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Reinfezioni covid-19: varianti e sottovarianti omicron
Da qualche giorno sono entrate in vigore le nuove regole anti covid con un allentamento delle misure e un graduale ritorno alla normalità in vista dell’estate. Ma “la pandemia non è finita e dopo l’estate potrebbe tornare preoccupante, la quarta dose è fondamentale per gli anziani e in prospettiva per tutti”. Ad annunciarlo Fabrizio Pregliasco, ricercatore di Virologia dell’Università Statale e direttore sanitario dell’Ospedale Galeazzi di Milano, in un’intervista a ‘La Stampa’, spiegando che i 397mila ricontagiati da fine agosto sono dovuti al fatto che “la forza del Sars-Cov-2 è l’instabilità, dovuta a mutazioni anche minime, per cui la vaccinazione e la guarigione non sono garanzie di immunità”, segno che “il Sars-Cov-2 si candida a rimanere con noi a lungo, anche in maniera preoccupante se in molti dovessero risultare meno protetti”.
Occhi puntati dunque sui casi di reinfezione da Covid-19. “La percentuale delle reinfezioni è sempre abbastanza elevata, è al 5%. Questa è una costante che vediamo dall’inizio della circolazione della variante Omicron. Fortunatamente questo aumento non si associa ad una crescita dei ricoveri in area media e in terapia intensiva”. Ha detto Anna Teresa Palamara, direttore Malattie infettive Iss, e Omicron 5.
Secondo il report esteso dell’Istituto superiore di sanità (Iss) su Covid-19 in Italia “Dal 24 agosto 2021 al 4 maggio 2022 sono stati segnalati 397.084 casi di reinfezione da covid, pari al 3,3% del totale dei casi notificati”. Mentre “nell’ultima settimana la percentuale di reinfezioni sul totale dei casi segnalati risulta pari al 5%”, ulteriormente “in aumento rispetto alla settimana precedente” quando “il valore era 4,5%”.
“L’analisi del rischio di reinfezione a partire dal 6 dicembre 2021, data considerata di riferimento per l’inizio della diffusione della variante Omicron – si legge nel rapporto – evidenzia un aumento del rischio relativo aggiustato di reinfezione (valori significativamente maggiori di 1) nei soggetti con prima diagnosi di Covid-19 notificata da oltre 210 giorni, rispetto a chi ha avuto la prima diagnosi di fra i 90 e i 210 giorni precedenti; nei soggetti non vaccinati o vaccinati con almeno una dose da oltre 120 giorni, rispetto ai vaccinati con almeno una dose entro i 120 giorni; nelle femmine rispetto ai maschi. Il maggior rischio nei soggetti di sesso femminile può essere verosimilmente dovuto”, secondo l’analisi Iss, “alla maggior presenza di donne in ambito scolastico (oltre l’80%), dove viene effettuata una intensa attività di screening, e al fatto che le donne svolgono più spesso la funzione di caregiver in ambito familiare”. Ancora, il rischio di reinfezione è maggiore “nelle fasce di età più giovani (dai 12 ai 49 anni), rispetto alle persone con prima diagnosi in età compresa fra i 50-59 anni. Verosimilmente ciò è attribuibile a comportamenti ed esposizioni a maggior rischio, rispetto alle fasce d’età superiore a 60 anni”. Infine, la probabilità di reinfezione è maggiore “negli operatori sanitari rispetto al resto della popolazione”.
I casi di reinfezioni da Covid-19, che gli esperti attribuiscono alle caratteristiche di super contagiosità e immunoevasione della variante Omicron e della sua famiglia, si arricchisce di nuove sottovarianti come Omicron 4 già segnalata in qualche regione del nostro Paese, come ha riferito da Anna Teresa Palamara, e Omicron 5.
Tra le sottovarianti Omicron “guadagna terreno BA.2 – ha spiegato – che è evidentemente nettamente prevalente”, ma “in qualche regione cominciano ad osservare la variante BA.4. Vedremo come andrà nelle prossime settimane. Sulla piattaforma IcoGen osserviamo anche 38 possibili ricombinanti Omicron-Omicron che sono Xe, Xj, Xl: noi le monitoriamo costantemente, ma fortunatamente la comparsa di questi ricombinanti non si associa ad una diversità nella quota di trasmissione e di severità della malattia”.
Perché ci sono tanti tipi di Omicron?
Tutti i virus, incluso Sars-CoV-2, mutano costantemente. La stragrande maggioranza delle mutazioni ha scarso effetto sulla capacità del virus di trasmettersi da una persona all’altra o di causare malattie gravi.
Quando un virus accumula un numero sostanziale di mutazioni, è considerato un lignaggio diverso (un po’ come un ramo diverso su un albero genealogico). Ma un lignaggio virale non viene etichettato come variante finché non ha accumulato diverse mutazioni. Questo era il caso del lignaggio BA (a volte noto come B.1.1.529) etichettato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità Omicron.
Omicron si è diffuso rapidamente, rappresentando quasi tutti i casi attuali con genomi sequenziati a livello globale, e ha avuto molte opportunità di mutare acquisendo specifiche mutazioni proprie. Questi hanno dato origine a diversi sotto-lignaggi, o sottovarianti.
