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Cancro infantile. Dal Venezuela per combattere la malattia. La storia di Javer
Ogni anno nel mondo sono circa 250.000 i bambini e gli adolescenti che vengono colpiti dal cancro infantile. Purtroppo, solo 6 su 10 hanno una speranza di sopravvivere a queste patologie, prima tra tutte la leucemia (fonte: Childhood Cancer International).
Nei Paesi del Sud del mondo, come il Venezuela, questa percentuale rischia di essere ancora più drammatica, a causa della difficoltà di accedere alle cure specialistiche, in particolar modo al trapianto di midollo osseo, soprattutto per le molte famiglie che non hanno le possibilità economiche per sostenere spese molto ingenti nelle strutture private del Paese.
Per offrire una risposta concreta a questo bisogno, ATMO – l’Associazione per il Trapianto di Midollo Osseo – si impegna per garantire il diritto alla salute dei pazienti oncologici venezuelani ed italo-venezuelani, grazie ad un programma di cooperazione sanitaria internazionale che dà la possibilità ai pazienti del Paese sudamericano di curarsi in Italia e di sottoporsi a quelle tipologie di trapianto di midollo osseo che non è possibile realizzare in Venezuela.
Il programma è sostenuto dallo Stato venezuelano, grazie al contributo di PDVSA (Petróleos de Venezuela SA) che, dalla sua nascita ad oggi, ha dato una speranza di vita a 482 pazienti, permettendo la realizzazione di 382 trapianti di midollo osseo.
Attualmente sono tredici le strutture sanitarie di eccellenza che collaborano al Programma di Cooperazione Sanitaria Internazionale di ATMO, tra cui la Città della Salute di Torino, uno dei primi Centri italiani ad offrire le sue cure ai pazienti di origine venezuelana da più di 10 anni. L’ultimo paziente arrivato, il 100esimo, e che sta ricevendo le cure si chiama Javer ha 12 anni, viene da Caracas, la capitale del Venezuela, ed ha compiuto un lunghissimo viaggio per raggiungere Torino, la città che lo ospiterà per i prossimi mesi.
Nonostante la sua giovane età, questo ragazzo si trova oggi di fronte ad una sfida durissima: una sindrome Mielodisplastica, una patologia che può evolvere in leucemia se non si interviene in maniera efficace e tempestiva con le cure adeguate, che nel suo Paese, il Venezuela, attualmente non sono disponibili.
Javer si trova in Italia proprio per guarire da questa malattia, che potrà affrontare grazie alle cure presso la Oncoematologia dell’ospedale Infantile Regina Margherita della Città della Scienza di Torino, diretta dalla professoressa Franca Fagioli.
Health Online ha intervistato la professoressa Fagioli, la quale ha spiegato l’importanza di questa cooperazione che ha come obiettivo quello di offrire ai malati una seconda opportunità di vita e ridurre il tasso di mortalità legato alle malattie onco-ematologiche in Venezuela.
Quanto è importante questa cooperazione?
“In ambito sanitario la cooperazione fra i Paesi con ridotta accessibilità alle prestazioni di più alta specializzazione e i Paesi dove queste ultime risultano accessibili è fondamentale perché è in grado di incrementare le possibilità di guarigione indipendentemente dallo stato economico e sociale del paziente.
Nel caso specifico dell’oncoematologia pediatrica è dimostrato che la possibilità di accedere a procedure complesse come il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche è in grado di incrementare in maniera significativa le possibilità di guarigione a lungo termine per numerose patologie.
Attraverso la cooperazione è possibile inoltre promuovere iniziative di interscambio professionale bidirezionale sia medico che paramedico tra l’equipe del centro che accoglie i pazienti e quella del centro del paese di provenienza del paziente stesso. Tale interscambio risulta finalizzato da un lato alla formazione del personale venezuelano alle procedure mediche, infermieristiche amministrative direttive e tecniche di un centro ad alta specializzazione, dall’altro consente al personale della struttura che accoglie i pazienti di poter conoscere sempre meglio la realtà non solo sanitaria, ma anche socio-culturale del paese di provenienza dei pazienti trattati. La cooperazione con ATMO nata nel 2006 continua e continuerà nei prossimi anni con lo scopo di implementare lo scambio di conoscenze mediche e scientifiche e di contribuire a dare speranza e migliori condizioni di salute ai molti bambini venezuelani che necessitano di cure oncologiche complesse”.
