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Emorroidi: una patologia tra tabù e imbarazzo
Le emorroidi sono un argomento di cui ancora si parla con un certo pudore.
La malattia emorroidaria è una patologia del canale anale molto frequente. Secondo le stime, in Italia ne soffrono circa tre milioni di pazienti, le donne sono leggermente più a rischio per via della gravidanza e del parto.
Le emorroidi sono dei piccoli cuscinetti vascolari normalmente presenti all’ interno del canale anale dei soggetti di tutte le età. Esse svolgono una importante funzione, partecipano al meccanismo della continenza insieme agli sfinteri. Infatti, in condizioni di riposo, i cuscinetti emorroidari si gonfiano di sangue e chiudono il canale anale; viceversa, durante la defecazione, si sgonfiano, favorendo il passaggio delle feci.
La patologia emorroidaria ha inizio quando i legamenti di Parks che tengono in sede le emorroidi diventano per vari motivi (stipsi cronica, gravidanza e parto, predisposizione genetica) lassi, ciò causa la discesa (prolasso) delle stesse nella parte più bassa, fino, in alcuni casi avanzati, alla fuoriuscita completa dal canale anale. In questa nuova posizione innaturale, le emorroidi prolassate si gonfiano, il loro epitelio si assottiglia e tendono a sanguinare e/o a fuoriuscire durante la defecazione. Per questo, in termini medici, è più corretto parlare di prolasso emorroidario invece che di emorroidi.
In generale, le emorroidi sono una fastidiosa e “imbarazzante” patologia, della quale ne soffrono molte persone, che spesso non lo ammettono.
La parola-tabù è stata sdoganata dalla serie televisiva statunitense “Dottor House”, dove in una delle puntate, il personaggio principale interpretato dall’attore Huge Laurie, chiese ad un paziente: “Ehi! Le conosci le emorroidi? No. Allora va su Google e mangia un po’ di crusca invece delle frittelle”.
La storia racconta che ne soffrirono anche personaggi illustri, come Napoleone Bonaparte e Karl Marx, e donne famose bellissime come Marilyn Monroe e Liz Taylor.
Perché c’è paura e vergogna nel parlare di emorroidi? E come si riconosce il disturbo anale? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Valentina Giaccaglia, chirurgo generale, esperta di proctologia nonché responsabile di un centro specializzato a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti.
“Da sempre la patologia anale – ha spiegato la dottoressa Giacccaglia – è vissuta dai pazienti di tutte le età come un qualcosa di imbarazzante, perché riguarda una parte del corpo molto intima ed è collegata all’atto della defecazione, momento anch’esso molto delicato e vissuto in privato”.
È una malattia molto frequente, ma non è facile stabilirne la diffusione, proprio perché molte persone che soffrono di emorroidi non consultano mai il medico. Sulla base della sua esperienza, quanti sono in media i pazienti che si rivolgono a lei per risolvere il problema? Le donne sono più a rischio rispetto agli uomini?
“Moltissimi pazienti soffrono di emorroidi, ma solo una piccola parte di loro si reca dal medico, molto spesso quando la situazione è già avanzata. Le donne, a causa della gravidanze e del parto, sono più predisposte allo sviluppo del prolasso emorroidario: si stima che questo affligga circa 1/3 delle donne, per poi aumentare ai 2/3 in età più avanzata”.
C’è una certa predisposizione familiare e stagionalità?
“Vi è una certa predisposizione familiare, dovuta alla maggiore lassità dei legamenti di Parks, unita spesso ad abitudini dietetiche scorrette che portano alla stipsi cronica. La patologia emorroidaria è più tipica delle stagioni calde, perché l’aumento della temperatura favorisce la vasodilatazione e quindi il manifestarsi della stessa”.
Quali sono i fattori di rischio? Anche il consumo eccessivo di caffè, fumo e forte stress incidono? L’obesità favorisce il problema emorroidario?
“I principali fattori di rischio sono stipsi cronica e gravidanze con parto naturale. Anche l’obesità favorisce la patologia emorroidaria, a causa dell’aumento della pressione sul pavimento pelvico dovuta all’eccesso di grasso addominale. Caffè, cibi piccanti, alcolici e superalcolici peggiorano la sintomatologia ma da soli non causano la patologia. Il fumo non è stato correlato alle emorroidi, mentre lo stress indirettamente sì, perché porta ad abitudini alimentari scorrette e alla stipsi.
