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Varianti virus Sars-CoV-2: quanto incidono sulla diffusione del contagio
Quando un virus si replica o crea copie di sé stesso a volte cambia leggermente. Questi cambiamenti sono chiamati “mutazioni”. Un virus con una o più nuove mutazioni viene indicato come una “variante” del virus originale. L’OMS e la sua rete internazionale di esperti monitorano costantemente le modifiche in modo che, se vengono identificate mutazioni significative, l’OMS può segnalare ai Paesi eventuali interventi da mettere in atto per prevenire la diffusione di quella variante.
I virus, in particolare quelli a Rna come i coronavirus – si legge sul sito iss.it – evolvono costantemente attraverso mutazioni del loro genoma. Mentre nella maggior parte delle mutazioni non ha un impatto significativo, ma qualcuna può dare al virus alcune caratteristiche, come ad esempio un vantaggio selettivo rispetto alle altre attraverso una maggiore trasmissibilità, una maggiore patogenicità con forme più severe di malattia o la possibilità di aggirare l’immunità precedentemente acquisita da un individuo o per infezione naturale o per vaccinazione. In questi casi diventano motivo di preoccupazione, e devono essere monitorate con attenzione. In Italia “l’analisi delle varianti” di coronavirus Sars-CoV-2 “viene effettuata dai laboratori delle singole Regioni, sotto il coordinamento dell’Iss. Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie raccomanda di sequenziare almeno circa 500 campioni selezionati casualmente ogni settimana a livello nazionale”.
Alfa, Beta, Gamma e Delta (ce n’è anche una quinta, la Epsilon ma poco diffusa, ndr) sono le varianti attentamente monitorate perché hanno una trasmissibilità più elevata e che preoccupano di più gli esperti dell’OMS e dell’ECDC.
- Variante Alfa (Variante VOC 202012/01, nota anche come B.1.1.7) identificata per la prima volta nel Regno Unito.
Questa variante ha dimostrato di avere una maggiore trasmissibilità rispetto alle varianti circolanti in precedenza. La maggiore trasmissibilità di questa variante si traduce in un maggior numero assoluto di infezioni, determinando, così, anche un aumento del numero di casi gravi. - Variante Beta (Variante 501Y.V2, nota anche come B.1.351) identificata in Sud Africa. Dati preliminari indicano che, nonostante non sembri caratterizzata da una maggiore trasmissibilità, questa variante potrebbe indurre un parziale effetto di “immune escape” nei confronti di alcuni anticorpi monoclonali. Siccome potenzialmente questo effetto potrebbe interessare anche l’efficacia degli anticorpi indotti dai vaccini tale variante viene monitorata con attenzione.
- Variante Gamma (Variante P.1) con origine in Brasile.
Gli studi hanno dimostrato una potenziale maggiore trasmissibilità e un possibile rischio di reinfezione. Non sono disponibili evidenze sulla maggiore gravità della malattia. - Variante Delta (Variante VUI-21APR-01, nota anche come B.1.617) rilevata per la prima volta in India. Include una serie di mutazioni, tra cui E484Q, L452R e P681R, la variante Delta è caratterizzata da una trasmissibilità dal 40 al 60% più elevata rispetto alla variante Alfa, ed è associata ad un rischio relativamente più elevato di infezione in soggetti non vaccinati o parzialmente vaccinati.
- Variante Epsilon (B.1.427), identificata in California, è ancora poco diffusa in Europa e sono solo due i casi rilevati in Italia secondo la banca internazionale Gisaid. Secondo la ricerca pubblicata su Science e guidata da Matthew McCallum, dell’Università di Washington a Seattle, le caratteristiche della sua proteina Spike, l’artiglio molecolare con cui il virus si aggancia alle cellule, comprende ben tre mutazioni che la rendono resistente agli anticorpi, sia a quelli generati dal vaccino, sia a quelli generati dall’infezione.
La variante Delta che preoccupa il mondo
Dal 20 luglio scorso in Italia la prevalenza della “variante Delta” di SARS-CoV-2, in passato denominata variante indiana e più contagiosa rispetto alle precedenti, è del 94,8%. È stata segnalata per la prima volta in India nel dicembre 2020 e i primi studi avevano subito rilevato che è fino al 50% più trasmissibile rispetto alla variante Alfa, identificata per la prima volta nel Kent, Regno Unito. La variante Delta sembra essere più impattante sull’organismo. Tosse, raffreddore, mal di testa e mal di gola, febbre, dolori muscolari, diarrea, stanchezza e spossatezza, ovvero i primi segnali della presenza del coronavirus nelle persone, sono di solito più forti. E di conseguenza anche i tempi di guarigione ne risentono.
In Inghilterra è stato condotto un recente studio, che ha analizzato più di 40mila casi confermati dal sequenziamento nel Paese tra il 29 marzo e il 23 maggio 2021, secondo il quale la variante Delta con i suoi sintomi raddoppia il rischio di ricovero per covid rispetto alla variante Alfa. Questo nuovo studio si basa sui casi “confermati da sequenziamento dell’intero genoma, che è il modo più accurato per determinare la variante virale”.
