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Giornata internazionale delle donne e ragazze nella scienza: parità di genere nelle materie STEM
Intervista a Anna Chiara De Luca, ricercatrice AIRC al CNR di Napoli
“Più donne e giovani scienziate equivalgono a una scienza migliore”. Con questo messaggio del segretario generale Onu, António Guterres, si è aperta, l’11 febbraio la Giornata Internazionale delle Donne e Ragazze nella Scienza, istituita dall’Onu nel 2015. L’obiettivo è quello di promuovere donne e giovani nelle discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) che ancora oggi costituiscono meno di un terzo della forza lavoro in ambito scientifico, tecnologico, ingegneristico e matematico. Soltanto un professionista su cinque che si occupa di intelligenza artificiale è donna.
Un significativo e persistente divario di genere caratterizza da sempre la partecipazione femminile nelle materie STEM. Al livello internazionale, le donne e le ragazze costituiscono solo il 28% dei laureati in ingegneria e il 40 di quelli laureati in informatica e computer science. Per quanto riguarda il campo della ricerca, la percentuale femminile di ricercatori è intorno al 33,3%. Le donne cercano di progredire nelle carriere scientifiche e hanno la capacità di portare diversità alla ricerca, nuove prospettive alla scienza e alla tecnologia, a beneficio di tutti, ma disuguaglianze e discriminazioni continuano ad ostacolare il loro potenziale.
L’eguaglianza di genere è da sempre un tema centrale per le Nazioni Unite.
Sin dalla sua fondazione, infatti, l’ONU ha riconosciuto la parità e l’emancipazione femminile come contributi cruciali allo sviluppo economico globale, e negli ultimi anni, al progresso verso il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 (un programma di azione sottoscritto dai capi di Stato di 193 paesi durante un incontro delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015, n.d.r) per lo Sviluppo Sostenibile.
L’obiettivo 5 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite è quello più di tutti incentrato sulla parità di genere e l’emancipazione femminile. L’eguaglianza, in questo senso, non è solo un diritto fondamentale, ma anche un fondamento necessario di un mondo più prospero e sostenibile.
Come ogni anno, la Giornata Internazionale delle Donne e Ragazze nella Scienza è l’occasione per aumentare la consapevolezza e sensibilizzare l’opinione pubblica verso le disparità di genere nel campo e il libero accesso di donne e ragazze alla ricerca.
Un recentissimo studio pubblicato su Frontiers in Bioengineering and Biotechnology conferma l’importanza delle donne nel campo della ricerca.
Un gruppo di ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) ha sviluppato e combinato nuove tecnologie di imaging per l’identificazione delle cellule tumorali circolanti nel sangue (CTC). L’innovativo strumento consente di identificare le cellule tumorali nel sangue attraverso il metabolismo del glucosio e potrà facilitare la diagnosi e la scelta delle terapie più appropriate per combattere i tumori.
Il gruppo di ricerca è stato coordinato da Anna Chiara De Luca, ricercatrice AIRC al CNR di Napoli.
Per saperne di più Health Online ha intervistato Anna Chiara De Luca alla quale ha rivolto qualche domanda anche sull’importanza del contributo femminile nella Scienza e in generale nelle discipline STEM.
Come nasce e perché lo studio?
Lo studio nasce dalla necessità di sviluppare una metodica innovativa per l’identificazione delle cellule tumorali circolanti (CTCs) tra le cellule del sangue. Le cellule tumorali circolanti sono cellule tumorali verosimilmente responsabili della diffusione delle metastasi, derivano da tumori solidi e circolano nel sangue periferico. Il rilevamento, la quantificazione e la caratterizzazione di tali cellule possono essere utilizzati per monitorare la progressione e la farmacoresistenza dei tumori. Individuare un tumore attraverso l’analisi del sangue è un approccio che potrebbe trasformare la diagnosi e la cura di questa malattia e quindi di notevole interesse. Tuttavia, tali le cellule sono molto eterogenee, in taluni casi, significativamente diverse dal tumore primario, e sono presenti in quantità minime, e pertanto difficili da individuare con test di laboratorio convenzionali. L’obiettivo del nostro studio è sviluppare un metodo di identificazione per le CTCs che possa essere utilizzato per tutti i tipi di tumori, quindi generico, che sia altamente sensibile e specifico e sia anche non distruttivo, consentendo una successiva caratterizzazione delle cellule indentificate.
Quali sono stati i risultati raggiunti?
I nostri esperimenti hanno portato alla messa a punto di un approccio nuovo per l’identificazione delle CTCs. Le cellule tumorali hanno la capacità di assimilare grandi quantità di glucosio, fino a dieci volte più velocemente di quanto facciano le cellule normali. La microscopia Raman è stata utilizzata per studiare l’assorbimento delle molecole di glucosio da parte delle cellule tumorali e osservarne il metabolismo. Si tratta di un sistema di radiazione laser con il quale vengono illuminate le molecole, che permette di identificarle in maniera univoca, come una sorta di impronta digitale, senza utilizzare particolari marcature. La capacità delle cellule tumorali di assorbire il glucosio più velocemente determina l’accumulo di lipidi in forma di goccioline, diversamente da quanto accade, per esempio, con i leucociti, le cellule sane del sangue. Questo fornisce un parametro affidabile per distinguere le cellule tumorali da quelle del sangue. Per individuare le goccioline lipidiche con tempistiche simili a quelle di uno screening rapido, è stata combinata la microscopia Raman con l’imaging olografico in polarizzazione (PSDHI). Questa tecnica di imaging permette di identificare la morfologia delle cellule e mappare le proprietà birifrangenti delle goccioline lipidiche. È così possibile distinguere le CTC dai leucociti in pochi secondi, con un’affidabilità vicina al 100%. Questo approccio pone le basi per lo sviluppo di un nuovo metodo di isolamento delle cellule tumorali, semplice e universalmente applicabile. La raccolta e la successiva coltura in vitro delle CTC, potrebbe consentire di esaminare le loro caratteristiche genetiche e biochimiche e valutarne la sensibilità a farmaci specifici. In futuro ci prefissiamo di valid are la nostra tecnica con studi preclinici e clinici in modo da metterla a completa disposizione dei medici che saranno facilitati nella diagnosi e nella scelta delle terapie più indicate.
