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Arrivano i braccialetti per monitorare il sonno ma funzionano male
Siamo davvero tutti succubi delle nuove tecnologie? La risposta è più che scontata, basta uscire di casa per scontrarsi con i propri vicini che camminano come automi con il volto chino sul proprio tablet e telefonino o per poter osservare gente che non sfoglia più un libro perché ormai “le pagine si scorrono con il dito indice” sugli eBook multimediali. Ma la cosa assume dei toni più drammatici in seguito a una nuova e ultimissima uscita sul mercato degli apparecchi per la persona che – come recitava una canzone di qualche stagione fa – fanno ormai davvero parte del corpo umano come se si trattasse di organi esterni. Si tratta dei braccialetti monitora sonno di cui si sta occupando la stampa internazionale – e quindi anche noi – da qualche settimana, e cioè da quando il Journal of Clinical Sleep Medicine ha raccontato le storie del quarantenne che ha ricevuto il fitness tracker in regalo e da quando si è accorto di non sentirsi al massimo se l’orologio non segna otto ore di sonno ha una specie di ossessione per i risultati del monitoraggio digitale del riposo. O della ragazza che stando al tracker dorme male e se ne è così convinta da non credere ai risultati della polisonnografia, secondo cui il suo sonno va benissimo.
Gli sleep tracker, che indicano la qualità del sonno (registrando quante volte ci si è svegliati durante la notte e in quali fasi) sia la quantità (segnando le ore), sono dei veri e propri orologi che tracciano l’attività quotidiana della persona e che ne condizionano in modo non poco indifferente lo svolgimento della giornata. Il vero problema, tuttavia, è la scarsa precisione degli strumenti sul mercato: “Non distinguono fra sonno profondo e leggero, possono segnalare che si sta dormendo quando stiamo invece leggendo a letto – ha commentato Kelly Glazer Baron, autrice dell’indagine spiegando che possono perfino rinforzare abitudini sbagliate, se per esempio si sta a letto più a lungo per vedere il monitor segnalare una maggior quantità di riposo. “Ci sono persone che amano ‘quantizzare’ se stesse misurando tutto per migliorare la salute fisica e mentale: in alcuni di questi soggetti l’uso improprio dei fitness tracker può portare a stress da ‘performance di riposo inadeguata’ e perfino all’ortosonnia, la ricerca perfezionistica del sonno ideale”, continua l’autrice della ricerca. Il problema, d’altro canto, non è ancora estremamente diffuso, ma certo il rischio esiste, perché molti hanno grandi aspettative nei confronti del sonno, visto come una sorta di “spugna magica” che cancelli tutti i problemi. È questo il punto di vista di Francesco Fanfulla, responsabile dell’Unità di Medicina del Sonno all’IRCCS Fondazione Salvatore Maugeri di Pavia.
Per un uso accurato, corretto, preciso e salutare, questi strumenti dovrebbero essere impiegati innanzitutto per monitorare l’attività fisica della persona e non il sonno più in generale. Inoltre, precisano gli esperti, non dovrebbero essere considerati da tutti e per tutti ma solo per quei pazienti che hanno già avuto la diagnosi del disturbo del sonno. “Non sono perciò dispositivi adatti per fare un’autodiagnosi, per cui serve un monitoraggio accurato associato a un diario del sonno che aiuti a capire quali sono le situazioni in cui il riposo è più difficile o il grado di sonnolenza diurno. Il percorso – commenta il professor Fanfulla – va intrapreso se ci sono sintomi di un disturbo del sonno (difficoltà ad addormentarsi, risvegli frequenti, sonnolenza durante il giorno), perché non è neppure opportuno medicalizzare troppo il riposo: in caso di disagi se ne può parlare con il medico di famiglia, se ci sono le indicazioni ci si può rivolgere a un centro di medicina del sonno. Purtroppo ce ne sono tuttora pochi, dovrebbero invece diventare punti di riferimento non solo per la cura dell’insonnia nei casi più complessi, ma soprattutto luoghi per la prevenzione dei disturbi del sonno”.