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Il disturbo d’ansia generalizzato. Di cosa si tratta?

22 Giugno 2018

Dottor Iannone, ansia o ansie?

Esistono diverse forme di ansia, alcune patologiche altre no. All’interno dei disturbi d’ansia distinguiamo tra una prima variante che definiamo ansia generalizzata (di cui parleremo in questo articolo). Esistono poi forme di ansia panica e di ansia fobica (di cui tratteremo nei prossimi numeri di Health Online). Inoltre l’ansia è un sintomo presente anche in altre patologie, tra cui la depressione, le psicosi, il disturbo bipolare, il disturbo da stress post-traumatico e in alcune disfunzioni sessuali.

Cosa si intende per disturbo d’ansia generalizzato?

L’ansia generalizzata è un disturbo d’ansia contrassegnato dalla presenza di un’allerta costante che oscura ogni esperienza, ogni incontro, ogni possibilità, dei quali si tende a vederne soltanto gli aspetti minacciosi. Il focus della preoccupazione non è limitato a una situazione o a un oggetto particolare ma tende a spostarsi da un oggetto all’altro e investe sia grandi incombenze (responsabilità lavorative, alla salute dei familiari, ecc.) che piccole (paura di far tardi ad un appuntamento, svolgere le faccende domestiche, ecc.). Le preoccupazioni possono riguardare sia il futuro che gli eventi passati.

I principali criteri diagnostici di un disturbo d’ansia generalizzato sono i seguenti: a) ansia e preoccupazione  eccessive, presenti per la maggior parte del giorno, per almeno 6 mesi, e che investono diverse attività o eventi; b) difficoltà nel controllare la preoccupazione; c) almeno 3 dei seguenti sintomi: irrequietezza, affaticamento, difficoltà a concentrarsi, irritabilità, tensione muscolare, alterazioni del sonno; d) disagio o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo, scolastico, ecc.

Quali sono i principali fattori di rischio?

Esistono fattori di rischio temperamentali (come l’essere eccessivamente inibiti, la tendenza a evitare il pericolo e l’affettività negativa), fattori di rischio ambientali (avversità infantili o l’iperprotettività genitoriale, sebbene, va specificato, queste condizioni non sono specifiche, né sufficienti o necessarie, per porre diagnosi), e fattori genetici non specifici.

L’ansia può manifestarsi nei bambini?

Sì, certo. Faccio una breve inciso. Il ruolo dell’amigdala nei disturbi d’ansia è stato ampiamente studiato. Oggi sappiamo che questa struttura a forma di mandorla, situata nel lobo temporale, è implicata nella gestione delle emozioni, e in particolare della paura. Quando uno stimolo viene percepito come pericoloso, l’amigdala invia segnali di emergenza alle altre parti del cervello, stimola il rilascio di ormoni, mobilita i centri del movimento, attiva il sistema cardiovascolare, i muscoli e l’intestino, permettendoci di fuggire o di attaccare. Si è visto che l’amigdala è attiva sin dalla nascita, ben prima delle altre strutture deputate ad inibirne la sua attività. Proprio per questo motivo i neonati non sono in condizioni di gestire sensazioni di paura o angoscia. Il genitore può agire per calmare il neonato in due modi: calmandolo nel momento in cui il neonato sperimenta la paura (questo favorisce lo sviluppo delle competenze di regolazione emotiva) o allontanandolo da un’eccessiva e costante esposizione alla paura (in questo modo il neonato ha minori probabilità di sviluppare un’ipersensibilità alla paura). Un’eccessiva attività dell’amigdala invece è correlata a ipervigilanza e sopravvalutazione del pericolo, fenomeni che si manifestano in chi soffre di un disturbo d’ansia. Fortunatamente interventi psicoterapeutici sono in grado di diminuire l’attività dell’amigdala e a ridurre così la frequenza e l’intensità della paura.

Quanto è comune il disturbo d’ansia generalizzato?