Qual è stato il suo ruolo?
Il mio ruolo è stato quello di ideare e disegnare il progetto scientifico, di attivare una collaborazione con colleghi biologi e ingegneri per la realizzazione dei diversi aspetti del progetto, di supervisionare e partecipare attivamente sia agli esperimenti che alla scrittura poi dell’articolo scientifico.
Quando e perché ha deciso di intraprendere la carriera nell’ambito della ricerca?
Già da bambina avevo deciso che da grande avrei fatto o la ballerina o la scienziata. Il sogno è poi diventato realtà al liceo. Grazie all’incoraggiamento della mia professoressa di matematica, Tina Spampanato, presi la decisione di iscrivermi alla facoltà di fisica. Mi sono laureata in fisica e conseguito il dottorato di ricerca a Napoli, poi sono emigrata in Scozia, all’università di St Andrews, dove sono stata per quattro anni. Visto che desideravo più di ogni cosa che le mie attività di ricerca avessero un forte impatto sociale, è stato praticamente inevitabile orientarsi verso la diagnostica medica. Ho avuto l’opportunità di rientrare in Italia grazie ad un bando dell’Airc. Ma sono felice dell’esperienza all’estero, la rifarei cento volte. Il confronto con gli altri è fondamentale. Oggi la mia ispirazione viene dall’infinita e profonda passione per il mio lavoro. Passione che si alimenta con uno studio continuo e con le continue sfide poste dai medici e biologi con cui ho il piacere di lavorare ogni giorno.
Quali sono stati gli ostacoli che ha dovuto affrontare?
Rientrare in Italia non è stato semplice, ma grazie ad AIRC avevo la possibilità di creare un mio laboratorio. È stato un salto nel buio e una delle sfide più grandi, ma con tanto lavoro e tanta caparbietà ho realizzato il mio sogno. Oggi sono I Ricercatrice presso il CNR, e coordino un gruppo di ricerca composto da diversi ricercatori e studenti italiani e stranieri (tre donne e due uomini), ma anche moglie e mamma di tre bambini. Non pensavo che la famiglia fosse compatibile con il lavoro di ricerca, ma non è così. Dopo la nascita di ciascuno dei miei tre figli, ho continuato a lavorare da casa, studiando, scrivendo diversi articoli, seguendo gli studenti e i postdoc nei loro esperimenti o scrivendo progetti. Quando, ho iniziato il più recente progetto IG grant AIRC avevo il pancione e di lì a poco sarebbe nata la piccola Ginevra. Nonostante le difficoltà, i risultati ci sono e sono tangibili. La ricerca mi rende felice e credo che una madre felice sia una buona madre. Ed è una soddisfazione sentire da mio figlio Lorenzo che vuole studiare le stelle o da Erica che da grande farà la scienziata.
A suo giudizio, perché oggi c’è ancora un grande divario di genere nelle discipline STEM?
A mio avviso, il divario di genere nelle discipline STEM è il risultato di stereotipi e credenze che vengono esercitati, a volte anche in maniera inconsapevole, sia in ambito familiare che scolastico. Per fortuna oggi la situazione è migliorata, ci sono sempre più donne che lavorano in settori storicamente maschili, ma sicuramente non siamo arrivati a rompere il cosiddetto “soffitto di cristallo”. Sogno un futuro prossimo in cui non ci siano limiti a quello che una bambina immagini di poter diventare. È quindi fondamentale che anche i più giovani, le famiglie e gli educatori siano sottoposti a campagne di sensibilizzazione. La carriera scientifica per una donna diventa una salita faticosa principalmente quando si cerca di conciliarla con la maternità e la famiglia, è qui che nascono evidenti disparità. La presenza femminile nella scienza (come in altri settori) dovrebbe essere sostenuta da un supporto sociale generale, sembra scontato dirlo, ma bisognerebbe prendere esempio da altri paesi europei, che con politiche specifiche, tutelano la maternità come un bene comune.
Quanto è importante celebrare le donne nella scienza?
Celebrare le donne nella scienza è fondamentale proprio per sensibilizzare sia l’opinione pubblica che la politica su questo argomento tanto delicato quanto fondamentale. Celebrare le donne che hanno avuto carriere scientifiche eccellenti aiuta a far conoscere questi personaggi al grande pubblico in modo che possano diventare fonte d’ispirazione per le giovani donne che sognano di intraprendere una carriera nel settore scientifico.
Concludiamo con un suo messaggio per le giovani che vorrebbero intraprendere la carriera nella ricerca…
Fare scienza è bellissimo. Non posso negare che il mondo della ricerca è un mondo difficile e insidioso, richiede una dedizione costante e una formazione continua, ma alle giovani donne che ambiscono a diventare scienziate non posso che dire di impegnarsi al massimo e seguire le proprie passioni.
Fonte foto: AIRC