Questo sito Web utilizza i cookie in modo che possiamo fornirti la migliore esperienza utente possibile. Le informazioni sui cookie sono memorizzate nel tuo browser ed eseguono funzioni come riconoscerti quando ritorni sul nostro sito Web e aiutare il nostro team a capire quali sezioni del sito Web trovi più interessanti e utili.
L’assistenza ad un anziano: valorizzare la persona prima di curarla farmacologicamente
Come rispettare l’umanità e i diritti profondi degli anziani fragili e come coinvolgere le famiglie nel prendersene cura? È questo uno degli interrogativi che da anni esperti del settore e psicologi introducono nel dibattito pubblico, cercando di cambiare l’approccio della società verso i soggetti over 65. Conclusa la propria attività lavorativa e rimasti soli in casa, gli anziani spesso vengono curati dal punto di vista clinico e assistenziale ma per niente emotivo. Coinvolgere la persona anziana nelle situazioni e nelle decisioni che la riguardano, valorizzare il background culturale e la storia di vita che essa ha, sono i consigli dispensati da Fabio Folgheraiter, docente di Metodologia del lavoro sociale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e co-fondatore del Centro Studi Erickson, il quale sostiene che “porre la persona con demenza al centro della relazione sia un vantaggio per la comunità e per la società più in generale”.
Professore perché negli ultimi anni si parla sempre di più di anziani?
Gli over 65 oggi rappresentano il 22,6% della popolazione, in continua crescita rispetto al passato: questo vuol dire che stiamo progredendo verso un modello di Paese nel quale la presenza di persone anziane aumenterà a vista d’occhio, con un forte impatto sui sistemi sanitari. Per questa ragione c’è bisogno di nuovi modelli che vadano a formare l’operatore e il familiare.
Qual è il modo migliore per assistere una persona anziana?
Non esiste un modo migliore. Le strutture di cura, come tutti i servizi di welfare, per definizione hanno il dovere di prendersi cura umanamente delle persone, soprattutto se si tratta di anziani. Dovere primario dell’operatore, ma anche dei cari che assistono la persona bisognosa di cure, è mantenere intatta l’integrità e la dignità dell’anziano. Invece di parlare di ciò che è meglio e ciò che è peggio, occorre oggi mettere a fuoco le possibili innovazioni e le possibili modalità di prendersi cura degli anziani fragili e vulnerabili, rispettando il principio dell’umanità. Intendo proporre un’innovazione delle pratiche assistenziali che ponga in primo piano aspetti quali la relazione e il coinvolgimento attivo dell’assistito.
Qual è dunque l’idea di relazione da proporre?
Per l’anziano ci sono varie figure di riferimento, dai dirigenti, ai clinici, fino agli assistenti sociali che gestiscono certe situazioni, e poi esistono gli assistenti ad personam che seguono la persona quotidianamente. Ma al di là dei vari ruoli e responsabilità, l’idea della relazione è che un operatore o una struttura di cura devono vivere gli anziani non come un peso o come un qualcosa che va preso in carico, ma come un’entità che pur portando un carico di problemi, di sofferenza e di disagio, si rende portatrice anche di competenze, sensatezza, buona volontà. Quindi, si può instaurare un dialogo tra la buona volontà degli operatori e di chi ha bisogno di assistenza.
Quali sono i nuovi metodi a cui si fa riferimento?
Coesistono varie esperienze di buone pratiche nazionali e internazionali. La modalità più emblematica dell’approccio relazionale è quella dei gruppi di ‘auto mutuo aiuto’. È un’esperienza di gruppo che impegna le persone per il proprio e l’altrui benessere, promuovendo le reciproche potenzialità, attraverso l’ascolto e il rispetto della storia di ognuno partecipa al gruppo di auto mutuo aiuto secondo la propria disponibilità, portando se stesso e la propria storia di vita in un clima di fiducia. Pensiamo anche alla figura del caregiver per le persone anziane. In questi anni abbiamo fatto sperimentazioni con persone che presentano demenza. Esse vengono aiutate a confrontarsi e a scambiarsi le esperienze reciprocamente in modo che il conforto psicologico e i consigli possono nascere da un contesto di gruppo. Un operatore ha il dovere e il compito di unire le persone, cosicché non si sentano isolate e di facilitare la loro relazione.
Cos’è il metodo Validation?
Si tratta di un metodo trasversale che può essere adattato ad ogni situazione, tanto è vero che va insegnato sia ai familiari che agli assistenti ed è un metodo molto efficace, perché incentrato sulla relazione empatica dell’anziano affetto da demenza che non ha altri modi per poter essere aiutato e che dunque non riesce a sostenere le questioni cognitive. Andiamo a lavorare sul benessere anche di questa persona. Il metodo Validation si concentra sulla relazione, in questo senso si va oltre le persone realmente compromesse. Esso aiuta a saper vivere il confronto, la discussione, l’espressione della propria opinione, avendo ben chiaro che l’altro è, esiste, diverso da me. Questo, quando accade, dona dignità.
L’Italia è un paese più relazionale o farmacologico?
Abbiamo importato molte pratiche per l’organizzazione delle strutture e delle case di riposo. Da anni ci sono riferimenti internazionali come la Gentlecare o il metodo Validation, tutti strumenti incorporati nelle strutture. Gli obiettivi del Gentlecare sono promuovere il benessere della persona, dando al termine benessere il significato del miglior livello funzionale possibile in assenza di condizioni di stress; risolvere o controllare i problemi comportamentali; ridurre lo stress di chi assiste; ridurre l’utilizzo di mezzi di contenzione fisica e farmacologica. Dal punto di vista relazionale, invece, in Italia abbiamo esperienze che nascono dal nostro associazionismo che è molto più orientato rispetto ai nostri vicini anglosassoni e nordici che sono più efficienti per tanti aspetti ma non sul piano associativo e delle relazioni.