Com’è nata l’idea del programma?
“Il Venezuela è un paese bellissimo dotato di una natura rigogliosa e affascinante; purtroppo però la realtà interna è tutt’altro che serena. Gli ultimi dati ci parlano di povertà, di famiglie che vivono in condizioni disagiate (52%) e di una grave crisi sociale ed economica che sta attraversando il Paese. I bambini sono tra le maggiori vittime di questa attuale difficile situazione. Molti di essi, inferiori all’anno di età, sono deceduti a causa delle difficoltà di accesso alle cure mediche Qualche anno fa, nel 1997 a Maracaibo, ad ammalarsi fu la piccola Michelle, colpita dalla leucemia. Benché la malattia avesse inizialmente risposto ai trattamenti disponibili in patria, al fine di incrementare le probabilità di guarigione a lungo termine, alla paziente risultava necessario essere sottoposta a trapianto allogenico di CSE, impensabile da attuarsi però a quell’epoca in Venezuela. La zia di Michelle, Mercedes Elena Álvarez, attuale presidente dell’ATMO, riuscì ad organizzare un viaggio in Italia ed un successivo ricovero per Michelle all’ospedale di Pisa. La bambina riuscì così a ricevere tutte le cure necessarie per combattere e sconfiggere la malattia e a tornare a casa in Venezuela completamente guarita. Mercedes, alla luce delle proprie esperienze personali e di quelle degli altri bambini incontrati durante il percorso terapeutico della nipote nel 1999 decide di dare vita alla “Fundación para el trasplante de médula osea”, per aiutare i bambini affetti da cancro ad ottenere le migliori terapie possibili.
Nel 2006, fondò poi l’ATMO, filiale italiana della Fondazione venezuelana, per promuovere e rafforzare un programma di cooperazione sanitaria internazionale tra Italia e Venezuela, permettendo ai pazienti venezuelani di venire in Italia e di essere sottoposti al trapianto di CSE.
Pressa la Struttura Complessa Oncologia Pediatrica dell’Ospedale Infantile Regina Margherita della AOU Città della Salute e della Scienza di Torino dal 2006 ad oggi sono stati complessivamente accolti 100 pazienti (83 hanno effettuato un trapianto di CSE, 13 non avevano indicazione a TCSE per differenti motivi, ma sono stati comunque presi in carico e 4 sono in fase di valutazione di idoneità al trapianto). I primi pazienti risultavano perlopiù affetti da patologie oncologiche mentre successivamente sono stati anche accolti pazienti affetti da patologie congenite (anemie congenite, emoglobinopatie, immunodeficienze) curabili mediante trapianto. Inoltre sempre grazie alla collaborazione di ATMO con l’equipe trapiantologica diretta dal prof. Salizzoni (SC Chirurgia Generale II, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino) nella primavera del 2015 è stato possibile eseguire il primo caso al mondo di trapianto di fegato seguito da trapianto di midollo osseo per un paziente affetto da una patologia interessante entrambi gli organi”.
Javer è il 100esimo paziente preso in carico. Qual è il vostro protocollo?
“Il percorso terapeutico di questi pazienti inizia in Venezuela dove, quando necessario, i pazienti malati entrano in contatto con la Fundación e il loro caso viene valutato da un comitato scientifico che decide sulla necessità del trapianto in Italia. Il Ministero della Salute, a seguito di questa valutazione, dà la sua approvazione.
Almeno 2 mesi prima dell’arrivo dei pazienti in Italia, i medici venezuelani devono inviare la documentazione relativa alla storia clinica del paziente ed eventualmente del familiare individuato come compatibile per la donazione del midollo, ai medici italiani. Una volta che i medici italiani hanno valutato la documentazione richiesta e accertati tutti i requisiti, il paziente potrà giungere in Italia, dove verrà sottoposto a tutti gli accertamenti e procedure atte a verificarne le condizioni fisico-cliniche.
In Venezuela vi è quindi l’attivazione del programma della partenza verso l’Italia, che significa ottenere i visti, organizzare il viaggio e affrontare le spese necessarie per il malato e i suoi accompagnatori (il viaggio è totalmente sostenuto dalla compagnia petrolifera statale venezuelana la Petróleos de Venezuela Sociedad Anónima).