“La maggior parte dei casi inclusi nell’analisi erano non vaccinati – precisa Gavi Dabrera, del National Infection Service, Public Health England (Phe), uno degli autori principali dello studio – Sappiamo già che la vaccinazione offre un’eccellente protezione contro Delta e poiché questa variante rappresenta oltre il 98% dei casi di Covid nel Regno Unito, è fondamentale che coloro che non hanno ricevuto due dosi di vaccino lo facciano il prima possibile. È comunque importante in caso di sintomi rimanere a casa e fare un tampone il prima possibile”. In questo studio solo l’1,8% dei casi (con entrambe le varianti) aveva ricevuto entrambe le dosi di vaccino; il 74% non era vaccinato e il 24% aveva solo una dose. Gli autori fanno notare che non è quindi possibile trarre conclusioni statisticamente significative su come il rischio di ospedalizzazione differisca tra le persone vaccinate che successivamente sviluppano infezioni Alfa e Delta. I risultati di questo studio ci parlano quindi principalmente del rischio di ricovero ospedaliero per coloro che sono non vaccinati o parzialmente vaccinati. “La nostra analisi evidenzia che, in assenza di vaccinazione, qualsiasi epidemia Delta imporrà un onere maggiore all’assistenza sanitaria rispetto a un’epidemia di Alfa”, conclude Anne Presanis, statistico senior dell’università di Cambridge e uno degli autori principali dello studio, che è stato condotto da ricercatori della Public Health England e dell’Università di Cambridge e finanziato da UK Research and Innovation, Medical Research Council, Department of Health and Social Care del governo britannico e National Institute for Health Research.
Efficacia dei vaccini contro la variante Delta
“Il completamento del ciclo vaccinale fornisce invece una protezione contro la variante Delta quasi equivalente a quella osservata contro la variante Alpha”, si legge nelle Faq del Ministero della Salute.
La copertura globale della popolazione con il vaccino anti Covid-19 è decisiva per impedire che la variante Delta, dominante in Italia come nella maggior parte del mondo, possa accumulare mutazioni che la rendano più pericolosa. Lo indicano i primi dati su questo tema, relativi a 16 Paesi compresa l’Italia e raccolti da Ting-Yu Yeh e Gregory Contreras, dell’Università del Maryland.
Johnson & Johnson, il vaccino anti Covid monodose di Janssen “ha dimostrato una risposta immunitaria duratura e ha generato risposte anticorpali neutralizzanti contro la variante Delta e altre varianti di Sars-CoV-2 che destano preoccupazione”. Lo riferisce J&J, comunicando i risultati ad interim di un sottostudio di fase 1/2a pubblicato sul New England Journal of Medicine (Nejm).
L’efficacia del vaccino Pfizer contro la variante Delta è “più debole” di quanto sperassero i funzionari sanitari. Ad affermarlo il primo ministro israeliano Naftali Bennett a seguito di un aumento dei contagi nonostante Israele è il Paese con il maggior numero di vaccinati. A tal proposito Israele ha deciso di somministrare la terza dose – anche agli over 40 – dopo i risultati dei primi dati di uno studio condotto dal Maccabi, la maggior cassa mutua del Paese. Secondo lo studio, la terza dose del vaccino Pfizer, ad una settimana o oltre dell’inoculazione, mostra una efficacia contro il virus dell’86% tra gli over 60. Lo studio ha comparato quasi 150mila persone al settimo giorno dalla terza dose, con oltre 675mila individui – distinti per età, genere, stato sociale e gruppo di popolazione – con solo 2 dosi tra gennaio e febbraio 2021, 5 mesi prima. Nel primo gruppo a diventare positivi sono stati in 37, mentre nel secondo 1.064. Secondo i dati diffusi da Pfizer in relazione all’efficacia del siero anti covid, la terza dose del vaccino Pfizer/BioNTech, approvato in via definitiva il 23 agosto, scorso avrebbe un’efficacia notevole contro la variante Delta del coronavirus perché induce “titoli di anticorpi neutralizzanti contro la variante Delta che sono più di 5 volte superiori nelle persone più giovani e oltre 11 volte maggiori nelle persone anziane, rispetto a 2 dosi”. In particolare, i dati pubblicati online indicano che la terza dose di vaccino aumenta l’efficacia di oltre 5 volte nella fascia di età 18-55 anni. Nella fascia 65-85 anni, l’efficacia contro la variante Delta aumenta di oltre 11 volte. I dati fanno riferimento ai test su 23 persone e non sono stati ancora sottoposti a peer review o pubblicati su riviste scientifiche, evidenzia la Cnn. Il professor Mikael Dolsten, responsabile del gruppo di ricerca e sviluppo della compagnia, ha definito i primi dati “incoraggianti”. I livelli di anticorpi dopo la terza dose sono decisamente più elevati anche se si considerano la variante originaria del coronavirus e la variante Beta, inizialmente isolata in Sudafrica. Il gruppo Usa e il suo partner tedesco prevedono di “pubblicare