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Anticorpi monoclonali per il trattamento di Covid-19: arriva l’ok dell’Aifa
Viceministro della salute Pierpaolo Sileri “gli anticorpi monoclonali devono diventare una realtà”
Via libera dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) a due anticorpi monoclonali per il trattamento di Covid-19, quelli prodotti da Regeneron e da Eli Lilly. Un via libera con alcune condizioni come da legge 648/1996 che prevede l’approvazione di medicinali in corso di sperimentazione clinica o utilizzati in altri Paesi quando non esiste un’alternativa terapeutica valida. La condizione è per una categoria limitata di pazienti, ovvero per una casistica limitata in fase precoce in pazienti ad alto rischio di evoluzione.
Che cosa sono gli anticorpi monoclonali e a cosa servono?
Si tratta di anticorpi sintetici fabbricati in laboratorio e ottenuti da quelli naturali prodotti dai pazienti immunizzati, da somministrare a chi ancora deve superare la malattia. Queste cellule artificiali, scrive la leggepertutti.it, producono anticorpi migliori nell’organismo per debellare il coronavirus. In pratica, i monoclinali si legano alla proteina che il virus usa per entrare nelle cellule, cioè la proteina spike, bloccandone l’ingresso ed impedendo la replicazione. Si tratta di una difesa costruita appositamente contro il Covid, quindi funziona come se il soggetto fosse già stato vaccinato. La somministrazione prevede una infusione endovenosa di circa un’ora con un tempo di osservazione tra i 15 e i 30 minuti come nel caso dei vaccini. Lo scudo contro il contagio, però, dura solo qualche mese, non è certo efficace come quello del vaccino. Secondo gli esperti, i monoclonali vanno, dunque, utilizzati all’inizio della malattia, cioè entro 72 ore e non oltre 10 giorni da quando è stato riscontrato il coronavirus. Risultano, inoltre, poco efficaci quando il paziente ha sviluppato i sintomi più gravi. Ecco perché dovrebbero essere usati quanto prima, soprattutto in soggetti maggiormente a rischio di contrarre il Covid e di sviluppare la malattia nella forma più seria (anziani, diabetici, obesi, immunodepressi, ecc.). Da aggiungere, però, che questi anticorpi monoclonali approvati dall’Aifa potrebbero non essere in grado di combattere le nuove varianti del virus.
Sono circa una quindicina i gruppi di ricerca che in tutto il mondo stanno lavorando allo sviluppo di anticorpi efficaci contro il Covid-19. Ma solo pochi hanno raggiunto una fase più o meno avanzata e due in particolare, il cocktail della Regeneron e il farmaco di Eli Lilly, sono gli unici in commercio. Gli anticorpi monoclonali nel mondo con una riduzione di rischio di contrarre il virus e di ospedalizzazione sono: Regen-Cov, il cocktail di anticorpi monoclonali usati anche da Donald Trump, è prodotto dal colosso americano Regeneron e ha ottenuto la concessione per l’uso in emergenza dall’ente americano per il controllo sui farmaci, la Food and Drug Administration (FDA). Basato sugli anticorpi casirivimab e imdevimab, uno è stato isolato in un paziente di Singapore e un altro è stato ottenuto in laboratorio inserendo la proteina spike del coronavirus nell’organismo di un topo modificato genericamente per fornirgli un sistema immunitario umano. I dati indicano che è in grado di ridurre la carica virale in modo significativo. Stando a quanto recentemente reso noto dall’azienda, Regen-Cov sarebbe in grado anche di ridurre il 50 per cento il rischio di contrare l’infezione. Questo ha aperto alla possibilità di usare questo cocktail come “vaccino passivo”, in attesa di una maggiore disponibilità dei vaccini antiCovid. Inoltre, i dati indicano che il farmaco può allo stesso tempo ridurre la carica virale dei soggetti infetti.
Bamlanivimab: è l’anticorpo monoclonale autorizzato per l’uso di emergenza come trattamento per i pazienti ad alto rischio, con Covid-19 da lieve a moderato, negli Stati Uniti e in altri paesi nel mondo. Prodotto da Eli Lilly and Company, gli studi mostrano un’efficacia del 72 per cento nel ridurre il rischio di ospedalizzazione per i pazienti con sintomatologia moderata. Inoltre, uno studio condotto insieme ai National Institutes of Health (NIH) negli Usa suggerisce che il farmaco potrebbe prevenire circa l’80 per cento dei casi Covid-19 tra i residenti e il personale delle case di cura, riducendo i rischi di infezione tra il personale e gli anziani.
