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Curare gli anziani per non annientare la società contemporanea
La cura degli anziani è un bisogno emergente e questo è un dato innegabile del nostro tempo, detto con chiarezza dalle statistiche e dalle proiezioni ISTAT che periodicamente arrivano sulle nostre scrivanie e che ci costringono ad aggiornare numeri crescenti e risposte disattese. L’impressione, però, è che questo cambiamento sia poco, molto poco, all’attenzione concreta e operativa dei responsabili della cosa pubblica, presi soprattutto da questioni di bilancio e meno dalla risposta concreta alla domanda di salute e di cura di questi pazienti, e purtroppo anche all’attenzione della comunità ecclesiale in generale, che con una certa fatica rimodula la sua azione pastorale legando i processi alle situazioni concrete nelle quali ci si viene a trovare. Sono queste le dichiarazioni di don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, la Conferenza Episcopale Italiana, il quale trattando uno degli argomenti più attuali del nostro tempo e della nostra cultura, la vecchiaia, riflette su tutti i grandi temi dell’esistenza umana: il senso della vita, la dignità del vivere e del morire, il rapporto intergenerazionale, la dignità della persona, il valore del corpo, l’allocazione etica delle risorse, la qualità della cura e, in particolare, la considerazione della morte.
“C’è da rallegrarci per gli ultracentenari, triplicati in pochi anni, con un trend in aumento di anno in anno: si è passati – spiega don Arice – dalle 5.650 persone che avevano raggiunto o superato i 100 anni nel 2002, a oltre 19.000 nel 2015 (nel 2015 le donne rappresentano l’83,8% del totale degli ultracentenari) . L’aspettativa di vita, anche se con qualche leggera flessione in quest’ultimo anno, nel nostro Paese rimane ancora di 82,8 anni. (80,3 M – 85,2 F) e il numero degli oltraottantenni, che oggi superano il 6%, dovrebbero raddoppiare nel 2050”. Certamente, spiega il direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, non ci si può rallegrare per i 3,5 milioni di ultrassessantacinquenni (su 12,5 milioni) non autosufficienti spesso polimorbidi e quindi complessi.
Circa l’1,2 milioni di persone affette da patologie neurodegenerative nel giro di due decenni aumenteranno, concorrendo così al formarsi di una società sempre più vecchia, molto pesante a gestirsi economicamente per la mancanza di un numero sufficiente di contribuenti e decisamente impegnativa da gestire. In Italia i posti letto nelle strutture assistenziali per anziani, non superano i 290.000 (naturalmente con una concentrazione al Nord Italia 3 volte superiore a quella del Sud), il che vuol dire che la maggioranza dei nostri vecchi restano a casa, spesso soli e, per chi può permetterselo, con badanti che affrontano questo mestiere senza un’adeguata preparazione. Ciò che, inoltre, rende la questione più problematica è la crisi dell’istituto familiare che vede una città come Milano capitale dei single. Nel 2016, per questa città che non raggiunge il milione e mezzo di abitanti, il Comune ha censito nuclei monofamiliari più del doppio delle coppie: 379.035 contro 164.435.
In città come Milano o come Roma non è poi così raro che si ritrovino anziani morti diversi giorni dopo il loro decesso (se non settimane) anche se la cronaca non è così scandalizzata e indignata nel darne notizia. Altrettanto frequente è la presenza di anziani che non potendo provvedere a far la spesa da soli, a cucinare adeguatamente, a reperire le medicine necessarie, vedono peggiorare la loro povertà di salute, aggravando situazioni già molto precarie sia per loro che per la spesa sanitaria. “Umanamente parlando – spiega don Arice nel suo interessante saggio che prende avvio dalla lettura dello studio del sociologo e teologo Armando Matteo “Tutti muoiono troppo giovani” – il quadro è davvero drammatico e all’orizzonte si fatica a vedere movimenti in controtendenza che facciano presagire una ripresa, una svolta che può avvenire soprattutto se aumenta in modo deciso la natalità. In particolare, ritengo che la ferita più importante nella società contemporanea l’abbia ricevuta, e continua a riceverla proprio la famiglia, istituto cardine di ogni vera e sana comunità umana”. Come denunciano le istituzioni laiche e la Chiesa stessa, la famiglia, oggi, è maltrattata sia da un punto di vista economico che da un punto di vista etico; la denatalità, infatti, va letta come un’amara conseguenza di questo fenomeno. Per tale ragione, don Carmine Arice auspica un ripensamento della politiche familiari, in campo civile, per evitare un autoannientamento, e di una vera pastorale familiare in campo ecclesiale, attenta e premurosa, capace di discernere e accompagnare ogni situazione nella sua singolarità, ma sempre ferma nell’annunciare il vangelo della famiglia e della vita.
“Considerare la cura degli anziani nel nostro tempo – conclude – significa non dimenticare il pericolo che corrono ‘i vecchi’ di essere tra le vittime più illustri della cultura dello scarto, tante volte denunciata da Papa Francesco. Nei primi giorni del suo pontificato, la parola del Papa fu chiara: ‘La cultura dello scarto tende a diventare una mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona, non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora – come il nascituro –, o non serve più – come l’anziano’.