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Disturbi psichici, un problema sociale e non solo individuale
Intervista a Giuseppe Ducci, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale della Asl Roma 1
“I disturbi psichici sono anche una questione di comunità”. Ne è convinto Giuseppe Ducci, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale (DSM) della Asl Roma 1, che opera su un vasto territorio della Capitale (un bacino di utenti di oltre un milione di abitanti) mettendo in connessione gli stati di alterazione patologica che colpiscono in vario modo le funzioni cognitive (il pensiero, l’ideazione, l’attenzione, la capacità di affrontare e risolvere problemi) e la sfera affettiva (l’umore, le emozioni, i sentimenti, l’ansia) con la comunità in cui un individuo nasce e cresce.
La tutela della salute mentale riveste un ruolo centrale nella programmazione degli interventi sanitari e sociali in tutti i Paesi più industrializzati, anche in considerazione delle indicazioni
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ne sottolinea da anni il peso in termini di “burden of disease” per i sistemi sanitari e sociosanitari.
Come ricorda l’Oms, “è di cruciale importanza intraprendere azioni per migliorare le condizioni di vita quotidiane, iniziando dal momento della nascita, proseguendo durante la prima infanzia,
l’adolescenza, la costruzione della famiglia, l’età lavorativa e la vecchiaia. Un’azione lungo tutte queste fasi della vita costituisce un’opportunità sia per migliorare la salute mentale nella
popolazione, sia per ridurre il rischio in quei disturbi mentali correlati alle disuguaglianze sociali”. Rapportare i disturbi psichici solo alle diverse stagioni della vita, e dunque a un dato
anagrafico, però non è sufficiente.
Direttore Ducci, cosa significa prendersi cura delle persone con disturbi psichici?
Le prese in carico dei pazienti sono molto diverse tra loro semplicemente perché sono diversi i disturbi da affrontare. Per i trattamenti ci basiamo sulle indicazioni del Piano di azione di salute nazionale del 2014. Elaborato dal Ministero della salute, in collaborazione con il Gruppo tecnico Interregionale Salute Mentale della Conferenza delle Regioni, il documento definisce gli obiettivi di salute per la popolazione, le azioni e gli attori necessari per conseguirli, i criteri e gli indicatori di verifica e valutazione. In relazione alla salute mentale ci sono tre interventi distinti: quella della consulenza, quella dell’assunzione in cura e, infine, quella della presa in carico da parte dei servizi pubblici. In Italia è un percorso normato: consideriamo infatti un primo livello della consulenza in cui servizi specialistici svolgono una funzione di supporto ai medici di Medicina generale e attivano percorsi di auto-mutuo-aiuto a persone che presentano Disturbi emotivi comuni. L’assunzione in cura è rivolta invece ai disturbi più gravi che comportano una maggiore sofferenza soggettiva e di invalidità, come ad esempio un grave disturbo da attacchi di panico. Si agisce dunque con interventi mono-specialistici brevi, con interventi farmacologici e psicologici legati a una dimensione esistenziale sia nei giovani che nelle persone più adulte. Infine, nella presa in carico, rivolta ai disturbi più gravi, si attua un trattamento multidisciplinare, anche sociale, e con frequente coinvolgimento nella cura anche dei familiari.
Quali sono le cause dei disturbi mentali più gravi?
Esistono i disturbi del neuro-sviluppo disturbi dello spettro autistico, deficit di attenzione con iperattività, schizofrenia, disturbi dello spettro bipolare) nei quali il ruolo della genetica è decisivo, ma dove anche eventi ambientali e traumatici precoci influenzano decorso ed esiti. Il trauma più importante, ad esempio, è quello della trascuratezza genitoriale precoce. Tutti noi
pensiamo che un bambino cresciuto con amore, in relazione con genitori attenti ai suoi bisogni e che rispondono alle sue richieste di comunicazione con tempestività, sia un bambino fortunato che può disporre di una base sicura per il suo sviluppo. I genitori possono farcela da soli, ma a volte hanno bisogno di aiuto che possono trovare all’interno della famiglia, della famiglia allargata, del vicinato, del quartiere, dei servizi. Una relazione trascurante si verifica più facilmente nelle famiglie che vivono varie difficoltà, dalla povertà ai problemi di salute, e accade che la mamma non riesca a sviluppare quella sintonizzazione emotivo-affettiva preverbale necessaria per l’attivazione di particolari geni. Questo comporta la nascita di alcuni disturbi che incidono anche sulla struttura cerebrale nel bambino.
In media quando si manifestano i primi disturbi mentali?
