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Era ricoverata dalla nascita per una malattia sconosciuta, i medici salvano la vita alla piccola Diana
Solo quattro casi in tutto il mondo. È questa la malattia che intrappola sin dalla nascita la piccola Diana, in cura all’Ospedale pediatrico “Bambino Gesù” di Roma da quando aveva appena due settimane di vita, e che solo ora può finalmente sperare in un miglioramento della sua condizione. A seguito di studi e di tentativi, i ricercatori sono riusciti a identificare la mutazione del gene responsabile della sua patologia ultra-rara, di cui ad oggi si conoscono solo altri 4 casi al mondo, quasi tutti purtroppo con esito drammatico. Ma, come riporta una nota diramata dal Nosocomio della Santa Sede, i medici hanno avviato un trattamento farmacologico sperimentale e un trapianto di midollo, riescono a salvarle la vita. La piccola paziente adesso sta bene ed è guarita.
Le condizioni della piccola Diana, fin dal suo ricovero, sono apparse ai medici gravi e la malattia inspiegabile: la pelle coperta di macchie, febbre alta continua, gravi carenze di cellule nel sangue (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine). Presa in cura dai medici di onco-ematologia e reumatologia, la paziente ha trascorso i primi sette mesi di vita in isolamento, al fine di identificare la sua malattia o almeno di monitorarla. La prima vittoria arriva con un farmaco biologico (anakinra), che riesce a contenere gli eccessi infiammatori provocati dalla patologia ancora sconosciuta. La bambina migliora e per la prima volta può fare ritorno a casa.
Dopo pochi mesi la situazione era peggiorata nuovamente e all’improvviso presentando sintomi nuovi tra cui nuove riaccensioni auto-infiammatorie, emorragie intestinali e crisi convulsive. A questo punto i medici effettuano un cambio di rotta con una nuova terapia, ma la storia prosegue all’insegna della preoccupazione e dell’incertezza, tra ricadute e ricoveri continui. Non è però tempo perso: la bambina viene inserita nel programma di ricerca dedicato alle malattie rare e senza diagnosi basato sull’uso delle nuove tecnologie genomiche.
Tramite le piattaforme di sequenziamento di ultima generazione, il team di ricercatori identifica una mutazione potenzialmente implicata nella malattia, su un gene chiamato CDC42. Un gene di cui erano state precedentemente individuate dagli stessi ricercatori dell’Ospedale altre mutazioni associate a diverse malattie del neurosviluppo. Inizia così la ricerca incrociata sui database mondiali di malattie rare. È il 2016 quando si scopre un altro paziente con lo stesso quadro clinico e la stessa mutazione negli Stati Uniti, purtroppo già deceduto. Poco più tardi emergono altri due casi con la stessa mutazione a Stoccolma e al Bambino Gesù. Compreso quello di Diana, sono 4 i casi al mondo.
Nella primavera del 2017 la paziente presenta una ricaduta infiammatoria con un infarto intestinale. Nonostante la sua condizione, si decide di sottoporla a intervento chirurgico per scongiurarne la morte. Dopo 4 ore, esce dalla sala operatoria e torna in rianimazione. Ce l’ha fatta, ma le sue condizioni non lasciano sperare niente di buono a causa di una iper-infiammazione. È a questo punto che i clinici decidono di usare un altro farmaco sperimentale, l’emapalumab, usato fino ad allora solo su 15 bambini prima di Diana. Il farmaco funziona e si procede con la fase finale della terapia: il trapianto di midollo. Sarà il suo papà il donatore. Il trapianto è stato un successo e oggi Diana è guarita, non presenta più segni della malattia.