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Encefalite, una patologia dalla quale si può guarire
“Immaginate di andare a dormire una notte e svegliarvi il giorno dopo come una persona completamente diversa, questo è essenzialmente ciò che può essere per i sopravvissuti alla encefalite”. Dottoressa Ava Easton, Direttore Generale della Encephalitis Society.
L’encefalite è un’infiammazione dell’encefalo che può essere causata da un agente virale o dal risultato di una risposta errata del sistema immunitario, cioè da malattie autoimmuni.
La malattia può influenzare abilità quali: la concentrazione, l’attenzione, il pensiero, la memoria, il giudizio e il controllo del comportamento, lasciando un’eredità di problemi aggiuntivi come l’epilessia o la stancabilità. Ogni anno, nel mondo sono circa 500.000 le persone colpite da encefaliti. Gli esiti sono spesso gravi, per cui potrebbe essere difficoltoso tornare al lavoro o agli studi. La malattia ha un decorso nella fase di recupero piuttosto lungo.
Grazie ai progressi della scienza, per la cura delle forme virali ci sono dei farmaci ed oggi anche per quelle autoimmuni sono previsti dei protocolli efficaci.
La diagnosi precoce è fondamentale per mettere in atto le dovute cure ed evitare delle gravi conseguenze.
Come riconoscere la malattia? Quali sono i sintomi? Chi sono i soggetti più a rischio? Quali sono i campanelli d’allarme da non sottovalutare? Cosa prevedono le cure e la fase di riabilitazione? Si ha un totale recupero funzionale e quindi si può tornare alla vita di tutti i giorni?
Health Online l’ha chiesto al prof. Paolo Frigio Nichelli, Direttore della Neurologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena, Ospedale Civile di Baggiovara.
Più che di prevenzione, si parla di diagnosi precoce per riconoscere e combattere la malattia? Come riconoscere in maniera tempestiva che si è di fronte ad un’encefalite? E chi è il soggetto più a rischio?
“L’encefalite si può presentare con sintomi molto diversi: confusione mentale, disturbi del linguaggio, della memoria, allucinazioni, crisi epilettiche, disturbi del movimento, solitamente sullo sfondo di segni di uno stato infettivo. Per confermare la diagnosi sono importanti, oltre agli esami neuroradiologici (la TC e la Risonanza Cerebrale), l’elettroencefalogramma e l’esame del liquido cefalorachidiano. Le forme virali colpiscono soprattutto le persone con un sistema immunitario debole (i bambini, gli anziani e le persone che per qualche motivo hanno una depressione del sistema immunitario). Le forme autoimmuni talvolta sono “paraneoplastiche”, ovvero sono espressione di un’alterazione del sistema immunitario determinata dalla presenza di un tumore, altre volte sono una malattia a se stante e, in questo caso, colpiscono più frequentemente le donne degli uomini”.
Per le forme virali oggi sono a disposizione dei farmaci, mentre per quelle autoimmuni sono previsti dei protocolli di cure efficaci. Cosa prevedono i protocolli e come vengono attuati?
“I farmaci disponibili sono attivi per alcune delle forme virali più comuni (quelle da virus dell’herpes simplex e dell’herpes zoster), ma purtroppo nulla possono nei confronti di alcuni di tipi più rari di infezione. Per le forme autoimmuni è molto importante accertarsi di non trovarsi di fronte ad una forma paraneoplastica: in questo caso bisogna innanzitutto trattare il tumore. Ci sono poi varie terapie per contrastare la produzione degli anticorpi alla base della malattia: cortisone, immunoglobuline, plasmaferesi, immunosoppressori e anticorpi monoclonali attivi su alcuni tipi di cellule del sistema immunitario”.
È anche molto importante la fase di recupero, spesso anche molto lunga. Cosa prevede?
“Il percorso della malattia è molto diverso da caso a caso. Talvolta, purtroppo, non si può sperare in un recupero totale. In altri casi il recupero completo avviene in seguito ad un lungo processo di rieducazione nel corso del quale il supporto della famiglia è di fondamentale importanza”.
Per la ricerca, per gli specialisti che ogni giorno curano i pazienti, e per avere una migliore conoscenza della patologia, le testimonianze sono fondamentali per capire meglio quali sono i protocolli da attuare ed i farmaci da utilizzare.
