bile, causando il sovraccarico di rame con conseguente accumulo nel fegato, ma soprattutto un aumento di rame non legato a ceruloplasmina in circolo, processo che può iniziare al momento della nascita. La compromissione del trasporto interferisce anche con l’incorporazione del rame nella ceruloplasmina, diminuendo così i livelli sierici di quest’ultima.