dati più definitivi sull’analisi” degli studi in corso sulla cosiddetta dose ‘booster’, che andrebbe somministrata dopo almeno 6 mesi dal termine del primo ciclo vaccinale. “La terza dose di vaccino è un’ipotesi per rinforzare l’immunità di chi ha già risposto alle prime due”, ha dichiarato Giovanni Di Perri, infettivologo, responsabile malattie infettive all’Amedeo Savoia di Torino, riguardo alla possibilità di una somministrazione in autunno in Italia. “Una persona al di sopra di 60 anni che riteniamo non essere perfettamente protetta nel tempo dalle due dosi può essere sottoposta la terza dose”. Ha aggiunto il virologo che in un’intervista a Health Online ha invitato tutti a vaccinarsi ed è stato tra i primi specialisti a fornire delle risposte sul nuovo coronavirus per il magazine del gruppo Health Italia
Non solo la somministrazione di una terza dose del vaccino Pfizer ma anche il mix tra vaccini si presenta come sicuro ed efficace. Ad affermarlo in una nota congiunta l’Agenzia europea del farmaco (Ema) e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) e ricordano che la variante Delta di Sars-CoV-2 “si diffonde rapidamente in Europa e preoccupa perché potrebbe ostacolare gli sforzi per controllare la pandemia”. Secondo il documento Ema-Ecdc, la variante Delta “è dal 40% al 60% più trasmissibile rispetto alla precedente variante Alpha e può essere associata a un rischio più elevato di ospedalizzazione”. Per questo “è essenziale per i Paesi accelerare i programmi di vaccinazione, compresa la somministrazione di seconde dosi dove raccomandato, e colmare il prima possibile le lacune immunitarie della popolazione”.
La strategia della vaccinazione da sola non basta, per frenare il contagio da Covid-19 è necessario continuare a utilizzare le principali misure di prevenzione, come indossare la mascherina e adottare il distanziamento. Una delle raccomandazioni ribadite agli Stati dall’OMS è che i Paesi del mondo devono “continuare a utilizzare misure di sanità pubblica e sociali basandosi sul monitoraggio in tempo reale della situazione epidemiologica e delle capacità del sistema sanitario, e tenendo conto dei potenziali effetti cumulativi di queste misure”. Queste indicazioni sono state ritenute cruciali per tutti i Paesi indipendentemente dalla situazione che stanno vivendo con Covid. Secondo l’OMS, “deve continuare a essere adattato al contesto epidemiologico e sociale ed a essere imposto l’uso di misure di sanità pubblica in risposta a singoli casi o focolai, compresi la ricerca dei contatti, la quarantena e l’isolamento”. Al fine di limitare la diffusione di nuove varianti, l’Italia ha disposto specifiche azioni di sanità pubblica:
- rafforzare la sorveglianza di laboratorio nei confronti delle nuove varianti SARS-CoV-2
- fornire indicazioni per implementare le attività di ricerca e gestione dei contatti dei casi COVID-19 sospetti/confermati per infezione da variante
- limitare gli ingressi in Italia dei viaggiatori provenienti dai paesi più colpiti dalle varianti
- realizzare indagini rapide di prevalenza per stimare correttamente la diffusione delle varianti nel nostro Paese
- disporre misure di contenimento (aree rosse) nelle aree più colpite del Paese anche a livello comunale
“Per combattere le nuove varianti occorre accelerare la campagna di vaccinazione e potenziare l’attività di sequenziamento”. Lo ha affermato il Sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri. “La ricerca dell’identificazione delle varianti deve essere prioritaria, non solo per la variante indiana – ha aggiunto – Noi stiamo procedendo bene con il piano vaccinale, ma ci sono altri Paesi extra Europei che sono indietro quindi la ricerca delle varianti è fondamentale perché altre potrebbero emergere nelle prossime settimane o mesi”. Parola d’ordine, quindi, è sequenziare. È recente la notizia di un nuovo test rapido in grado di scovare rapidamente le varianti, Delta inclusa. A sviluppare Covseq è stato un team di ricercatori del Karolinska Instututet di Stoccolma e dell’Istituto di Candiolo Fpo-Irccs e dell’ospedale Amedeo di Savoia di Torino. L’innovativa tecnica italo-svedese, è pubblicata su ‘Nature Communication’. “La metodica Covseq è già pienamente funzionante a Candiolo – ha affermato Antonino Sottile, direttore generale dell’Istituto di Candiolo Fpo-Irccs e co-autore dello studio – dove la stiamo ulteriormente validando, in parallelo a kit diagnostici approvati dall’autorità, nell’ambito della sorveglianza genomica del Sars-Cov-2 che l’Istituto di Candiolo effettua settimanalmente per la Regione Piemonte e mensilmente per l’Istituto superiore di sanità. La sorveglianza genomica nei prossimi mesi è cruciale per intercettare tempestivamente la comparsa di nuove varianti virali nella popolazione già vaccinata, soprattutto nei soggetti fragili come i malati oncologici”.