Come si riconosce il disturbo anale? E quando rivolgersi allo specialista?
“I principali segni delle emorroidi sono il sanguinamento (rosso vivo) in seguito alla defecazione, la presenza di uno o più noduli all’esterno dell’ano, il senso di pesantezza a livello anale e la difficile ed incompleta evacuazione”.
Le emorroidi sono esterne o interne e a seconda della gravità sono classificate in stadi. Può spiegare meglio cosa si intende?
“Le emorroidi sono sempre inizialmente interne, quando poi prolassano (cioè scivolano verso il basso nel canale anale posizionandosi troppo vicino all’ano) possono uscire esse stesse dal canale anale, oppure causare l’ingrossamento delle cosiddette emorroidi esterne.
Le emorroidi di I grado sono ingrossate, ma rimangono nella loro sede anatomica. Nel II grado prolassano durante la defecazione, tornando spontaneamente in sede. Nel III grado, le emorroidi arrivano all’esterno del canale anale in seguito alla defecazione e vengono ridotte manualmente.
Nel IV grado infine, il prolasso è esterno e non è più riducibile”.
Come viene effettuata la visita ambulatoriale e in cosa consiste il test emorroidale mediante proctoscopio?
“La visita in ambulatorio, dopo la raccolta dell’anamnesi, si svolge con il paziente in decubito laterale sinistro, con le ginocchia al petto (posizione di Sims). Il medico dopo l’esplorazione rettale, potrà completare la visita con la ano proctoscopia, che permette di visualizzare in modo diretto il canale anale e, nel caso della video-proctoscopia, di registrare e stampare immagini per il paziente. Sia la visita che la proctoscopia sono indolori e non hanno bisogno di preparazione intestinale precedente all’esame”.
Qual è la terapia più indicata e quali sono invece le azioni da evitare?
“Nei casi meno gravi la terapia medica con pasticche, creme e supposte, oltre ad una alimentazione corretta, è più che sufficiente a risolvere il problema. Sono da evitare applicazioni di ghiaccio locali, di acqua e sale, così come di acqua troppo calda, mentre andrebbero preferiti bidet con acqua tiepida. Quando la patologia è già avanzata, la terapia chirurgica è la più adeguata per risolvere definitivamente il problema.
Un’altra soluzione quindi, quando la malattia è in uno stato avanzato, è l’intervento chirurgico con strumenti all’avanguardia. Quando consiglia la chirurgia e quali sono oggi i vantaggi?
“La chirurgia è indicata nei pazienti con sanguinamento che non risponde a terapia medica, nella stipsi severa correlata a prolasso rettale e nelle emorroidi di IV grado (cioè sempre esterne).
Salvo casi particolarmente complessi, l’intervento si svolge in Day Hospital, con l’ausilio di tecniche mini-invasive che consentono una netta riduzione del dolore nel periodo post operatorio e una più rapida ripresa delle normali attività”.
Può verificarsi una ricaduta di una crisi emorroidaria?
“Le ricadute possono avvenire dopo la terapia medica, dopo la chirurgia invece sono meno frequenti, specie se l’intervento viene effettuato in un centro specializzato”.
I farmaci aiutano a stare meglio e a superare la crisi, ma anche è importante sottoporsi ad una visita di controllo? Quante volte l’anno?
È consigliabile la visita ai primi sintomi per poter risolvere senza chirurgia. Poi è raccomandabile un follow-up annuale”.
Anche seguire un’alimentazione adeguata e non fare una vita sedentaria sono elementi importanti per combattere la malattia?
“Una dieta corretta ricca di fibre (frutta e verdura) e di acqua (almeno 1.5 litri di acqua al dì) sono i capisaldi della prevenzione e del trattamento delle emorroidi, perché prevengono la stipsi”.
Sulla base di quanto detto, quali sono i suoi consigli?
“Il mio consiglio è di mettere da parte il pudore e rivolgersi ad un medico specializzato in proctologia. La visita è indolore e oggi l’evoluzione della medicina permette di risolvere il problema con semplici terapie mediche o con intervento mini invasivo”.