Bamlanivimab ed etesevimab: è la combinazione di anticorpi targata Eli Lilly che gli studi indicano essere in grado di ridurre il rischio di ricovero e morte per Covid-19 del 70 per cento. Bamlanivimab ed etesevimab sono stati testati in pazienti ad alto rischio con recente diagnosi di Covid-19. Dai risultati emerge che sono anche in grado di ridurre la carica virale e accelerare la risoluzione dei sintomi.
AZD7442: è una combinazione di anticorpi monoclonali a lunga durata d’azione (Long Acting AntiBody, LAAB) che imitano gli anticorpi naturali e hanno il potenziale per trattare e prevenire la progressione della malattia in pazienti potenzialmente infettati dal virus. Prodotta da Astrazeneca, la stessa casa farmaceutica che ha sviluppato insieme all’Università di Oxford il vaccino anti-Covid, può essere usato come intervento preventivo in ambienti pericolosi come comunità, ospedali, case di riposo, studentati perché il vantaggio è che dà anticorpi immediati. È ancora in fase di studio e si spera possa essere disponibile tra marzo e aprile prossimi.
Toscana Life Sciences: nel suo Monoclonal Antibody Discovery Lab a Siena, i ricercatori stanno lavorando sotto la supervisione di Rino Rappuoli. Nei laboratori di Siena sono stati selezionati anticorpi di persone guarite dalla malattia provocata dal coronavirus. I ricercatori hanno poi isolato quello più potente sulla base del quale è stato creato il farmaco che, si stima, possa entrare in commercio la primavera prossima.
Allo studio ci sono molti altri anticorpi monoclonali, come quelli di nuova generazione a cui sta lavorando il genetista Giuseppe Novelli in collaborazione con l’Università di Toronto, che hanno la capacità di impedire al nuovo coronavirus di entrare nella cellula e infettarla. I test in laboratorio sono molto promettenti.
“Gli anticorpi monoclonali sono farmaci precisi, intelligenti e accurati che conosciamo da anni, e che oggi rappresentano l’unica arma farmacologica di cui disponiamo al momento contro il coronavirus. Sono i cosiddetti ‘farmaci biologici’, usati contro malattie come l’artrite reumatoide e, soprattutto, contro i tumori, gli stessi anticorpi che produciamo quando ci ammaliamo o facciamo un vaccino. La differenza è che sono già pronti ed utilizzabili come una sorta di immunizzazione passiva in quanto non vengono stimolate le cellule immunitarie che conferiscono una ‘memoria’ per produzioni future, come avviene nel caso del vaccino. I monoclonali hanno una durata limitata nel tempo, durano un paio di mesi, fai un ciclo di trattamento e poi lo ripeti se necessario”, ha spiegato in un’intervista a Repubblica il prof. Giuseppe Novelli, genetista dell’Università Tor Vergata di Roma.
Essendo un farmaco gli anticorpi monoclonali “servono a curare innanzitutto. Funzionano contro il Covid specialmente nelle prime fasi della malattia, e la percentuale di successo nella cura dipende da vari fattori”. “I monoclonali – ha concluso – hanno anche un ruolo di protezione, cioè di profilassi. Chi è ad alto rischio, dunque, potrebbe utilizzarli per una protezione provvisoria. Penso ad esempio alle Rsa o alle persone fragili che potrebbero ricevere una sorta di protezione in questi mesi di ritardo nell’approvvigionamento delle dosi di vaccino”.
In Italia, come in Europa, con le dosi di vaccino che tardano ad arrivare, il trattamento con gli anticorpi monoclonali è l’arma di protezione per le categorie più a rischio. “Gli anticorpi monoclonali devono diventare una realtà e siamo in ritardo – ha spiegato Pierpaolo Sileri, viceministro alla Salute nel suo intervento alla trasmissione Piazza Pulita de La7 – Abbiamo impiegato troppo tempo per renderli disponibili, potrebbero davvero essere il fiore all’occhiello per l’intera Europa e noi potremmo esportare un nostro prodotto laddove serve. Nei mesi scorsi ci siamo troppo concentrati a pensare al vaccino, ma possiamo recuperare, però servono investimenti per aiutare la ricerca e l’industria sul territorio”.