Presso il nostro Centro i pazienti vengono presi in carico in maniera globale mettendo in atto, grazie a specifiche figure professionali, una rete di interventi integrati per affrontare, oltre al problema strettamente medico, anche quello assistenziale, sociale, scolastico, psicologico, riabilitativo che gravano in ogni patologia”.
Come avviene la gestione dei pazienti?
“La gestione di questi pazienti presenta difficoltà specifiche dovute principalmente alla complicata storia clinica che precede l’arrivo del paziente, con sintesi cliniche spesso di difficile traduzione ed interpretazione, quadri di malattia per lo più non controllata e precedenti trattamenti non attribuibili ad un protocollo standardizzato. Inoltre i pazienti possono presentare, oltre alla malattia neoplastica e alla tossicità secondaria alle cure già eseguite, patologie “endemiche” virali o parassitarie della loro nazione di origine. Il lavoro di accoglienza coinvolge tutto lo staff, in particolare il personale infermieristico ricopre un ruolo di primaria responsabilità nell’introdurre i nuovi arrivati in un luogo sconosciuto ed ansiogeno, dove sono ancora incerti sia il tempo di permanenza sia le esperienze da affrontare.
Grazie al fondamentale supporto di alcune attive associazioni di volontariato che operano in collaborazione con il nostro Centro (Unione Genitori Italiani contro il tumore dei bambini –U.G.I.-, Servizio Missionario Giovani –SERMIG-, Casa Cilla) viene garantita anche l’assistenza del paziente straniero e della sua famiglia rispetto al progetto di accoglienza sociale intesa come l’ospitalità alloggiativa, il loro mantenimento, i necessari trasporti tra domicilio ed ospedale”.
Qual è il supporto sotto l’aspetto psicologico?
“E’ un altro aspetto altresì fondamentale. Nell’offerta di opportunità di cure adeguate, non esistenti nel Paese di origine, è necessario tenere presente la complessità della gestione del paziente straniero e della sua famiglia e i costi psicologici spesso elevatissimi cui essi sono esposti. Unitamente al trauma per la diagnosi della malattia, vi è il trauma dovuto allo sradicamento dalla propria terra, alla separazione dai propri familiari, alla difficoltà di comunicazione a causa della differente lingua e cultura e al sentimento di profonda solitudine che frequentemente accompagna tutto l’iter terapeutico. La conoscenza da parte del personale sanitario delle caratteristiche socioculturali di questi pazienti e del loro nucleo familiare è di fondamentale importanza per poter comprendere e soddisfare le esigenze di ogni singolo paziente e della sua famiglia.
Dopo la fase di accoglienza ed inquadramento diagnostico il processo di presa in carico del bambino e dei genitori prosegue con un momento fondamentale rappresentato dalla comunicazione della diagnosi e dell’iter terapeutico con la valutazione dell’eleggibilità al trapianto di cellule staminali emopoietiche e la tempistica a tale procedura in base anche alla disponibilità di un donatore familiare oppure non correlato. La diagnosi viene comunicata ai genitori e al paziente durante un colloquio a cui prendono parte, oltre al medico, anche la psicologa e la mediatrice culturale. La comunicazione al piccolo paziente viene effettuata in un momento separato sempre con il supporto psicologico e della mediatrice culturale con modalità appropriate all’età del paziente stesso.
Spesso ci si trova di fronte ad una ricerca di donatore non familiare difficoltosa dovuta proprio alle caratteristiche genetiche di alcune etnie peculiari per cui diventa di fondamentale importanza sensibilizzare la donazione di cellule staminali cordonali in queste popolazioni al fine di aumentare la probabilità di reperire una fonte di cellule staminali utilizzabili per il trapianto.
Una volta stabilita l’indicazione trapiantologica vengono eseguiti una serie di accertamenti ematologici e strumentali che precedono il ricovero vero e proprio presso il Centro Trapianti”.
La fase del trapianto di cellule staminali emopoietiche come avviene?
