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Long Covid: a distanza di 2 anni dal ricovero per Covid-19 i pazienti presentano almeno un sintomo
Uno studio di follow-up cinese evidenzia una salute più cagionevole e una qualità di vita più scarsa rispetto al resto della popolazione
Il problema del Long Covid, ovvero i sintomi debilitanti multiorgano che non passano a distanza di mesi dalla guarigione, continua a tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica anche perché le caratteristiche del Long Covid sono cambiate con le varianti del virus Sars-CoV-2.
Tanti gli studi scientifici che si sono occupati di Post-Acute Covid Syndrome (PACS) o Long Covid, una sindrome molto diffusa che medici e pazienti di tutto il mondo stanno denunciando da tempo.
L’ultimo studio è stato recentemente condotto in Cina, luogo dove tutto è iniziato.
A due anni dopo l’infezione da Covid-19, la metà dei pazienti che sono stati ricoverati in strutture ospedaliere presenta ancora almeno un sintomo. A dimostrarlo il più lungo studio di follow-up finora condotto sul Covid-19 realizzato in Cina dai ricercatori del China-Japan Friendship Hospital, della Chinese Academy of Medical Sciences, del Peking Union Medical College e della Tsinghua University School of Medicine.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Lancet Respiratory Medicine, ha valutato lo stato di salute di 1.192 partecipanti, di età media di 57 anni, con Covid-19 acuto che hanno ricevuto cure presso il Jinyintan Hospital di Wuhan tra il 7 gennaio e il 29 maggio 2020, a 6 mesi, 12 mesi e 2 anni.
Lo studio ha evidenziato che i partecipanti che hanno contratto il coronavirus che ha causato il Covid-19 tendono ad avere una salute più cagionevole e una qualità di vita più scarsa rispetto al resto della popolazione. Nello specifico, a sei mesi dopo aver contratto il virus per la prima volta, il 68% di loro ha riportato almeno un sintomo di Covid sul lungo periodo, mentre a due anni dall’infezione, il 55% dei partecipanti ha segnalato sintomi, tra cui affaticamento, debolezza muscolare e difficoltà nel dormire.
Inoltre, tra i disturbi dei soggetti emergevano dolori articolari, palpitazioni, vertigini, mal di testa e ansia o depressione, stando a quanto emerge dall’indagine.
Qual è la situazione in Italia?
In Italia si registrano casi di Long Covid, soprattutto con postumi neurocognitivi.
La professoressa Patrizia Rovere Querini, immunologa, responsabile dell’hot spot Covid-19 dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano ha analizzato il fenomeno Long Covid in Cina e in Italia.
“Il problema del post Covid esiste e lo rileviamo anche in Italia. Abbiamo molti postumi a distanza di tempo dall’infezione e dal ricovero in ospedale, ma non nelle percentuali osservate dallo studio, condotto in Cina, almeno per quanto riguarda in particolare gli strascichi respiratori. Rileviamo invece in maniera abbastanza importante le manifestazioni neuropsichiatriche del Long Covid. Insonnia, ansia e anche manifestazioni depressive: quelle sono ancora abbastanza persistenti”. Ha detto all’Adnkronos Salute Patrizia Rovere Querini.
“Le due casistiche, italiana e cinese, non si possono confrontare facilmente perché le popolazioni sono diverse: noi abbiamo pazienti più anziani e più in sovrappeso, loro hanno più giovani e in un rapporto maschi-femmine con più donne”. Ha spiegato Patrizia Rovere Querini. “Ma per quanto riguarda il quadro polmonare, però, fra i nostri pazienti già a 6 mesi il 70% stava bene, aveva avuto una buona ripresa. Avevamo poi un 20% con una dispnea ancora lieve e delle alterazioni, e un altro 10% con manifestazioni più importanti. La nostra analisi è stata stringente perché abbiamo invitato tutti a controllo e non son pochi i pazienti che abbiamo visto, circa 500 che erano stati ricoverati”.
Le manifestazioni del Long Covid “più sul fronte neurocognitivo da noi sono prevalenti sul lungo termine – ha aggiunto Rovere Querini – Sindromi come la nebbia cognitiva soprattutto, per fare un esempio. In questo caso queste manifestazioni persistono in un 30% della popolazione, a un anno. La nebbia cognitiva è finita spesso sotto i riflettori per i racconti di chi l’ha vissuta”. E questa espressione del Long Covid, la parte neurocognitiva, “è indipendente dalla gravità. Da quando il nostro ambulatorio è stato aperto” anche a pazienti esterni che non erano stati ricoverati nella struttura, “sono arrivati con questa sindrome anche molti pazienti che hanno avuto un Covid lieve, curati a casa. Molti sono giovani, dai 25-30 anni in su. Nella nostra casistica queste manifestazioni sono un po’ più prevalenti nelle donne, che alla fine hanno avute un Covid meno grave rispetto agli uomini. Ecco, è questo aspetto del post Covid che a me colpisce e mi preoccupa di più: che impedisce al paziente, anche giovane, di ritornare alla vita personale e lavorativa precedente”.