I primi due sono stati etichettati BA.1 e BA.2. L’elenco attuale comprende ora anche BA.1.1, BA.3, BA.4 e BA.5.
Abbiamo visto sottovarianti di versioni precedenti del virus, come Delta. Tuttavia, Omicron li ha superati a causa della sua maggiore trasmissibilità.
Ci sono prove che queste sottovarianti di Omicron – in particolare BA.4 e BA.5 – reinfettano le persone, anche quelle vaccinate.
Questo può portare a un rapido aumento dei casi di Covid-19 come sta avvenendo in Sud Africa. Le nuove varianti Omicron, che secondo i ricercatori probabilmente sono in grado di eludere i vaccini e l’immunità naturale da infezioni precedenti, sono state identificate anche negli Stati Uniti.
Tuttavia, ricerche recenti suggeriscono che una terza dose del vaccino Covid è il modo più efficace per rallentare la diffusione di Omicron (comprese le sottovarianti) e prevenire i ricoveri ospedalieri.
Quali sono i sintomi di Omicron 4 e 5?
“Meno colpi di tosse, ma più naso che cola; meno febbre, ma più spossatezza. E poi vertigini, dolore allo stomaco e all’addome, male all’orecchio. Questi sintomi non escludono però il rischio di polmoniti, che resta elevato tra la popolazione non vaccinata”. Ha riferito Guido Rasi, ex direttore dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA), in un’intervista a “La Stampa”. “Non si può escludere il rischio che sviluppino forme più gravi di malattia – ha spiegato – ma ora come ora non lo sappiamo. Però un po’ di ottimismo mi viene dal fatto che in genere i virus si modificano per garantirsi la migliore convivenza possibile con l’organismo che li ospita, in questo caso il nostro corpo. Quindi abbiamo buone ragioni per sperare che, pur aumentando la contagiosità, diminuisca la patogenicità”.
In autunno si prevede un aumento dei contagi da Covid-19?
Cosa dicono gli esperti
“L’estate potrebbe rallentarne la marcia – ha spiegato Rasi – ma poi potremmo ritrovarci ad affrontare il terzo autunno problematico dell’era pandemica. È indispensabile resettare il sistema di sorveglianza e di sequenziamento del virus per monitorare bene l’eventuale diffusione di nuove varianti e sub varianti”.
Per Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive al Policlinico San Martino di Genova, “Sicuramente Omicron 4 e 5 sembrano evadere l’immunità prodotta dai vaccini anti-Covid e anche l’immunità naturale di chi ha già avuto l’infezione; quindi, possono rappresentare un elemento di preoccupazione per un aumento potenziale dei contagi nel prossimo autunno”. A Tal proposito bisogna porsi, “senza cadere nel terrorismo delle varianti – ha specificato l’esperto – il problema di un’eventuale ondata d’autunno significativa in termini di numeri, tema di cui si dibatte anche Oltreoceano”. “Anche se – ha aggiunto – bisogna dire che in Sudafrica, dove in qualche modo queste varianti adesso sono diventate predominanti, soprattutto la 4 e la 5, i dati ci dicono che c’è un aumento dei contagi, ma a livello di gravità siamo di fronte a una malattia che normalmente è più lieve rispetto a quello che avveniva con le altre varianti Omicron, con una durata di ricoveri più breve e meno quadri gravi. In ogni caso è evidente che questo è un elemento di preoccupazione, non tanto per oggi ovviamente, quanto per il domani”.
In questo momento “E’ impossibile dire di che entità sarà un’eventuale ondata di contagi Covid nella prossima stagione più fredda, perché non ci sono elementi per sostenere che ci possa essere una virata epidemiologica di questo tipo”. Le parole di Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di microbiologia e virologia dell’università Vita-Salute San Raffaele di Milano all’Adnkronos Salute. “Quello che è certo è che le ultime due sottovarianti di Omicron, Omicron 4 e 5, hanno una straordinaria capacità di diffusione. Sebbene questa non sia una novità, perché le varianti si sono sempre distinte per il fatto di diffondersi sempre di più, l’aspetto invece relativamente nuovo è che in qualche modo tendono a sfuggire anche alla risposta anticorpale precedente”.
L’esperto ha evidenziato il nodo del potenziale di evasione immunitaria mostrato dalle Omicron ‘new entry’. I contorni di questo sono in corso di approfondimento, ma Clementi osserva che, di fronte a caratteristiche simili, “occorrerebbe una risposta anticorpale più solida, più intensa per bloccarle”. L’ingresso sulla scena di queste sottovarianti “rende le cose un po’ più complesse, ma ci fa anche capire quale sarà la strategia giusta: quella di proporre la vaccinazione, almeno per i fragili, a partire da settembre e con un vaccino possibilmente sartorialmente fatto su queste varianti”.
Per quanto riguarda i vaccini, “L’auspicio dell’autorità scientifica a livello internazionale è che in autunno potremmo avere un nuovo vaccino anti-Covid adattato alla variante Omicron di Sars-CoV-2”, ha spiegato il ministro della Salute, Roberto Speranza, in un’intervista a SkyTg24. “Non abbiamo ancora date certe scritte sul calendario, ma l’ipotesi prevalente è che in autunno, ci auguriamo per l’inizio della stagione potremmo avere un vaccino adattato alle nuove varianti del virus”.