L’età media di insorgenza del disturbo d’ansia generalizzato è di 30 anni e le donne sono 2 volte più a rischio rispetto agli uomini di sviluppare il disturbo. Un recente studio epidemiologico sulla prevalenza dei disturbi mentali promosso dall’Oms e dall’Università di Harvard ha riscontrato una prevalenza 2% circa nel campione studiato in Italia. Va anche detto che il tasso di diagnosi errate nel caso del GAD è davvero alta e ciò credo sia dovuto in parte all’erronea interpretazione di alcuni sintomi (tremori, sudorazione, nausea, diarrea, tachicardia, dispnea, vertigini, ecc.) che spesso non vengono ricondotti ad un disturbo d’ansia ma a un disturbo fisico, in parte all’elevata comorbilità tra l’ansia generalizzata e la depressione o l’uso di sostanze. Non dovrebbe invece essere posta diagnosi di disturbo d’ansia generalizzato nel caso in cui i sintomi siano ascrivibili ad una condizione medica (come l’iperteroidismo), a sostanze/farmaci, o ad altri disturbi (come il disturbo d’ansia sociale, il disturbo ossessivo-compulsivo il disturbo da stress post-traumatico o i disturbi depressivi, bipolari o psicotici).

L’ansia è sempre negativa? È possibile distinguere l’ansia “normale” da quella patologica?

No, l’ansia non è sempre negativa. Anzi, una certa dose di ansia e apprensività di fronte a un evento inusuale e pericoloso è sicuramente funzionale alla nostra sopravvivenza. Tuttavia, nel caso del disturbo d’ansia generalizzato le preoccupazioni diventano eccessive, pervasive, angoscianti, hanno maggiore durata, si verificano spesso in assenza di fattori scatenanti e interferiscono con il funzionamento lavorativo e sociale. L’ansia patologica si accompagna a sintomi fisici (come irrequietezza, tensione muscolare, sentirsi con i nervi a fior di pelle, tremori, sudorazione, nausea, diarrea), sintomi di iperattivazione vegetativa (aumento del battito cardiaco, difficoltà di respirazione, vertigini), affaticamento, difficoltà a concentrarsi, vuoti di memoria, irritabilità e alterazioni del sonno. Al contrario, la preoccupazione non patologica non presenta tali caratteristiche.

 Quali sono ad oggi gli interventi più efficaci per curare il disturbo d’ansia generalizzato?

Se non trattata l’ansia generalizzata può avere durata cronica. Una buona psicoterapia è efficace tanto quanto i farmaci, con il vantaggio che il paziente non esperisce alcun effetto collaterale dalla psicoterapia. Sebbene il trattamento farmacologico sia piuttosto efficace nel ridurre i sintomi Va aggiunto che gli antidepressivi o le benzodiazepine non sono efficaci nel lungo termine: infatti, il rischio di una ricaduta è maggiore per chi assume farmaci rispetto a chi intraprende un percorso psicoterapico. Nel caso delle benzodiazepine, poi, occorre considerare che provocano dipendenza e che quindi dovrebbero essere usate solo per brevissimi periodi. Un intervento psicologico è indispensabile per riuscire a modificare i modi di essere patologici della persona e per aiutarla a gestire le preoccupazioni. La storia di vita di una persona, così come la sua personalità, hanno infatti un’importanza essenziale nella comprensione delle radici dell’ansia stessa. L’attività fisica è un discreto coadiuvante nel processo di guarigione. Naturalmente si può prevedere una combinazione degli interventi sopra citati. Ad ogni modo è opportuno che ogni intervento sia personalizzato e cucito addosso a ciascun paziente, proprio come si farebbe con un abito sartoriale.

 

 

 

 

 

Tags: ansia, disturbo d'ansia generalizzato, farmaci, patologie, psicologia, salute
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Giuseppe Iannone
Giuseppe Iannone
Psicologo clinico e neuropsicologo, ha conseguito la Laurea in Neuroscienze Cliniche e Cognitive con specializzazione in Psicopatologia presso l’Università di Maastricht (Paesi Bassi). È iscritto all'Albo dell'Ordine degli Psicologi della Lombardia ed è sono autore di diverse pubblicazioni scientifiche. Possiede una seconda laurea in Pedagogia della Lingua e Cultura Italiana, conseguita a pieni voti presso l’Università per Stranieri di Siena e si occupa di consulenza linguistica e culturale in diverse aziende. Infine, è istruttore di tecniche di respirazione, di rilassamento, di training autogeno, di massaggio russo e di autodifesa presso la A.S.D. Systema Milano.

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