La maggior parte dei disturbi esordisce nell’infanzia o nell’adolescenza. I Disturbi Mentali Gravi, schizofrenie e disturbi psicotici, disturbi bipolari e gravi depressioni, disturbi severi della personalità, riguardano circa l’8% della popolazione generale, mentre i Disturbi mentali meno gravi, nevrosi, disturbi d’ansia, disturbi depressivi moderati o lievi, forme di disagio psicologico, sono molto comuni e riguardano circa il 15% della popolazione. Complessivamente, dunque, oltre il 20% della popolazione presenta un disturbo grave o lieve/moderato nel corso della vita. Nei casi più gravi la conseguenza principale è la presenza di una disabilità, mentre in quelli meno gravi il funzionamento sociale è mantenuto, ma c’è sempre una evidente sofferenza soggettiva che coinvolge
anche i familiari e le altre figure significative. Grazie a trattamenti adeguati e integrati anche nei casi gravi è possibile mantenere discreti livelli di autonomia personale.
In una recente intervista rilasciata ad Avvenire ha parlato di “responsabilità sociale condivisa”. Che cosa intende?
In Italia abbiamo una situazione unica al mondo di chiusura di tutti gli ospedali psichiatrici, anche giudiziari. Nonostante questo, permane una sorta di mentalità segregazionista; l’idea di prendere queste persone e metterle da parte è ancora fortemente presente. Generalmente si ritiene che il paziente psichiatrico sia un paziente pericoloso: questo è quasi sempre falso. È per questa ragione che la società, tutta, deve operare un cambiamento culturale: il paziente psichiatrico non è un problema del singolo ma di tutti. Molto banalmente, la società deve tener conto che sono persone parte della società e che tutti siamo coinvolti in questo. È solo nell’alleanza terapeutica e nella responsabilità sociale condivisa che si trovano le risposte di presa in carico di chi
soffre di patologie psichiche.
A cosa sono dovuti i problemi di salute mentale e per quale ragione sono aumentati grandemente?
C’è un fattore fondamentale che ha determinato un aumento dell’incidenza dei disturbi prima della pandemia ed è dovuto alle sostanze stupefacenti. Al contrario dell’eroina, le sostanze stimolanti come cocaina, THC, extasy, producono malattia mentale. Con il crack addirittura c’è una possibilità del 50% che una persona possa sviluppare un disturbo grave. La pandemia ha poi determinato un aumento grave dei disturbi della regolazione emotivo-affettiva, soprattutto in adolescenza. Non sappiamo ancora se gli aspetti sociali della pandemia, quali la DAD e l’uso smodato dei social,
abbiano limitato i processi di co-regolazione tra coetanei. Anche il Covid ha avuto una azione diretta attraverso un’infiammazione cerebrale che ha determinato lesioni minime rilevate con test neuropsicologici dell’attività delle aree parietali e frontali deputate alla regolazione e al controllo. La conseguenza sono comportamenti violenti ed autolesivi, poliabuso caotico di sostanze e disturbi alimentari.
Molte famiglie dichiarano di sentirsi sole nel percorso di cura e che spesso l’unico sostegno è garantito dalle realtà del terzo settore e dunque dalle associazioni presenti sul territorio. È una carenza che caratterizza il nostro SSN?
Non sono d’accordo. La salute mentale è l’unico settore della sanità italiana in cui non si paga neppure il ticket. C’è un accesso diretto che assicura al paziente l’immediata presa in cura senza passare dal Medico di medicina generale. La mia ASL in collaborazione con il Comune di Roma e la Regione Lazio eroga sussidi economici per i pazienti, con i quali sosteniamo il lavoro
l’abitare assistito. Tuttavia, è importante che i Servizi pubblici garantiscano una presa in carico globale del paziente, sul piano dei bisogni economici, ma anche dei familiari che non vanno lasciati soli. In questo la rete delle associazioni svolge un ruolo essenziale.
La salute mentale in Italia
Gli utenti psichiatrici assistiti dai servizi specialistici nel corso del 2020 ammontano a 728.338 unità. Il tasso varia da 90,3 per 10.000 abitanti adulti in Sardegna fino a 195,4 nella regione
Umbria (valore totale Italia 143,4). Gli utenti sono di sesso femminile nel 53,6% dei casi, mentre la composizione per età riflette l’invecchiamento della popolazione generale, con un’ampia
percentuale di pazienti al di sopra dei 45 anni (69,0%). In entrambi i sessi risultano meno numerosi i pazienti al di sotto dei 25 anni mentre la più alta concentrazione si ha nelle classi 45-54
anni e 55-64 anni (46,8% in entrambi i sessi); le femmine presentano, rispetto ai maschi, una percentuale più elevata nella classe > 75 anni (6,7% nei maschi e 10,7% nelle femmine). Nel 2020 i
pazienti che sono entrati in contatto per la prima volta durante l’anno (utenti al primo contatto) con i Dipartimenti di Salute Mentale ammontano a 253.164 unità di cui il 91,8% ha avuto un contatto con i servizi per la prima volta nella vita (first ever pari a 232.376 unità).