Health Online in questo articolo ha voluto riportare la testimonianza di Alessia, una giovane donna che nel 2015 è stata colpita da encefalite e che affidandosi all’equipe del prof. Paolo Frigio Nichelli è riuscita a guarire.
“Avevo 31 anni – ha ricordato Alessia – una normale donna sana, felicemente sposata, laureata in antropologia, lavoratrice di una cooperativa sociale modenese. Mi piaceva correre, passare il tempo libero con la famiglia e gli amici, viaggiare e disegnare fumetti. A inizio 2015 ho iniziato ad avere dei forti mal di testa e stati febbrili, che in breve si sono rivelati essere sintomi di una encefalite, motivo per cui il 13 marzo sono stata ricoverata al Nuovo Ospedale Civile S’Agostino-Estense di Baggiovara per 100 giorni. In particolare a me è stata diagnosticato una encefalite di tipo autoimmune, anti recettore NMDA, che è una malattia rara e potenzialmente molto pericolosa. Oggi, a distanza di quasi 3 anni, sto bene. Il percorso di recupero è stato lungo e faticoso e sono ancora seguita, ma si può dire che sono un caso particolare e interessante, secondo nel suo genere a distanza di anni sul territorio”.
Prof Nichelli, Alessia è l’esempio che di encefalite autoimmune si può guarire, è così? La sua storia è di lieto fine: quante sono, in media, le persone che riescono a raggiungere questi risultati?
“L’encefalite da anticorpi anti-recettore dell’NMDA è la forma più comune di encefalite autoimmune. Se trattata precocemente, l’esito è buono in più dell’80% dei casi. Ma sappiamo che per raggiungere questo risultato ci vogliono molti mesi, in qualche caso fino a due anni dall’esordio della malattia”.
Chi ha avuto un’encefalite è sempre un soggetto a rischio?
“Bisogna distinguere fra i diversi tipi di encefalite. Nella forma autoimmune da anticorpi anti-NMDA c’è un rischio, calcolato intorno al 10%, di una recidiva nei due anni successivi al primo episodio di malattia. Ma fortunatamente, nella maggioranza dei casi, le recidive si presentano in modo meno grave rispetto al primo attacco”.
Grazie ai progressi della ricerca e anche alle importantissime testimonianze di chi è stato colpito da encefalite, oggi si è arrivati ad una caratterizzazione sempre più precisa delle forme autoimmuni, ma gli studi proseguono ancora.
Prof. Nichelli, quali sono i prossimi obiettivi? Ci si sta orientando verso cure personalizzate?
“Negli ultimi dieci anni sono state descritte molte nuove forme di encefalite autoimmune. Nei prossimi anni la diagnosi si arricchirà di nuovi marcatori di malattia, di cui bisognerà valutare sensibilità e specificità diagnostica. Sarà necessario approfondire lo studio dei meccanismi immunologici di base che innescano la malattia e su questa base proporre terapie sempre più mirate. Trattandosi di malattie rare sarà di fondamentale importanza condividere le informazioni per mezzo di registri internazionali di malattia”.
Le testimonianze sono un valido strumento di aiuto, ma anche le campagne di sensibilizzazione giocano un ruolo fondamentale. E’ importante ricordare che ogni anno nel mese di febbraio si celebra la Giornata Mondiale delle Encefaliti – World Encephalitis Day, che ha l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti di un complesso di patologie che nel corso degli ultimi anni hanno visto significativi progressi nella diagnosi e nella terapia ma che richiedono una maggiore consapevolezza da parte delle persone e dei medici.
Prof. Nichelli, quanto sono importanti iniziative di questo tipo?
È molto importante che i medici, l’opinione pubblica e coloro che hanno potere decisionale in ambito sanitario siano sensibilizzati verso i problemi posti dalle malattie rare. Deve essere facilitato l’accesso rapido alle cure dei pazienti che hanno patologie che – come le encefaliti – sono gravi, potenzialmente mortali, ma curabili se prese in tempo. In ambito medico è fondamentale la formazione continua, per poterle diagnosticare rapidamente e trattare in modo adeguato. Queste iniziative sono utili anche per combattere lo stigma che da sempre avvolge le malattie che riguardano il cervello. Ora sappiamo che molte possono essere efficacemente curate, ma tutte non devono modificare il diritto che ha ogni persona di esercitare un ruolo attivo nella società”.