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Adolescenti e depressione: attenzione alle facce tristi
Prestare attenzione agli stimoli negativi, ovvero alle facce tristi degli altri può portare allo sviluppo della depressione. È questo in sintesi, il risultato di una ricerca della Binghamton University pubblicata sul Journal of Anormal Child Psychology. Lo studio ha esaminato l’impatto della costante attenzione degli adolescenti alle manifestazioni del viso, sia durante le reazioni nel mondo reale sia davanti a situazioni simulate in laboratorio. È stato qui che i ricercatori hanno notato come una maggiore attenzione rivolta ai volti tristi sia legata a maggiori reazioni depressive allo stress del mondo reale. “Se un adolescente ha la tendenza a prestare maggiore attenzione agli stimoli negativi, quando sperimenta qualcosa di stressante è probabile che abbia una risposta meno adattativa a questo stress e che mostri maggiori aumenti dei sintomi depressivi – sostiene Cope Feurer, ricercatore che ha condotto l’analisi – Ad esempio, se due adolescenti litigano entrambi con un amico e un adolescente trascorre più tempo prestando attenzione agli stimoli negativi (cioè, le facce tristi) rispetto all’altro, allora quell’adolescente può mostrare maggiore aumento dei sintomi depressivi in risposta allo stress, potenzialmente perché presta maggiore attenzione al fattore di stress e al modo in cui il fattore di stress li fa sentire”.
I ricercatori ritengono che il meccanismo biologico alla base di questa scoperta risieda nella capacità del cervello di controllare la reattività emotiva.
La depressione è una malattia cronica molto diffusa e compare a seguito di un evento scatenante come una perdita, una delusione, ma altre volte senza un motivo apparente. Nelle donne può comparire con il post-partum o durante il periodo di transizione verso la menopausa. “È prevalentemente un disturbo dell’umore – spiega la psicologa-psicoterapeuta Marinella Cozzolino – che compare a seguito di un evento anche quando apparentemente non si vede. Spesso, quando ci sembra che la depressione arrivi dal nulla o, paradossalmente, in un momento felice, si può trattare di un post traumatico da stress vale a dire un episodio piccolo, banale che va ad aprire vecchie ferite mai risolte o di un calo di tensione emotiva accumulata dal soggetto fino a quel punto per il raggiungimento di un obiettivo”. È una patologia non sempre facile da diagnosticare. “La depressione è una delle patologie più difficili da diagnosticare – aggiunge – poiché molto spesso il soggetto riesce a compensarla, a fingere, anche con se stesso, che non ci sia. La contrasta, ci si oppone: mangiando di più o di meno, bevendo molto, cambiando lavoro in continuazione mosso da uno stato di profonda insoddisfazione e infelicità. Molti addirittura si rinchiudono in una passione che però, avendo il solo scopo di isolare, diviene ossessiva: chi legge venti ore al giorno, chi cucina, chi lavora a maglia”.
È quindi molto importante fare attenzione ai cambiamenti e riconoscerla in tempo per affidarsi alle cure, perché da questa malattia è possibile guarire. Si stima che in Europa sono circa 33 milioni le persone affette da depressione. I dati rilevano anche che solo 1 paziente su 3 si affida alle cure, iniziando le terapie in ritardo rispetto alla comparsa della patologia; “ il motivo è perché è difficile riconoscerla quando viene compensata con dei comportamenti apparentemente piacevoli e anche perché viene spesso confusa con un “momento di”: momento di tristezza, momento di malinconia, momento di dieta, momento di crisi esistenziale. Un soggetto depresso che non riconosce il suo status tenterà di mettere in atto tante strategie di compensazione che, in psicologia, vengono definite “tentate soluzioni”. Eliminare le tentate soluzioni, che invece di risolvere ingigantiscono il problema, è più difficile che eliminare il problema stesso”.