“Il trapianto di cellule staminali emopoietiche richiede una “fase di condizionamento” che consiste in una chemioterapia associata o meno a radioterapia con il duplice fine di indurre un’ulteriore distruzione delle cellule tumorali ancora presenti nell’organismo e di evitare che l’organismo rigetti le cellule staminali del donatore. Alla fase di condizionamento segue l’infusione delle cellule staminali che andranno a sostituire il midollo del paziente e contribuiranno, attraverso un complesso meccanismo immunoterapico, al controllo prolungato della malattia.
Al trapianto segue una fase di monitoraggio post-trapianto volto ad identificare e curare le complicanze a breve, medio o lungo termine.
Questo percorso si conclude con il rientro in Venezuela del paziente e della sua famiglia con tempi variabili che dipendono dall’insorgenza o meno di complicanze post-trapiantologiche e dal controllo della malattia di base”.
Qual è la sua esperienza?
“La mia esperienza non può che essere positiva e ci tengo a sottolineare il grande impegno che ogni professionista dedica a far sì che il percorso di accoglienza e di cura sia il più possibile ottimale per queste famiglie.
Il lavoro, l’impegno e la dedizione nostra, dei nostri infermieri e di tutti gli operatori che partecipano alla assistenza e alla cura di questi bambini sono massime in relazione alla complessità dei pazienti e alle difficoltà linguistiche e culturali specifiche. Il Servizio di Mediazione Culturale rappresenta un utile, ed ormai indispensabile, servizio che ha il compito di interfacciarsi con le famiglie e l’équipe curante. A tale proposito in passato sono stati organizzati alcuni incontri volti alla formazione dei Mediatori Culturali da parte dei medici, infermieri e psicologi della nostra Struttura e degli operatori sanitari stessi da parte del Servizio Sociale e dei Mediatori Culturali delle etnie più rappresentate tra cui quella sudamericana. Nell’ambito di questo progetto ogni Mediatore Culturale ha illustrato le caratteristiche geografiche, la situazione socio-politica, l’istruzione, la famiglia (ruolo uomo/donna – padre/madre – adulto/bambino, educazione dei figli), le abitudini alimentari ed igieniche, il servizio Sanitario interno, la concezione delle cure, del dolore e della morte, il rapporto salute/malattia, la religione e la spiritualità dell’etnia rappresentata.
L’arrivo di un paziente e della sua famiglia presuppone inoltre un modello organizzativo complesso per la presa in carico globale del nucleo familiare.
I bambini e le famiglie migranti non sono una categoria uniforme, ma vi sono infatti differenze sociali e migratorie che influiscono sul loro benessere, sul loro stato di salute e sulla loro integrazione e di cui noi sanitari dobbiamo tenere conto.
Inoltre, dobbiamo tenere conto dei loro desideri: questi bambini e le loro famiglie, arrivano in Italia fiduciose che la nostra opera possa finalmente guarirli per la vita e che un giorno, alla fine del loro viaggio, potranno tornare in Venezuela finalmente guariti e liberi di tornare a sorridere alla vita.
Offrire una concreta speranza di guarigione a queste famiglie non sarebbe possibile quindi, senza il grande lavoro di tutti: volontari, mediatori culturali, educatori e insegnati, oltre a tutti coloro che fanno parte dell’equipè sanitaria”.
Il percorso di cure di Javer sta andando avanti, il piccolo paziente è entrato da poco in Unità trapianto per eseguire il trapianto di cellule staminali da sangue di cordone.
Come ogni “Millennial” ama i social network ed è stato capace di usarli in maniera delicata e costruttiva, per raccontare la sua storia e la sua quotidiana lotta contro la malattia.
I tanti video che ha pubblicato sul suo profilo Instagram (@javprado11) segnano ognuno un piccolo passo del duro percorso che lo ha portato sin qui in Italia dove sta ricevendo le dovute cure.
Nicoletta Mele
Laureata in scienze politiche. Dal 2001 iscritta all’ Ordine Nazionale dei Giornalisti. Ha collaborato con testate giornalistiche e uffici stampa. Dopo aver conseguito il master in “ Gestione e marketing di imprese in Tv digitale”, ha lavorato per 12 anni in Rai, occupandosi di programmi di servizio e intrattenimento. Dal 2017 è Direttore Responsabile di Health Online, periodico di informazione sulla sanità integrativa.
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