In merito alla sua esperienza diretta la professoressa Patrizia Rovere Querini ha detto di aver “avuto pazienti che avevano anche lavori molto impegnativi e che adesso faticano molto a riprendere la loro posizione nel mondo. Persone che devono cambiare mansione per una con meno responsabilità o che continuano a fare il loro lavoro con fatica”. Come una donna dirigente che faceva mille riunioni al giorno, molto affermata e sempre dinamica: “Ha dovuto prendere una segretaria – ha raccontato – perché dopo il Covid all’uscita dai meeting non riusciva più neanche a ricordare cosa si era deciso. È andata avanti così per un semestre. È questa la nebbia cognitiva, è difficile da capire quanto possa essere invalidante se non la si vive”. Significa parlare al telefono e quando si è chiusa la conversazione non ricordare cosa ci si è detti. Significa “correggere le bozze dei manoscritti per mestiere e all’improvviso non riuscire più a valutarli, perché le parole non risultano essere più evocative come prima”. Tutto rallenta, tutto è più difficile.
E chiunque potrebbe potenzialmente essere esposto a questo tipo di problematica, conferma la specialista. “E non ho la sensazione che i pazienti vaccinati che hanno delle forme più lievi siano del tutto esenti da queste sequele”. Questa mancanza di lucidità può durare settimane, ma anche mesi. Ed è “curabile, con delle eccezioni che richiedono di essere seguite più a lungo. Non tutte le forme sono lievi, in alcuni casi si deve fare una terapia cognitiva e altri trattamenti. Ci sono degli esercizi che servono a riabilitare il paziente, che secondo i nostri psichiatri sono anche molto efficaci. Ma è importante parlarne, serve consapevolezza a livello di società e dare il tempo alle persone di guarire”. Tutti, anche nel mondo del lavoro, devono sapere che il problema esiste e che ci può volere del tempo perché passi. “Bisogna che i pazienti possano aver tempo. E che sia chiaro che non dipende da quanto grave sia il Covid che si è avuto. Secondo me noi dobbiamo mettere in campo le risorse sanitarie perché queste persone possano avere accesso a tutti i trattamenti di cui hanno bisogno. Non credo che ci siano ancora tanti ambulatori di Long Covid dove c’è la possibilità di avere lo psichiatra, lo psicoterapeuta, e le figure necessarie, gestiti con il sistema sanitario nazionale. Andrebbe forse potenziato questo aspetto, perché i pazienti sono veramente contenti quando vengono seguiti in questo percorso di guarigione, anche da psichiatri che possono affiancarli e tranquillizzarli. Il sistema ha fatto le esenzioni, ha messo le prestazioni, ma forse non ha vegliato sulla creazione delle strutture necessarie. Sembra ci manchino un po’, che ci sia una richiesta significativa”.
Con il tema del Long Covid “dovremmo fare i conti nei prossimi mesi”, ha affermato il sottosegretario alla Salute Andrea Costa specificando che “l’Istituto superiore di sanità sta analizzando tutta una serie di casi per aver contezza di quelli che sono i sintomi”. “Si era detto che c’era incertezza su quelli che potevano essere le conseguenze del Long Covid – ha aggiunto – Indubbiamente solo il monitoraggio nel tempo ci dirà quelle che sono le problematiche. Uno dei motivi per cui abbiamo insistito sulle vaccinazioni era la protezione dalla malattia e dalle conseguenze gravi. Long Covid è tema su cui dobbiamo essere pronti e dare risposte ai cittadini”.
In merito allo studio cinese che ha evidenziato come più della metà (55%) di chi è stato ricoverato per Covid-19 dopo 2 anni presenta ancora almeno un sintomo della malattia, è intervenuto Mario Clerici, docente di immunologia dell’università degli Studi di Milano e direttore scientifico della Fondazione Don Gnocchi. “Continuano a uscire pubblicazioni. Questa è solo l’ultima in ordine di tempo, ma è in effetti la prima in cui si esaminano i dati a 2 anni. Comincia quindi a esserci un follow-up abbastanza lungo. Sono due i messaggi che ricavo da questo lavoro: il primo è positivo e ci dice che la percentuale di pazienti con sintomi post Covid dopo 2 anni si è ridotta rispetto a quella che si aveva dopo un anno. Il messaggio negativo, però, è che c’è ancora una percentuale cospicua di persone che hanno avuto il Covid due anni prima e stanno poco bene”.
Per Matteo Bassetti, direttore Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova “I dati dello studio cinese sul Long Covid pubblicati su ‘The Lancet Respiratory Medicine’ sono impressionati, ma sono riferiti alla prima ondata della pandemia. Anche noi abbiamo lavorato sulle conseguenze a breve e lungo termine della malattia da Covid: gli ex pazienti lamentano stanchezza, problemi di memoria e anche problemi respiratori. Ma la domanda che dobbiamo porci è quella riferita all’arrivo dei vaccini, perché chi ha avuto il Covid da vaccinato non ha stessa sintomatologia di un non vaccinato. E questo sembra valere anche per il post Covid”, mentre “i guariti non vaccinati hanno avuto strascichi simili a chi ha avuto la polmonite a marzo-maggio e a ottobre-dicembre 2020. Quindi lo spartiacque è la vaccinazione”. “Forme di Long Covid e post Covid importanti le vediamo oggi in chi non è vaccinato – ha specificato Bassetti – Che arrivino fino a 2 anni mi sembra un po’ tanto, ma ne prendiamo atto. Lo studio dimostra che questo è un virus aggressivo, che causa una malattia grave perché c’è una interazione tra virus e sistema infiammatorio. È una malattia infettivo-infiammatoria non classica e questa sinergia crea più danni”. Dallo studio cinese arriva un messaggio chiaro, ha concluso l’esperto, “La vaccinazione fa la differenza”.