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Healthy Work: un lavoro che genera salute nel territorio
Stress, fatica, nervosismo, depressione, apatia. Sono tutti aggettivi che costantemente vengono associati alla parola “lavoro”, un termine che ormai fa parte del nostro linguaggio quotidiano, ci invade inevitabilmente la nostra vita e il nostro stato di umore. Tutto ciò, per ragioni più o meno ovvie, colpisce la salute psico-fisica soprattutto di giovani donne e madri come già sottolineato in una precedente intervista di Health Online per il blog la Voce di MBA alla psicologa e psicoterapeuta Deborah Trinchi (leggi l’articolo qui).
Per tale motivo, si sente parlare maggiormente, come dicono gli americani, di “healthy work”, un lavoro sano che non presuppone ritmi forzati, orari no stop e pause pranzo di cinque minuti davanti al computer.
Il cosiddetto lavoro sano, di cui tutti, donne e uomini dovrebbero beneficiare, prevede un benessere aziendale o organizzativo, definito così dalla legislazione nazionale. Il primo decreto legislativo in materia è stato emanato nel 1994 e ribadisce il principio contenuto nella Costituzione che considera la salute un diritto fondamentale dell’individuo e impone al datore di lavoro di assicurare delle condizioni non lesive per la salute dei lavoratori.
Lo stile di vita delle persone all’interno del proprio ambiente lavorativo risulta essere molto importante per la propria salute che per la produttività del loro lavoro in generale. Al riguardo è opportuno che tutte le aziende applichino delle politiche organizzative idonee e conducano dei questionari per comprendere l’effettiva salubrità del posto di lavoro.
Molti datori di lavoro offrono programmi di promozione del benessere o della salute per aiutare i dipendenti a migliorare il proprio stato psico-fisico ed evitare comportamenti non salutari. Sia le piccole che le grandi aziende, grazie ad altre società specializzate in analisi di dati tra cui la Kaiser Family Foundation (Kaiser) e la Health Research & Educational Trust (HRET), offrono un programma in almeno una di queste aree: smettere di fumare; controllo del peso; coaching comportamentale o stile di vita.
Dalle ricerche svolte fino ad oggi e rese pubbliche da Forbes, è emerso che il 3% delle piccole imprese e il 16% delle grandi aziende hanno dichiarato di aver raccolto informazioni sulla salute dai dipendenti attraverso dispositivi indossabili come Fitbit o Apple Watch (un dato importante che evidenzia come la tecnologia stia davvero prendendo piede ormai a 360°). Il 42% delle grandi aziende con uno dei programmi di salute e benessere sopra citati, invece, ha offerto ai dipendenti un incentivo finanziario per partecipare o completare il programma.
L’obiettivo generale dei programmi di benessere sul luogo di lavoro è quello di migliorare la salute dei dipendenti, ma le misure di successo sia per i risultati di salute che per i benefici finanziari variano notevolmente da un programma all’altro.
Una ricerca pubblicata sul Journal of the American College of Cardiology, ha analizzato 1.542 partecipanti su 119 luoghi di lavoro e il 57,7% dei partecipanti ha mostrato riduzioni significative in 7 delle 10 categorie di rischio cardiovascolare studiate. Ciò è stato ottenuto attraverso quattro sessioni di coaching al telefono di 30 minuti al mese sulle 10 categorie di rischio con materiali didattici aggiuntivi e un sistema di tracciamento della salute basato.
È importante sottolineare che gli interventi sul posto di lavoro sono essenziali non solo per migliorare la salute dei dipendenti, ma anche per salvaguardare l’attività economica di tutta l’azienda. Johnson & Johnson, ad esempio, ha risparmiato $ 250 milioni sui costi dell’assistenza sanitaria nell’ultimo decennio come risultato dei programmi di benessere.
Il punto è che quando il lavoro invade la vita delle persone si assiste ad una dilatazione del tempo compresso. Questa invasione diventa, in tal modo, qualitativa e quantitativa, poiché il lavoro chiede ad ogni singolo individuo oltre che disponibilità di tempo, anche di mettere spesso in campo emozioni, intuizioni e tutto quello che conserva incorporato e tutto ciò che ha maturato a seguito delle sue numerose esperienze pregresse.
La posta in gioco è quindi quella di guardare alle persone, pure in campo lavorativo, soprattutto nelle loro relazioni sociali che sostanziano la ricerca e il senso del lavoro. Persone che vivono di e producono una soggettività di cui si alimenta il lavoro, ma che costituisce anche una risorsa di potenziale autodeterminazione, specialmente nel momento in cui si ricompone collettivamente e diventa rappresentazione sociale e condivisa, idea che si accumuna e si pone alla base della richiesta di lavoro decente.